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Tutte le maschere della mia vita

 

Nascondi chi sono, e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni.           William Shakespeare

Nuda davanti allo specchio mi guardo e mi risuonano ancora nella mente le sue parole. “Mi sembra di non conoscerti, Rachele. Io non so chi sei, non lo capisco. Non capisco cosa ti faccia felice e cosa ti faccia incazzare! Sembra che tutto ti vada bene, ma lo sai cosa ti piace? Chi sei veramente Rachele? Io non posso andare avanti così.”

Chi sei veramente, Rachele?

Allora inizio a spogliarmi. Tolgo i jeans e il maglione attillati che mi fanno risaltare le forme. Tolgo i tacchi che mi fanno sembrare le gambe più lunghe. Tolgo il reggiseno che mi regala un seno alto e pieno. Tolgo le calze che mi appiattiscono la pancia. Tolgo le extension che mi rendono i capelli più voluminosi. Tolgo il rossetto che fa sembrare le mie labbra più grosse. Tolgo il rimmel che mi dona uno sguardo da cerbiatta. Tolgo tutto quello che non sono io e guardo negli occhi l’involucro di me stessa. Guardo il mio corpo in tutte le sue imperfezioni che quotidianamente mi costringo a correggere e a voce alta mi domando:

Chi sei veramente, Rachele?

Chi sono non lo so più. O forse non l’ho mai saputo.

Mi ricordo la prima volta che salii sul palco da bambina. Per tutta la durata della recita mi sentii bene, come mai prima. E da allora forse iniziai a recitare in tutto il resto della mia vita nella convinzione che, se mi fossi comportata come gli atri volevano, sarei stata accettata, sarei stata amata.  E da allora a casa sono stata una bambina ubbidiente e rispettosa. Un’adolescente studiosa e sorridente. Una giovane donna forte e proiettata alla carriera. Con gli amici sono stata estroversa e spavalda, sempre pronta a provare cose nuove, senza mostrare mai paura; un’amica premurosa ma mai turbata dagli sgarbi. Con gli uomini mi sono sempre mostrata forte ma al tempo stesso accomodante, mai un segno di risentimento, di dolore. Nel lavoro mi sono mostrata passionaria e competente.

Ho passato una vita a essere quello che pensavo gli altri volessero. Mai un cedimento. Mai niente che rivelasse che quella non ero io. Sono apparsa ma non sono mai stata. Mi sono vista vivere senza vivere mai. Ferma in uno stato di gelo senza che niente mi potesse toccare. Con la testa svuotata, sorridente per sembrare spensierata. Un manichino tra tanti. I giorni sono passati, senza colori né sapori. Ho vissuto nel carnevale del mondo, indossando una, cento, mille maschere. Me ne sono stata in bilico fino a quando la vita mi ha travolto. E la risata mi si è smorzata.

Mi sono sentita infelice e stanca, senza mostrarlo mai, neanche a me stessa. Piuttosto che piangere mi sono impegnata, ho dedicato me stessa a costruire il mio personaggio. Mi sono sentita vuota e infelice e allora ho lavorato di più, ottenendo traguardi sempre più importanti. Mi sono dedicata alla scalata del successo per non sentire niente, lottando e servendomi della logica del potere e della competizione per prevalere, per arrivare prima. E ogni volta che ho raggiunto un nuovo obiettivo, il vortice di euforia e soddisfazione è sempre durato lo spazio di un momento, un uragano che poi mi lasciava vuota, come prima.

Ho passato la mia vita lasciando spazio solo alla razionalità, senza mai permettermi di provare niente. Sono stata sottovuoto. Ma la domanda “chi sei veramente Rachele?” ha creato il cedimento che non c’era mai stato. E sono caduta tutta d’un pezzo. Le mie maschere sono state scoperte e si sono lasciate cadere, frantumandosi, senza darmi il tempo di capire chi io fossi, senza darmi alcun preavviso. E mi ha sorpresa che nella strada di ritorno a casa mi sia sentita nuda. E mi ha sorpresa scoprire che la cosa mi fa paura, che provo timore e vergogna al pensiero di scoprire chi sono, di scoprirmi e mostrarmi nelle mie luci e nelle mie ombre.

E ho passato un’intera nottata nuda davanti allo specchio, sgomenta, a piangere tutte le lacrime che non avevo versato, lasciando andare tutte le maschere della mia vita, per morire e intraprendere il viaggio della mia rinascita, il viaggio per conoscere me stessa. Ci saranno momenti, forse anni, bui in cui dovrò affrontare senza cercare di fuggire tutto il dolore che emergerà. Volevo solo essere amata, questa è la ferita che ho cercato di coprire con un cerotto: le mie maschere.

È in questi giorni finito il Carnevale, la festa delle mille follie, del mondo al contrario e del divertimento mascherato. Ci siamo divertiti a travestirci e interpretare un ruolo a noi obsoleto. Semel in anno licet insanire, dicevano i latini; ma, se il Carnevale è finito, quella che ci è rimasta addosso è la maschera che ancora portiamo, quello strato sottile che mettiamo tra noi e gli altri, come scudo, in modo che nessuno possa vedere le nostre debolezze, le nostre insicurezze, quel velo invisibile che portiamo per cercare l’approvazione degli altri facendo finta di non averne bisogno. Se indossare delle maschere, talvolta, può essere utile a proteggere la nostra intimità, il rischio è di dimenticarcene, di scordarci di averla ancora addosso e di non riuscire più a toglierla senza che venga via anche la pelle. Le maschere prendono a prestito i nostri corpi e a volte ce ne privano, proponendo un personaggio, con modi di pensare, di parlare, di proporre il corpo, di camminare, di respirare, facendoci perdere noi stessi. Gli indiani proverbialmente dicono: “Se tieni troppo a lungo la maschera finisci per farla diventare la tua faccia”.

Giordana De Anna

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[Immagini tratte da Google Immagini]

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