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Economia in ostaggio

L’economia è una scienza. Si avvale del metodo scientifico, del rigore accademico, e dello studio matto e disperatissimo su numeri, algoritmi, e piani cartesiani. Con un pizzico d’immaginazione li potremmo definire opere d’arte, espressione dello spazialismo. Tipo Lucio Fontana.
Basta leggere una pagina di giornale, accendere trenta secondi un tg, e la nostra testa viene subito bombardata da termini come: rapporto deficit/pil, debito pubblico, spread, tassi d’interesse, tan, taeg, tog, tug, tig e via dicendo.

Eppure, a fianco dei massimi esperiti e professoroni, troviamo il circo: la politica.
Un enorme parco giochi, dove lo spread è l’altalena, il debito pubblico la “rete ragno”, il rapporto deficit/pil uno scivolo difettoso, che invece di far scendere, fa andare giù a tentoni, a colpi di spintarelle e mosse “vade retro”, o almeno così ci giocano i neonati delle correnti, i piccoli bambini di partito e i ragazzetti di governo.

Si ramifica in questo modo, la connessione tra due mondi squilibrati, fatta di tensioni e conflitti, da un odi et amo infinito. Si fa fatica a seguire i numeri nel loro rigorismo, quando ci si occupa di lavoratori e pensionati e per tale ragione la politica fa presto a ridurre le scienze economiche a mero strumento o mezzo per le proprie ideologie.

Ed è in questo contesto che potremmo collocare da una parte il Nazional Automobilismo, definizione del giornalista Vittorio Zucconi in un articolo di Repubblica1, per definire la politica protezionistica di Trump fatta di dazi e minacce a mezzo mondo. A tutto il resto del mondo, tolti gli Stati Uniti, per ora.
Dall’altra invece i recenti azzardi del governo di Roma nei confronti di Bruxelles.

Nel caso del Tycoon, la linea politica ha preso una direzione ben chiara: cambio del paradigma economico. Dall’espansionismo globalizzato del nuovo millennio al protezionismo di inizio ‘900. Prospettiva economica le cui basi politiche risiedono nel bacino elettorale composto da quegli elettori, che si sentono traditi dal proprio vicinato, dove l’erba del vicino è sempre la più verde solo perché, forse, usa un migliore pesticida.
Una parte di società che stenta a cambiare, forse per necessità o per paura. Non è importante la causa, ma propriamente l’origine. Un punto primo che si scinde dalla contingenza, e assume caratteri filosofici.

Infatti la cornice delle nuove direttive nella politica centrale americana si concentra su la difesa dei propri confini culturali. Un bacino ricco di storia, tradizione, identità. Sembra essere tornati alla lotta fratricida nella Roma repubblicana, dove ognuno era obbligato a prendere posizione per la protezione o per l’innovazione del Mos Maiorum – l’insieme di costumi e usanze degli antenati – dopo l’arrivo degli schiavi greci, lasciando eventualmente posto all’ellenismo.
A quel tempo vinsero entrambi dando vita all’humanitas, collante futuro del Rinascimento italiano. Questo perché cultura significa fruibilità, assimilazione, eterogeneità.

Ma la terra va difesa, e con essa il lavoro che sia acciaio o carbone – il global warming può aspettare; le macchine americane ancora di più, basta Audi o Mercedes, bisogna risollevare la Ford e con essa il fordismo proprio ora che ci avviciniamo all’industria 4.0. Poi avanti con il whisky, le motociclette made in USA, e perché no, ritentare la pianificazione della rete ferroviaria di inizio ‘800. 
Tutto giustificato, o mascherato – la dissimulazione è fondamentale nella politica – grazie all’uso delle discipline economiche. 

Levi-Strauss, antropologo, psicologo e filosofo francese, una volta disse «la mente scientifica non fornisce tanto le risposte giuste quanto le giuste domande».
Un pensatore che cercò per tutta la vita di creare inaspettate convergenze interdisciplinari. Come si auspica possa verificarsi tra l’economia e la politica, senza che una delle due possa prevaricare sull’altra. 

Intanto, da una parte in America non si sa ancora chi sarà il vincitore o come andranno a finire i giochi. I governi vanno e vengono, ma se non fosse così?
Ora, Trump è il nuovo Catone in pectore – spero di non aver urtato la sensibilità dei latinisti – e ci si domanda chi sia Cicerone.
Dall’altra invece un governo europeo contro l’Europa, una guerra fratricida con un unico obiettivo: vincere; forte del consenso datogli, ma meno dai numeri. E vinceremo risponderebbe qualcuno, anche se quando fu pronunciata per l’Italia fu la rovina. Speriamo non accada anche questa volta.     

 

 Simone Pederzolli

 

NOTE
1.V.  Zucconi, La sfida a quattro ruote, ecco dove nasce l’odio di Trump per il Maggiolino, 23 giugno 2018.

[Photo credit: Steve Johnson on Unsplash.com]

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