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Ipnocrazia, resistenza e un filosofo che non esiste

Nelle odierne società democratiche persiste la domanda circa il tipo di potere esercitato sulle masse. L’evoluzione delle forme di dominio impone una revisione critica delle categorie tradizionali di controllo e libertà. I filosofi Baudrillard e Byung-Chul Han hanno evidenziato come il potere, liberandosi dalla dialettica servo-padrone, si configuri come un flusso pervasivo, radicato profondamente nella quotidianità. Jianwei Xun, in Ipnocrazia1, implementa questa riflessione delineando un nuovo paradigma: un dispositivo che non agisce più attraverso la repressione diretta, ma mediante l’alterazione permanente dello stato di coscienza collettivo.

Secondo questa analisi, il potere si nutre dell’immensa quantità di dati che noi stessi forniamo e, grazie ad algoritmi e tecnologie estrattive, elabora forme personalizzate di manipolazione. Il capitalismo della sorveglianza teorizzato da Shoshana Zuboff2 viene radicalizzato fino a mostrarne le implicazioni esistenziali ed economico-sociali. Le piattaforme digitali creano nuovi modi di significazione della realtà e il soggetto costruisce se stesso in un dialogo esistenziale continuo con esse. Si è imposto così il dominio di un’economia dell’attenzione: un modello capitalistico basato non più sul controllo dei mezzi di produzione quanto sul controllo degli stati di coscienza. Tale fenomeno permea la quotidianità: le piattaforme social vendono stati alterati di coscienza; ogni scroll è un’induzione più profonda verso una trance ottimizzata per il consumo e il controllo; l’algoritmo si avvicina alla nostra sfera intima, personalizzando la suggestione fino a intrecciarla col nostro modo di desiderare, amare e vivere.

Da quest’analisi emerge la domanda su una possibile resistenza al potere ipnocratico. Ogni forma di opposizione diretta non solo è vana, ma viene assimilata e rielaborata dal sistema, alimentandolo. Si sviluppa una tecnica di saturazione dello spazio comunicativo tramite un costante flusso di informazioni simultaneamente vere e false, fino allo stordimento degli utenti e alla rottura di ogni schema argomentativo. Il sistema comunicativo ipnocratico mira al sovraffollamento dello spazio logico e conoscitivo. Come è possibile, dunque, manifestare dissenso quando ogni possibilità di argomentazione e confronto strutturato risulta diluita fino all’annichilimento? Come costruire una resistenza senza che essa stessa diventi alimento del sistema?

Ciascuno di noi può rafforzare una forma di lucidità all’interno della trance, attraverso una nuova alfabetizzazione della realtà in cui siamo immersi; possiamo imparare a navigare il sistema, mantenendo un nucleo di presenza critica. Xun apre alla possibilità di un resto che resiste, un’opposizione invisibile che il sistema non può prevedere né manipolare. Si tratta di individuare comportamenti e relazioni che sfuggano alla categorizzazione algoritmica: la condivisione anonima di beni e conoscenze, le conversazioni tra amici, il tempo trascorso senza finalità produttive. Praticare resistenza significa scegliere consapevolmente un modo d’essere che non necessiti di categorizzazioni, misurazioni, dimostrazioni. La resistenza sta nella scelta di una quotidianità priva di estetizzazione, nella possibilità di vivere momenti di non-produzione. Se il potere ipnocratico basa il suo dominio sull’assorbire e prevedere, la resistenza sta nell’essere opachi, non categorizzabili, non misurabili.

È possibile fare questo senza cadere in un rifiuto totale della dimensione digitale? Ciò che Xun propone è generare l’imprevisto e l’impensato all’interno del sistema stesso. Il paradosso rivelatorio è che Jianwei Xun non esiste: è un nome fittizio che designa il progetto filosofico di Andrea Colamedici, realizzato in collaborazione con due piattaforme di intelligenza artificiale. Ipnocrazia diventa così l’incarnazione della resistenza che teorizza: un esperimento di narrazione che sfugge alla categorizzazione, inserendo nel sistema un elemento irriducibile agli schemi previsti. Il libro stesso opera mostrando simultaneamente il funzionamento del potere ipnocratico e la sua possibile sovversione, sfuggendo alla profilazione algoritmica proprio mentre ne descrive i meccanismi e creando un cortocircuito nell’apparato di previsione e controllo. Ipnocrazia si rivela come un esercizio di quella capacità di abitare criticamente lo spazio tra verità e finzione.

Questo progetto filosofico solleva questioni cruciali, in prima istanza riguardo l’interazione creativa tra uomo e intelligenza artificiale, designata come co-autore del saggio stesso e quindi come risorsa per un nuovo modo di fare filosofia.  Una seconda questione aperta è la seguente: il disvelamento dell’operazione filosofica compiuta e l’inesistenza di Xun, mette in discussione il valore filosofico delle tesi affrontate nel saggio e la rilevanza del dibattito internazionale che ne è scaturito?
In ogni caso, Ipnocrazia dimostra che la costruzione di narrazioni alternative può generare spazi di libertà all’interno del sistema e lo fa conducendo ad una duplice consapevolezza: riconoscere i dispositivi di controllo e, simultaneamente, scoprire che proprio attraverso di essi è possibile creare forme inattese di libertà.

 

NOTE
1. Cfr. J. Xun, Ipnocrazia. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà, trad. it. A. Colamedici, Edizioni Tlon, 2025.
2. Cfr. S. Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, Luiss University press, Roma 2023.
[Photo credit dole777 via Unsplash.com]

Maria Chiara Pelosi

Maria Chiara Pelosi

irrequieta, sensibile, perseverante

Sono nata a Cremona nel 1992, nella nebbia bianca di gennaio. A Cremona vivo e insegno in una scuola superiore. A tredici anni ho letto Il mondo di Sofia e ho deciso che avrei studiato filosofia: mi sono laureata all’Università Cattolica con una tesi su Albert Camus e all’Università di Torino con una tesi su […]

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