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L’articolo della discordia: “il” presidente non è la stessa cosa

Non so ancora decidermi su cosa sia più fastidioso: sapere che la nuova – e prima – Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana pretenda di essere chiamata “il” Presidente, o vedere paginate su paginate di giornali pieni di “Giorgia di qua, Giorgia di là”, “Giorgia fa questo, Giorgia fa quello”. Forse la cosa più fastidiosa di tutte è che non ci si renda conto che sono due facce della stessa medaglia: la mancanza di riconoscimento del valore di un individuo femminile.

Perché la nostra nuova Prima Ministra ci casca di continuo. Nel suo primo discorso alla Camera ringrazia Tina, Nilde, Rita e compagnia per averle aperto la strada verso lo sfondamento del “soffitto di cristallo”. Peccato che non stia parlando delle amiche con cui gioca a golf ma di individui straordinari, coraggiosi, intelligenti che hanno fatto la storia di questo Paese e che se solo fossero stati uomini sarebbero stati chiamati dignitosamente per cognome. “Lo ha fatto per un sentimento di sorellanza”, dice qualcuno con spirito conciliante. Peccato che a nessuno sia mai venuto in mente di parlare di Garibaldi, Fermi e Pirandello chiamandoli Giuseppe, Enrico e Luigi.

Questa breve divagazione vuole arrivare a un punto: se la nostra Prima Ministra parla dei pilastri del femminismo italiano citandoli per nome di battesimo, c’è da stupirsi se i giornali fanno lo stesso con lei? E pensa davvero che facendosi chiamare “il” Presidente – ignorando per altro una basilare regola grammaticale che finora non ha mai infastidito (per esempio) nessuna insegnante e nessuna docente – i giornali, i colleghi, il mondo intero la tratteranno con maggiore rispetto? Eppure, è la prima Presidente del Consiglio italiana, la prima leader donna del nostro Stato da quando esiste. Un peso che – stando alle sue parole – porta sulle spalle come un fardello, è un onere – e un onore no? – per lei aver conquistato una sedia che è sempre stata prerogativa maschile. Peccato che non basti essere donne per essere femministe e già dalle primissime mosse e dichiarazioni dei membri del suo governo e dei nuovi rappresentanti di Camera e Senato sono emerse le solite trite e ritrite posizioni cieche e sorde davanti a una società che – più che cambiare – finalmente esce allo scoperto, trova fiato in gola e voglia di lottare per ciò che sente di essere, per ciò che desidera: diritti, riconoscimento, uguaglianza.

Tutto questo passa anche per la lingua, splendida cartina tornasole del sentimento sociale. Le regole linguistiche esistono eccome ma vengono sistematicamente attaccate o aggirate, motivo per cui il congiuntivo è ormai un animale in via d’estinzione e i termini inglesi proliferano come funghi in un sottobosco. Chi scrive non è una simpatizzante di parole come “call” o “spoilerare”, eppure sono entrate nel nostro vocabolario prima ancora del loro riconoscimento ufficiale nei dizionari scritti1, per cui non c’è motivo di dimenarsi: sono una realtà e non è possibile nasconderli sotto il tappeto. Così come le ministre, le sindache, le chirurghe, le mediche, le architette, le avvocate: esistono, e sempre di più, quindi perché nasconderle sotto il mantello di un “il” e di una “o”? Parole che tra l’altro, diversamente da “spoilerare”, non sono neologismi ma semplicemente l’applicazione della regola grammaticale a un sostantivo: la novità sta appunto nel fatto che prima non c’erano ministre e adesso sì. Se ci sono, però, vanno anche nominate. Come spiega la sociolinguista Vera Gheno, nominare qualcosa significa riconoscerne l’esistenza, in modo semplice e immediato, e darne visibilità2. Se dico “il Presidente Meloni” e chi mi ascolta è vissuto fino a un minuto fa in una grotta sperduta, penserà certamente che sto parlando di un uomo; se invece dico “la Presidente Meloni” saprà fin da subito che sto parlando di una donna. E attenzione: ciò non è per sottolineare che è una donna: la questione è riportare un dato reale, ovvero che Meloni non è un uomo. Usare le professioni al femminile significa riempire anche il nostro immaginario collettivo di donne in determinate cariche e mansioni, perché nella realtà sta accadendo proprio questo. Perché creare ambiguità? Vogliamo nascondere sotto il tappeto un fatto solo perché il termine che lo descrive ci sembra cacofonico? Se davvero tutto il problema sta nella cacofonia gli (autoeletti) arbitri elegantiae non potranno che farne l’abitudine, come per centinaia di altre parole prima di queste; perché se le cose continuano ad andare in questa direzione – e c’è da augurarselo –dovranno abituarsi al fatto di avere sempre più ministre e (le) presidenti da nominare e citare, quindi se il fatto reale non dà fastidio, difficilmente alla lunga lo darà la parola.

Perché le parole, tutte, a guardarle da vicino, sono mondi meravigliosi. Chiunque abbia studiato il greco antico – lingua estremamente duttile e creativa – probabilmente ricorderà quel verbo che fa sghignazzare da secoli gli studenti ginnasiali, il famoso “rafanidòo” = “infilare un ravanello nell’ano” inventato da Aristofane in una commedia e bene o male mai più usato. Ora, è improbabile che l’italiano possa regalare perle linguistiche altrettanto elevate, ma non pensiamo che la nostra lingua sia una bella statua di marmo: essa cambia perché cambia chi la parla. Forse, piuttosto, se si teme il cambiamento della lingua si teme il cambiamento della nostra società. Che però fortunatamente in certi casi – come per sindache e (le) ingegnere – è un cambiamento da accogliere a braccia aperte.

 

 

NOTE:
1 Per chi non lo sapesse, «oggi una parola entra nel vocabolario se arriva ad avere un certo ‘peso’ nell’uso. Il termine deve rispondere a tre criteri oggettivi: essere usata da un numero sufficientemente alto di persone, per un periodo sufficientemente lungo e, se possibile, in contesti differenziati» in V. Gheno, Femminili singolari, Effequ, Firenze 2021, p. 28
2 Cfr. ivi p. 15, p. 33.

[Photo credit unsplash.com]

Giorgia Favero

plant lover, ambientalista, perennemente insoddisfatta

Vivo in provincia di Treviso insieme alle mie bellissime piante e mi nutro quotidianamente di ecologia, disillusioni e musical. Sono una pubblicista iscritta all’albo dei giornalisti del Veneto, lavoro nell’ambito dell’editoria e della comunicazione digitale tra social media management e ufficio stampa. Mi sono formata al Politecnico di Milano e all’Università Ca’ Foscari Venezia in […]

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