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Il vero motivo per cui l’ecologismo-ambientalismo fallisce

Rimango sempre sorpreso quando parlo con qualcuno dell’ambiente e delle cosiddette crisi che lo riguardano. Penso sia un dato percettivo comune quello di essere colpiti da quanta poca curiosità suscitino nelle altre persone queste tematiche, sempre che si possegga una sensibilità tale da permettere il sorgere di queste riflessioni. Ma non è questo ciò che mi sorprende. O meglio, ciò che mi sorprende è la causa del disinteresse comune nei confronti di quelle questioni.

Se volgiamo il nostro sguardo alle più grandi campagne di sensibilizzazione ambientale o alle semplici dissertazioni di un qualsiasi ecologista ci rendiamo immediatamente conto di come la tecnica argomentativa sia miseramente fallace. “Salviamo il pianeta”, “Difendiamo l’ambiente”, “Aiutiamo il mondo”. Tutti slogan condivisibili ma inutili, perché presuppongono qualcosa che non si può far finta di non accorgersi mancare se non in tutti almeno in molti: la sorgente empatica.

Si fa presto a dire che l’empatia sia assente nelle persone ma ciò che è necessario fare è chiedersi il perché di questo difetto. Io credo che l’empatia sia connaturata all’uomo; questo significa che ognuno la prova, dal medico volontario in Africa al comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Ciò che è diverso nelle persone, quindi, non è tanto il fatto di provare o meno empatia ma la situazione in cui scatta questo meccanismo.
Cos’è l’empatia? Cerchiamo su Google: Wikipedia sentenzia che è la «capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui», definizione deludente. Treccani già si dà più da fare: «Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro». Ma è – a sorpresa – il dizionario di Google a cogliere meglio la questione: «In psicologia, la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona, con nessuna o scarsa partecipazione emotiva». Da questa definizione possiamo ricavare due lezioni. Innanzitutto il fatto che colui verso il quale possiamo provare empatia non è un generico “altro” ma «un’altra persona»; in secondo luogo, il fatto che provarla non significa automaticamente mettere in gioco dei sentimenti o delle emozioni.
Colleghiamo ora tutto ciò con la nostra questione.

Per quel che riguarda la prima lezione, pensare di coinvolgere chiunque attraverso l’empatia nei confronti di qualcosa senza trasformare questo qualcosa in un qualcuno, crea una situazione nella quale si richiede uno sforzo al destinatario del messaggio che non tutti sono disposti o in grado di fare.
Per la seconda, anche se quello primo step funzionasse, non si è ancora coinvolto emotivamente l’interlocuture, ma lo si è solamente interessato alla questione. Perché all’empatia segua un movimento emotivo di “avvicinamento” credo sia necessaria l’educazione.

Combiniamo ora le due: credere di riuscire a coinvolgere qualcuno facendo provare “pena” nei confronti di qualcosa ottiene l’esatto opposto: il totale disinteresse.

Ma non è ancora questo ciò che mi sorprende. Se scaviamo ancora più a fondo possiamo raggiungere quello che è il punto nevralgico della questione: l’egoismo. Non siamo abbastanza egoisti.
Potrebbe sembrare una frase paradossale e provocatoria ma non è assolutamente così. A ben guardare, infatti, ogni tentativo di salvare il pianeta, l’ambiente, il mondo altro non è che un tentativo – in ultima istanza – di cercare di mettere in salvo la nostra pellaccia. Ed è proprio su questo perno che bisogna far leva. Perché, in realtà, ciò che tutti – tutti – abbiamo a cuore di salvare non è quella particolare specie di animale, di pianta, quella particolare foresta, quel tratto di mare, l’ambiente, il mondo, ma noi stessi.
Inoltre, alla Terra, presa per se stessa, credo che poco importi dei cosiddetti “danni” operati dall’uomo: il pianeta che abitiamo si stima essersi formato circa 4,5 miliardi di anni fa. Ha sopportato – per quello che sappiamo – eruzioni vulcaniche inimmaginabili, piogge di meteoriti, sconvolgimenti superficiali, e non, devastanti; credere che noi possiamo danneggiarlo mi fa sorridere per quanto ci sovrastimiamo: non dobbiamo salvare il mondo, dobbiamo preservare noi stessi.

Rendersi conto che la propria vita è in pericolo: questo sì che ci smuove, purtroppo. Dico purtroppo per un motivo, egoista anche questo. Siamo talmente poco empatici ed educati alle emozioni che nemmeno l’idea di altre persone fa nascere in noi un sentimento di vicinanza e di aiuto. Questo significa che neanche la razza umana può essere un motivo di cambiamento di comportamento, ma neppure i nostri connazionali o il nostro vicino; nemmeno i nostri figli. No, neanche loro: distruggere l’ambiente significa creare condizioni peggiori per le future generazioni ma non mi pare che questo faccia la benché minima differenza.

Dovremmo essere più egoisti in quanto specie. La specie umana dovrebbe essere più egoista e pensare più a se stessa. Non per il rinoceronte, non per la tigre, non per le foreste, non per gli oceani ma per i nostri stessi figli, per noi stessi. Salvare l’ambiente significa salvare noi stessi, togliamo questo adesivo che abbiamo appiccicato sopra la verità e mostriamola! Magari con vergogna (per qualcuno necessariamente con vergogna) ma questa è la realtà. Meno individualismo e più collettivismo; si potrebbe dire meno nazionalismo e più internazionalismo, forse, intendendo con nazionalismo un singolo Individuo nazionale; ma questa è un’altra storia.

Ultimo appunto: fortunatamente, altre specie possono beneficiare di queste considerazioni, se messe in pratica. Questa è un una cosa fantastica – che ci dice molto su quanto la natura sia collegata tra le sue parti – che io personalmente valorizzo enormemente. Anzi, qualcuno potrebbe addirittura agire per altro oltre che per l’uomo ma non possiamo pretendere che la maggior parte agisca in questo modo. Non con questa società. Non con questi ideali. Non in questo tempo.

 

Massimiliano Mattiuzzo

 

[Photo credit qinghill]

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Massimiliano Mattiuzzo

ambizioso, testardo, orgoglioso

Mi sono laureato alla magistrale di Scienze filosofiche all’Università Ca’ Foscari di Venezia e progetto di proseguire la ricerca all’interno del panorama accademico. Sono vice-caporedattore de La Chiave di Sophia e vice-presidente della relativa associazione culturale. Fin da bambino do una mano nell’azienda biologica di famiglia, vivendo appieno il contatto con la natura. Amo la […]

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