29 aprile 2014 Elena Casagrande

La violenza: ineliminabile e inevitabile

La violenza sembra essere un filo che percorre il tessuto della nostra vita.

Tutta la storia umana è costellata dalle violenze più sfrenate: dalle colonizzazioni e invasioni di interi continenti agli stermini, massacri, torture fisiche e psicologiche e produzioni di armi di distruzione.

Anche in questo momento, probabilmente, mentre leggete queste righe, da qualche parte nel mondo si sta compiendo un massacro, un qualche prigioniero sta venendo torturato, migliaia di bambini stanno lavorando sotto sfruttamento e qualcuno , seduto su una scrivania davanti ad un computer sta progettando nuove armi di distruzione.

Ma quando parliamo di violenza, a che cosa ci stiamo riferendo esattamente? Forse ai soli atti intenzionali, mediante i quali si infliggono sofferenze? Cosa possiamo dire invece della violenza che si radica nella forza che intende mettere fine ad un’altra violenza? La nostra cultura forse implica necessariamente diverse forme di violenza?

Ad alcune di queste domande aveva già risposto Hobbes affermando che

La condizione dell’uomo é una condizione di guerra di ciascuno contro ogni altro.

Lo stato di natura è quella condizione in cui gli uomini vivono prima di vincolarsi ad un patto sociale, quella condizione in cui, in assenza di leggi o istituzioni giuridico-politiche, vige solamente il diritto di tutti a tutto, cioè la libertà assoluta dell’individuo nel seguire i propri istinti. Questo stato di libertà per Hobbes diventa immediatamente anarchia e stato di guerra, poiché ciascun individuo, essendo uguale all’altro, può arrecare il massimo dei mali nel perseguire i propri egoismi.

Al fine della sopravvivenza e per evitare l’autoannientamento, l’essere umano rinuncia al proprio stato di natura definendo regole di condotta morale e sociale.

Ma come spiegare allora “il secolo più violento della storia dell’umanità” qual è stato il Novecento? Come giustificare Auschwitz e Hiroshima, simboli del vertice inaudito raggiunto dalla violenza umana, nonostante questa forma di contrattualismo imposta dagli essere umani?

La violenza è inerente alla cultura. La cultura viene imposta e conservata con la violenza e mette a disposizione i mezzi della distruzione.

Wolfgan Sofsky, sociologo tedesco.

Quello che Sofsky intende dirci è che la violenza è insita nel nostro DNA, con il costituirsi dell’ordine civile essa ha cambiato solo la sua forma, in ogni secolo la ritroviamo in modalità diverse, dalle carneficine agli stupri, alla violenza sulle donne.

Lungi dal trasformare il genere umano attraverso un progresso morale, la cultura moltiplica il potenziale della violenza, le fornisce opere e istituzioni, idee e giustificazioni. […] La violenza è il destino della nostra specie.

Di fronte a questa diagnosi sembra impossibile trovare una via d’uscita dalla violenza, sembra che la violenza sia elemento ineliminabile e inevitabile della nostra esistenza, che la pace possa essere ottenuta solo tramite l’uso di violenza, che il fine sia giustificato dal mezzo; tuttavia una risposta potrebbe concretizzarsi a partire dall’idea di non-violenza, le cui radici affondano nel cristianesimo, nel buddismo e nell’Induismo, ma che possiamo trovare anche nel Kant teorico della “pace perpetua” tra gli Stati, e ancora di più nel massimo teorico e punto di riferimento della dottrina, Mohandas Gandhi.

Egli sa bene che la non-violenza non è la soluzione a ogni problema e conflitto, ma costituisce uno strumento che va inserito in quello che egli chiama un “programma costruttivo”, vale a dire all’interno di un programma politico vasto e radicale, che prevenga la violenza e che costruisca una società giusta e meno pronta all’uso della violenza.

La non violenza, che è una qualità del cuore, non può venire da un appello alla ragione.

Gandhi

Elena Casagrande 

[Immagine copertina tratta da binobino1.altervista.org; Immagine articolo da Google Immagini]

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Comment (1)

  1. Sara

    Cara Elena, proprio oggi stavo leggendo i meravigliosi quaderni di Hannah Arendt e, per caso, il primo, iniziato nel 1950, affronta la questione della violenza. Di fatto, la tesi di fondo è esattamente quella che tu hai proposto in questo articolo: la violenza è costitutiva dell’essenza umana. Ancor prima di leggere l’articolo, soffermandomi solo sul titolo, mi sono chiesta come questo germe di cui l’animo umano è inevitabilmente affetto, possa costituire qualcosa di assolutamente ineliminabile. Mi sono sempre convinta che ogni individuo dovesse credere nella bontà profonda dell’altro, come se il minimo comune denominatore potesse essere di per sé positivo. In realtà, forse, la prospettiva dovrebbe essere rovesciata: come viene scritto nella Genesi, l’uomo è fondamentalmente malvagio..quando pensiamo alla violenza, siamo soliti riferirci a quella esercitata in un rapporto di subordinazione, dove l’Altro, il debole, lo schiavo, la donna e così via, si trova in un gradino inferiore. Il dominatore esercita il suo potere sull’alterità in modo tale da poter convertire la propria frustrazione in una relazione appagante. L’energia individuale di per sé negativa, accumulata e repressa, viene rilasciata, permettendogli di esercitare il suo controllo.
    Come hai concluso tu, infatti, credo sia essenziale individuare il modo corretto per incanalare positivamente quest’energia distruttiva e, a volte, anche auto-distruttiva. Perché, come spesso accade, non sono pochi i casi di chi esercita la violenza verso di sé, per lenire un dolore troppo forte.
    Anche l’educazione potrebbe essere un modo positivo per trasformare questo germe malvagio in un fiore…penso sia importante un lavoro sociale…universale…

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