22 ottobre 2014 lachiavedisophia

Vivere per l’Islam

La riflessione di oggi è nata dopo aver letto una frase su Facebook condivisa da una donna di religione mussulmana.

“We are peraphs living in times when living for Islam is more difficult then dying for it”

La frase può essere così tradotta: “ Probabilmente viviamo in un’epoca in cui vivere per l’Islam è molto più difficile che morire per esso”

Se non mi stessi trovando in un mondo islamico da circa un anno, quasi sicuramente avrei letto queste parole in un modo diverso. Mi sarei basata sulle notizie che arrivano in Italia di guerre, guerriglie, lotte, stragi e rivendicazioni e avrei messo a fuoco solo la seconda parte. Morire per esso.

Ma cosa vuol dire invece (per una donna) vivere per l’Islam?

Premesso che posso fare riferimento solo alla realtà di Doha, quella che ho conosciuto fino ad oggi, alle persone incontrate e alle esperienze che mi sono state raccontate, posso affermare che la maggior parte delle donne mussulmane sono fiere di essere tali.

Indossano l’abaya e il velo con orgoglio. Rispettano usanze e preghiere. Ho addirittura conosciuto donne europee che si sono convertite alla religione mussulmana e l’hanno fatto con la piena libertà, consapevolezza e convinzione.

La maggior parte delle donne arabe in Qatar sono donne che lavorano, che guidano, che viaggiano. E sono donne che lottano. Lottano contro il pregiudizio del velo.

Perchè diciamoci la verità. Quel velo, apparentemente così sottile, è in realtà una barriera spessa e pesante. È un muro. Un ostacolo che noi (non mussulmani) preferiamo aggirare piuttosto che affrontare. Preferiamo far finta di non vedere piuttosto che cercare di capire.

Chiara Amodeo - Doha

La condizione della donna varia da Paese a Paese.

Il riconoscomento dei loro diritti dipende molto dall’interpretazione che si da alla Legge Islamica (la Shari’a).

I più conservatori interpretano i passi del Corano includendo differenze di status e diritti tra i due sessi.

I movimenti più attuali invece danno un’interpretazione più paritaria.

Detto questo, per quanto le mussulmane possano essere fiere dei loro costumi e delle loro tradizioni, non si può certo dire che essere una donna in Qatar sia semplice. Locale o espatriata, europea o asiatica, poco importa: gli ostacoli sono all’ordine del giorno. I pregiudizi sono tantissimi. I luoghi comuni non si contano nemmeno.

Chiara Amodeo Doha

Allora mi chiedo, sarà per questo che vedo sempre più donne locali trasferirsi a Londra, la meta più ambita ed amata da ogni qatarino e già in parte conquistata grazie a quella bandiera bianca e bordeaux che sventola su Harrods?

Chiara Amodeo


[Immagini tratte da: http://stylonica.com/top-20-hijab-styles/ e  https://www.flickr.com/photos/61832963@N05/5627087731/]

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Comments (2)

  1. Articolo molto bello, stimolante, adesso mi piacerebbe saperne di più, su molte cose, sulla vita quotidiana in Qatar per una donna ad esempio.
    Conosco poche donne musulmane, un paio, entrambe marocchine. Una è stata la mia coinquilina, non indossava il velo, era laureata, lavoravs e non sono mai riuscita ad andarci d’accordo. L’altra, abitavs nel mio stesso condominio, indossa il velo, sta sempre a casa tanto che dopo molti anni non ha imparato l’italiano ma ci siamo volute subito bene e in pochi abbracci ci siamo dette molte cose.
    Il velo mi fa pensare a mia nonna e alle sue trecce ed anche alle sue calze.
    Mia nonna ha 90 anni passati, da quando si è sposata lega i capelli in due lunghissime trecce che attorciglia, dopo, sulla nuca. Indossa anche sempre le calze di nailon ma pesanti, anche d’estate. Un volta, mia mamma che è la più giovane e spregiuicata delle figlie le ha detto: “Mamma è estate e fa molto caldo, perchè non togli le calze?” Mia nonna si è coperta le gambe con le mani, dicendo che non lo farebbe mai, si sentirebbe nuda e a disagio. Ha dato la stessa risposta quando le è stato chiesto perchè non scioglie i capelli. L’altra nonna, quella paterna ha sempre portato il fazzoletto in testa, quando usciva, era una donna indipendente, basti pensare che negli anni ’20 lei non solo insegnava e gestiva autonomamente il suo stipendio ma guidava. Andata in pensione ha girato tutta Europa da sola (mio nonno non amava viaggiare e restava a casa), indossando il fazzoletto. Queste due nonne mi hanno insegnato che libertà ed emancipazione sono cose che vanno ben oltre i veli e che a volte, proprio il velo può esserne simbolo e bandiera.

    Grazie all’autrice dell’articolo e grazie alle mie due nonne.

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