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A Christmas Carol

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Ci sono alcune cose che si ricordano nitidamente per tutta la vita. Non importa quanti anni passino, le ricordiamo perfettamente, come se fossero accadute soltanto ieri.

Avrò avuto pochi anni davvero, avrò avuto gli anni della spensieratezza, ed erano quegli anni in cui ci si riesce ad entusiasmare la mattina di Natale, quegli anni in cui i giochi sono preziosi oggetti di felicità, quegli anni in cui quando ti leggono un libro o ti raccontano una storia, questa ti edifica e ti accompagna – da qualche parte o soltanto dentro te stesso – per sempre.

Proprio in quegli anni apparentemente lontani, ricordo bene questo periodo di feste, ricordo che lo aspettavo per un motivo ben preciso: mio padre mi leggeva sempre una storia, un racconto che per me era il racconto dei racconti, era quello che mi faceva piangere e credere che il mondo fosse un bel posto, o che quantomeno la bontà esistesse in ognuno di noi.

“Il canto di Natale”, romanzo breve di Charles Dickens, uscito nel 1843, entra davvero nel cuore di tutti, e nel mio ci è entrato per darmi soltanto grandi insegnamenti di vita.

Ebenezer Scrooge; l’avaro in termini materiali e spirituali. Rappresenta chi nel Natale non ci crede più, rappresenta chi misura la vita in materialismo, rappresenta chi pensa di non aver più nulla da dare e vuole soltanto ricevere.
E’ un uomo che di sentimenti non ne ha, un uomo che ha scordato cosa sia un cuore, che tiene l’amore a distanza di sicurezza.
Eppure nella notte di Natale qualcosa lo sconvolge: gli appaiono tre spiriti. Quello del Natale passato, quello del Natale presente e quello del Natale futuro.
Certe immagini sconvolgono la sua durezza, davanti a certe situazioni si sceglie quasi sempre di cambiare prospettiva.
E’ il cambiamento, è come svegliarsi da un lungo sonno dopo tanto tempo, è come aver guardato dentro se stessi e volersi cancellare per diventare migliori.

Il romanzo di Dickens è il romanzo di Natale per tanti, troppi motivi. Perché a Natale vediamo chi è meno fortunato di noi, lo notiamo molto di più rispetto alla gran parte dell’anno. Penso al piccolo Tim, e ricordo quanto piangevo soltanto ad immaginarlo; emanava una felicità che chi ha tutto non è quasi più capace di trasmettere.
E’ il romanzo del “miracolo di Natale”: in questo periodo dell’anno si è capaci di cambiare, si è propensi a mettersi in discussione, è il momento di mettersi in dubbio ed è il momento di dire la verità.
Dickens, mettendo in risalto il divario tra classi sociali nella vecchia società inglese, regala un classico d’Autore, uno di quelli che non ti stancheresti mai di leggere.

Un classico che fa sognare i bambini, fa crescere gli adolescenti e fa riflettere gli adulti.

Cecilia Coletta

Il semplice fatto che al Mondo esistano ventidue diverse versioni cinematografiche de “Il canto di Natale”, dovrebbe farci riflettere sull’importanza unica che questa storia ha avuto nel corso degli anni. Una fascinazione, iniziata già con gli albori dell’industria cinematografica e che si è poi protratta fino ai giorni nostri. Tra tutti questi adattamenti per il grande schermo, oggi abbiamo deciso di scegliere le tre versioni che nel corso degli anni ci sono sembrate più significative, vale a dire: il primo film ispirato alla storia, la versione cartoon realizzata dalla Disney ed infine l’ultimo adattamento in ordine cronologico, diretto da Robert Zemeckis.

Se si pensa che il romanzo breve di C. Dickens venne pubblicato nel 1843 e che l’invenzione del pre-cinema si ebbe solo nel 1895, il fatto che la prima versione cinematografica de “Il Canto di Natale” sia stata realizzata nel 1908, è un dato davvero significativo per capire il successo e l’impatto emotivo che la storia ebbe fin da subito su migliaia di lettori. Oggi purtroppo di questa prima pellicola sappiamo ben poco. Si tratta infatti di un brevissimo cortometraggio muto, realizzato e prodotto dalla Essanay Film Manufacturing Company, negli studi di Chicago. La pellicola era di una sola bobina, quindi estremamente breve, ma fu distribuita nelle sale a partire dal 9 Dicembre del 1908. Il dato interessante è che il nome del regista non è nemmeno menzionato, neppure alla fine dei tradizionali titoli di coda, mentre è esplicitato fin da subito che l’autore del racconto originario è Charles Dickens. Una curiosità interessante per farci capire come all’epoca la Letteratura avesse ancora una forte componente autoritaria rispetto al cinema. Nel 1910 venne realizzato un nuovo cortometraggio sullo stesso tema, ma anche in questo caso i registi non vennero accreditati nei titoli di coda.

Ben più fortunata invece la storia del rapporto tra il Canto di Natale e quelli che vengono comunemente definiti come cartoni animati. Dai Muppets alla Barbie, passando per i Puffi, ognuno di questi celebri personaggi ha avuto almeno una propria versione della storia dickensiana. La più celebre e fortunata resta però “Il Canto di Natale di Topolino”, diretto nel 1983 da Burny Mattinson. In questo adattamento Topolino interpreta il ruolo di Bob Cratchit e Paperon de’ Paperoni quello di Ebenezer Scrooge (“Scrooge McDuck” è infatti il suo nome originale). Molti altri personaggi Disney, in primo luogo dall’universo di Topolino, Robin Hood e Le avventure di Ichabod e Mr. Toad, vennero distribuiti poi per tutto il film. Questo fu il primo cortometraggio della serie Mickey Mouse prodotto in oltre 30 anni. Con l’eccezione delle riedizioni, Topolino non era apparso nelle sale cinematografiche dall’uscita del corto Topolino a pesca del 1953. Il film fu nominato per un Oscar al miglior cortometraggio d’animazione ai Premi del 1984, ma perse a favore di Sunday in New York. Era la prima nomination per un cortometraggio di Topolino da “Topolino e la foca” del 1948.

Una storia, quella tra Dickens e i cartoni animati che ebbe sempre molto successo rispetto alle versioni con gli attori in carne e ossa. Merito anche del tema pedagogico e della morale più adatta ad un pubblico di minori, tipici di questa storia. Concetto questo, sfruttato anche dal celebre regista Robert Zemeckis (“Forrest Gump”, “Flight”) per adattare “Il Canto di Natale” alla tecnica innovativa della performance capture già sperimentata dal regista nel precedente “The polar express”. Siamo nel 2009 e il film richiese un costo pari a 190 milioni di dollari, riuscendo però ad incassarne oltre 320 in tutto il Mondo. L’ennesima dimostrazione di come, anche a distanza di un secolo dal primo adattamento cinematografico, la storia di Dickens riesca sempre a conquistare generazioni di spettatori e soprattutto di lettori. Parlando di amore e generosità, ma soprattutto focalizzandosi sulla morale secondo la quale ognuno di noi può cambiare il suo animo e aprirsi agli altri se lo vuole, “Il canto di Natale” è un capolavoro che rimane ancora oggi un paradigma ideale per raccontare e descrivere l’affascinante rapporto tra la Letteratura ed il Cinema.

Alvise Wollner

[Immagini tratte da Google Immagini]

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