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Un’etica della cura per riscrivere i ruoli di genere

 


 

Viviamo nella società della trasparenza dove ogni nostra informazione diviene oggetto di scambio.

Siamo completamente immersi in quella che Bauman definirebbe una società liquida, i cui ritmi rapidi impediscono il riconoscimento reciproco delle fragilità di ognuno.

Siamo sempre pronti a rincorrere qualcosa e il tempo passa, mentre noi stiamo in realtà immobili, nello stesso punto. Non c’è spazio per l’identità, se non per la costruzione di “falsi sé”, riprendendo un’espressione del celebre sociologo Winnicott, che si adeguano ad un modello sociale prestabilito, limitandosi ad una logica sociale e culturale che fa in modo che ognuno rispetti e corrisponda a delle aspettative ben precise. Tutto a scapito dell’interiorità umana, afflitta dalle proprie fragilità e debolezze. Tutto scorre in maniera talmente rapida che è proprio l’essenziale a sfuggirci di mano, quell’essenziale che inevitabilmente ci costituisce ma che non potrà mai divenire “liquido”, oggetto di scambio. Non può diventarlo, certo, anche perché non è la vulnerabilità umana ciò di cui la nostra società ha bisogno.

Che fine fanno gli sforzi, i sacrifici e le fatiche per mantenere una certa posizione soltanto perchè così ci è imposto, così ci viene chiesto e così deve essere giusto? Dove sono finiti i sorrisi?E le lacrime? c’è tempo per le lacrime? Perché alla fine dei conti, è sempre lì che si ritorna.

Non c’è mai tempo per fare tutto, non è mai abbastanza. Ne vorremo sempre di più.

E allora, per risolvere anche questa questione, arrivano delle iniziative da imprese come Apple e Facebook che permettono alle madri che non hanno il tempo di avere dei bambini, di congelare i propri ovuli e posticipare la maternità al fine di sfruttare gli anni migliori e in cui si ha più energia per dedicarsi completamente al proprio lavoro.

Come se anche la maternità e il desiderio di avere un bambino potesse essere semplicemente ridotto a calcolo, mera programmazione per riuscire ad avere quel “tutto” affinché ciascuna possa diventare al contempo donna d’affari e madre.

Per quale ragione tutti questi sforzi?Perché dover sacrificare la propria vita privata e soprattutto perché dover rinunciare al desiderio immediato di diventare madri e poter creare una famiglia in nome dell’impegno lavorativo? E gli uomini?che fine hanno fatto questi futuri padri di famiglia?Saranno davvero tali oppure continueranno ad essere immersi nel loro lavoro anche qualora alle loro mogli sarà concesso di diventare madri?

Il problema sta proprio in questo: capire per quale ragione e in che modo ci troviamo immersi in una dimensione sociale che ci fa assorbire naturalmente alcune concezioni ed alcuni luoghi comuni che, di naturale, hanno ben poco. Perché, in fondo, per riscrivere una parità nella differenza dei sessi è necessario cominciare dalla decostruzione di tutti quei luoghi comuni che fanno sì che sia sempre la figura femminile a dover rinunciare a qualcosa. Rinunciare alla possibilità di conciliare vita pubblica e vita privata. Rinunciare al proprio riconoscimento. Al desiderio di essere madre.

Quando in fondo, tutte queste problematiche, per l’uomo non sono mai esistite. Ed è sempre e comunque il mondo femminile ad essere costretto ad adeguarsi, piegarsi e a prendersi in carico alcuni tipi di lavoro piuttosto che altri, come quelli legati alla cura degli anziani o dei malati.

Non sto dicendo che non siano lavori degni, tutt’altro; queste mansioni implicano una certa pazienza, un certo amore e dedizione. E’ la logica che c’è dietro ad essere completamente errata.

Perché da sempre è la donna che viene riconosciuta per la sua fragilità, per la sua debolezza e vulnerabilità e la sua immagine associata ai sentimenti, alla cura e alla famiglia.

Tutto ciò diverrebbe positivo se questi elementi messi insieme costituissero dei punti di forza; di fatto, sono considerate come delle qualità negative che fanno in modo che la donna sia agli occhi di tutti posta su un gradino più basso rispetto all’uomo.

Questa idea era già presente nella Repubblica di Platone, il quale se in un primo momento aveva ammesso l’essenzialità delle donne per la formazione della famiglia, successivamente ritiene che queste possano di fatto essere trasformate in uomini, una volta compiuto il dovere di procreare.

Lo stesso pensiero fu ripresa nel corso del XXVIII secolo con Rousseau il quale nell’Emile scrisse che

Les femmes ont été faites pour le plaisir de l’homme” (“Le donne sono datte per il piacere dell’uomo”)  e che “ Le mâle n’est mâle qu’en certains instants, la femelle est femelle toute sa vie “(L’uomo è tale soltanto inverti istanti, la donna è tale tutta la vita”)

Secondo il filosofo infatti, l’unico modo per impedire alla donna di avere il completo potere e controllo sull’uomo era quello di escluderla dalla vita pubblica – riservata a quest’ultimo- e destinarla alla vita privata, quella del foyer, del focolaio.

La divisione dei ruoli professionali non ha fatto che scandire dunque quello che è di fatto il rapporto di dominazione nella questione di genere.

A spiegarlo nel dettaglio è stata una filosofa statunitense, Joan Tronto, la quale nel libro Un monde vulnerable. Pour une politique du care, (Un mondo vulnerabile. Per una politica della cura), ha affrontato, utilizzando il pensiero critico come strumento di analisi della realtà sociale, il problema della differente assegnazione dei ruoli professionali tra uomo e donna.

Je suggère que les dimensions de genre, de race et de classe affectant le care sont plus subtiles qu’il ne semble à première vue. Je pense que nous nous approchons de la réalité lorsque nous disons que le « souci des autres » et « la prise en charge » sont les obligations des puissants.Il est laissé aux moins puissants de prendre soin des autres et de recevoir le soin.[…]

(“Suggerisco che le dimensioni del genere, della razza e della classe che interessano la cura, sono più delicate di quanto non sembrino a prima vista. Penso  che noi ci avviciniamo alla realtà quando diciamo che “le preoccupazioni” per gli altri e “il prendersi carico” siano delle obbligazioni dei potenti. Viene lasciato ai meno potenti il prendersi cura degli altri e il riceverla).

Ansi la « prise en charge » est associée à des rôles plus proches de la sphère publique et davantage aux hommes qu’aux femmes.[…].

(Così, la presa in carico, il preoccuparsi, è associata ai ruoli più vicini alla sfera pubblica e a favore degli uomini piuttosto che delle donne).

Le souci des autres » se trouve également affecté par le genre, la race et la classe .[…]Les femmes et les personnes de couleur ont très peu de choses à « prendre en charge », elles se soucient des préoccupations privées ou locales.

(La cura si trova ugualmente influenzata dal genere, la razza e la classe. Le donne e le persone di colore hanno poche cose di cui “prendersi in carico”, loro si prendono cura del privato e del locale”).

L’etica della cura, secondo Tronto, rappresenta il modo attraverso il quale è possibile superare uno stato di dipendenza e dovrebbe essere alla base di uno stato democratico dove ciascuno, in quanto essere umano, possa essere riconosciuto nella sua stessa vulnerabilità.

Non c’è nulla di più di questo a renderci assolutamente unici ed insostituibili.

Sara Roggi


[Immagini tratte da Google Immagini]

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