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Luce e paesaggio alpino, leggendo Musil e Heidegger

Ai frequentatori della montagna sarà forse capitato di cogliere la particolare importanza che la luce assume nella percezione dello spazio alpino, sia all’aperto, attraversando ad esempio un sentiero in mezzo al bosco, sia all’interno di un rifugio o di una baita. Nelle terre alte, la luminosità costituisce un tratto distintivo del paesaggio, contribuendo a delineare il carattere estetico dei luoghi, tanto negli ambienti naturali quanto in quelli modificati dall’essere umano. Non si tratta solo di un fenomeno fisico legato all’irraggiamento solare, ma di una componente vitale, che si intreccia con l’aria e i materiali – pietra, legno, terra –, dando forma agli spazi e creando atmosfere mutevoli che cambiano con l’altitudine e con le stagioni.

In questa prospettiva risulta interessante portare due esempi rappresentativi: i masi della Valle dei Mocheni in Trentino, fonte di ispirazione letteraria per lo scrittore austriaco Robert Musil, e le radure nei boschi della Foresta Nera vicino a Friburgo, centrali nella riflessione filosofica di Martin Heidegger. In entrambi gli autori, l’esperienza della luce dei paesaggi montani riveste un valore fondamentale e diventa foriera di significati e metafore.

Le architetture rurali dei masi della Valle dei Mocheni sono espressione di un paesaggio che riflette la stretta connessione tra natura alpina e cultura locale. In esse, l’aria e la luminosità svolgono un ruolo indispensabile, non solo estetico ma anche funzionale. Questi edifici sono costruiti principalmente con pietra e legno, secondo la tecnica tradizionale del blockbau, che prevede l’assemblaggio di tronchi sovrapposti. Tale tecnica stabilisce una relazione particolare tra interno ed esterno del maso: le fessure tra i tronchi, nella parte alta del fienile, filtrano la luce e il respiro dell’aria, favorendo l’essiccazione del fieno. La circolazione d’aria e l’irradiamento soffuso creano un’atmosfera vibrante, conferendo agli spazi interni un’identità visiva dinamica, in costante dialogo con la materia circostante e con il paesaggio.
Il legame tra luce, aria e materia lascia tracce suggestive nella scrittura di Musil, che soggiornò nella Valle dei Mocheni come militare durante la Prima guerra mondiale. Nella novella Grigia del 1921, ambientata tra i masi di Palù del Fersina, il protagonista, il geologo Homo, vive un’esperienza estatica in un fienile, durante un incontro con Lena, contadina del luogo divenuta sua amante. In quel momento sospeso, la luce che filtra lievemente fra le travi in legno non è solo una presenza esteriore: essa diventa veicolo onirico di trasformazione interiore. Illumina uno spazio fisico e mentale, in cui Homo percepisce un attimo di pura presenza, quasi trascendente. La descrizione musiliana della luce d’argento che scivola attraverso le fessure degli assiti richiama una forma di rivelazione e un’illuminazione che insieme vela e disvela.

I rigogliosi boschi di abeti e di latifoglie della Foresta Nera (la Schwarzwald), nella parte sudoccidentale della Germania, si distendono fitti e profondi lungo i pendii montani, attraversati da sentieri che si perdono nella vegetazione. Quando il sentiero sfocia in uno luogo aperto, i raggi del sole entrano improvvisi e il silenzio si fa più denso: la radura è quello spazio dove il diradare degli alberi consente alla luce di insinuarsi con maggiore facilità, creando squarci di disvelamento all’interno del folto della foresta.
La filosofia di Martin Heidegger, fortemente segnata dai suoi soggiorni a Todtnauberg nella Foresta Nera, è ricca di immagini che evocano cammini e sentieri montani. In particolare, egli riprende la metafora della luce alpina nella sua riflessione sull’essenza della verità come lotta di nascondimento e di disvelamento. Infatti, nella raccolta di saggi Sentieri interrotti del 1950 egli elabora la nozione di verità come non- nascondimento in consonanza con la nozione greca di alétheia (verità), evidenziando che una sorta di equivalente tedesco si trova nella parola Lichtung, che letteralmente indica la radura in un bosco, ossia uno spiazzo illuminato (in tedesco, Licht significa luce), circondato da una regione oscura. La metafora della radura rischiarata nel mezzo della foresta è dunque utile a Heidegger per delineare il luogo in cui il pensiero incontra la verità, insistendo non solo sulla luminosità, ma anche sul momento complementare dell’oscurità, ossia come un evento conflittuale e mai esaustivo.

Nel fienile evocato da Musil e nella radura heideggeriana, la luce alpina rappresenta un punto d’incontro tra esperienza sensoriale, narrazione e pensiero. In entrambi i casi, essa non è soltanto un elemento fisico o funzionale, ma simbolo di apertura e schiarimento, restando tuttavia custode di profondità e mistero. Il bagliore, che attraversa le fessure del maso o che penetra tra i rami delle abetaie, consente, ancora una volta, alla montagna – come luogo reale e luogo della mente – di parlare e di essere ascoltata.

 

NOTE
[Photocredit Johannes Plenio via Unsplash]

Umberto Anesi

filosofia, paesaggio, ermeneutica

Laurea specialistica in Filosofia a Padova e magistrale in Sociologia a Trento, ho acquisito conoscenze e maturato esperienze nell’organizzazione e nella gestione di eventi culturali e di attività formative. Sviluppo e coordino progetti educativi e percorsi di formazione nell’ambito del governo del territorio e del paesaggio. Vivo e lavoro a Trento. Tra i principali campi di […]

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