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Alla ricerca dei confini del paesaggio attraverso Wittgenstein

Nel Tractatus logico-philosophicus, Ludwig Wittgenstein pone la tautologia e la contraddizione come situazioni-limite del discorso sensato, ossia come confini non valicabili dell’espressione linguistica del pensiero, perché al di là di essi vi sarebbe semplicemente non-senso. Esse rappresentano quindi i casi marginali della dicibilità; mentre nello spazio tra questi due termini è concepibile una descrizione articolata del mondo.

La tautologia ripete sempre l’identico (piove o non piove) e si dice che è incondizionatamente vera, perché non ha alcuna condizione di verità. Invece, la contraddizione pone e toglie contemporaneamente qualcosa, sotto il medesimo rispetto (piove e non piove) e per questo si dice che non è vera sotto nessuna condizione. Né tautologia né contraddizione sottostanno a delle condizioni, come invece accade alle proposizioni sensate, impedendo di istituire relazioni determinate ad altro. Secondo Wittgenstein questa posizione di confine conferisce ai due termini il carattere di essere privi di senso e tuttavia non insensati, poiché essi continuano ad appartenere al linguaggio, essendo il modo in cui esso dà segno del proprio estinguersi. Nella tautologia e nella contraddizione il dissolversi di ciò che può essere detto, e di come può essere detto, delinea la funzione ambivalente di queste due situazioni: da un lato delimita il dicibile e dall’altro lato si rivolge a ciò che non può essere detto perché semplicemente si mostra. I confini possono significare non solo le frontiere di sensatezza del mondo, ma anche luoghi di indagine, in cui esplorare, oltre il dicibile, quello che non può essere comunicato ma solo mostrato.

Senza approfondire ulteriormente le questioni del Tractatus, tautologia e contraddizione, in quanto limiti del discorso sensato ma non insensate, portano a riflettere e ad insistere sui margini di senso del nostro modo di esprimerci per comprendere il mondo, muovendosi nelle periferie dove forse la sensatezza viene meno ma si intravedono nuove opportunità di ricerca. In questa prospettiva, parallelamente alla funzione-limite di tautologia e contraddizione nel linguaggio, si potrebbe domandare quali sono i confini del paesaggio e quali sono le condizioni di possibilità dei nostri spazi di vita in quanto strutture di senso di una medietà equamente distante dal difetto e dall’eccesso. Se il paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni che lo vivono, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni, si può provare a delineare i poli di una zona temperata, entro la quale si esprimono i contesti di vita delle persone, manifestazione della varietà dei patrimoni culturali e naturali e fondamento delle loro specificità.

Come la tautologia, a un livello generale, si associa all’idea di ripetizione della stessa cosa o del medesimo segnale che ha come effetto la realizzazione del massimo ordine, perché in essa non c’è posto per l’irrompere di eventi casuali o disturbanti, nell’ambito del paesaggio l’identità, portata alla sua estrema declinazione, richiama la pretesa di immutabilità di un territorio e della comunità che lo abita. Si parla, ad esempio, di società tradizionali che tramandano pratiche e comportamenti culturali definitivamente codificati. Si parla anche di purezza e incontaminatezza di ambienti naturali e sociali da preservare, che presuppongono un modello archetipo ed edenico. Si pensi, infine, al concetto di tipicità, utilizzato oggi in diversi ambiti tra cui il cibo e l’architettura, come espressione e garanzia di persistente autenticità.

Dall’altra parte dell’identità sta la contraddizione, dove qualcosa è posto e tolto contemporaneamente: tutto pretende di comunicare con tutto e il risultato è il massimo della casualità e del movimento. Le relazioni con ciò che è diverso proliferano incontrollate e le connessioni che è possibile istituire sono tutte equivalenti, spegnendo sul nascere l’emergere di un senso. All’interno del discorso sul paesaggio, la contraddizione viene rappresentata da luoghi che sono non-luoghi, come quegli spazi della provvisorietà descritti da Marc Augé (aeroporti, parchi-divertimento, centri commerciali…), attraverso cui non si possono decifrare relazioni sociali, storie condivise o segni di appartenenza collettiva. I non-luoghi sono incentrati soltanto sul presente e sono altamente rappresentativi della nostra epoca, caratterizzata da impermanenza, transitorietà e individualismo.

Tra la monotonia dell’identità e la cacofonia della diversità assoluta, risuona la polifonia del paesaggio. In mezzo a questi due poli risiedono dunque le zone temperate dove si creano le condizioni di possibilità per la costituzione di paesaggi vivibili. Eppure, come la tautologia e la contraddizione fanno parte del discorso sensato, in quanto segni limitanei del suo estinguersi, anche identità e non-luoghi appartengono al paesaggio. Questa posizione di confine conferisce ai due termini di essere le frontiere della vivibilità dei luoghi e tuttavia non invivibili. Essi allora ci invitano a insistere sugli spazi di senso marginali, ma non per questo insensati, e sul senso degli spazi marginali, ma non per questo emarginati.

NOTE
[Photo credit Qingbao Meng via Unsplash]

Umberto Anesi

filosofia, paesaggio, ermeneutica

Laurea specialistica in Filosofia a Padova e magistrale in Sociologia a Trento, ho acquisito conoscenze e maturato esperienze nell’organizzazione e nella gestione di eventi culturali e di attività formative. Sviluppo e coordino progetti educativi e percorsi di formazione nell’ambito del governo del territorio e del paesaggio. Vivo e lavoro a Trento. Tra i principali campi di […]

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