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Tra misura ed ebrezza per una (sobria) filosofia di vita

La combinazione tra vino e filosofia può svelare uno dei fondamenti più attraenti del filosofare. Il principio immateriale più autentico della filosofia, infatti, sembra essere caratterizzato da un’essenziale variazione, che divide i confini della misura consentita: ovvero, ciò che può essere definito buono e vero.

Così, solo a partire da una prospettiva “smisurata” può essere affrontata la questione della misura, che può essere misurata solo ponendosi oltre, al di là di essa.

Lo stesso Holderlin (in Poesie, 1971) considerava l’armonia come ragione ultima dei limiti del mondo, delle sue misure e proporzioni. Mondo in cui l’uomo spesso viene spinto a liberarsi dai suoi legami, mentre non è in grado di cogliere la misura (quella vera).

Da questo punto di vista, il vino può essere considerato come simbolo “vivificatore”, che non può essere semplicemente ridotto a delirio dionisiaco. Infatti, gli effetti di come lasciarsi andare a dis-misura a questo piacere, possono essere considerati parte dell’esperienza filosofica. Perché il solo fatto di sperimentarlo in modo positivo e ragionevole, porta l’uomo stesso a farsi consapevole di questo limite, che divide il bene dal male (o il vero dal falso).

Attraverso la sua storia, in questo caso, il vino può essere considerato l’emblema di questa ambiguità, perché da un lato emerge come qualcosa di sacro, mentre dall’altro esprime la vita quotidiana dell’uomo consumatore da sempre legato al desiderio di superare i propri confini.

Come tra vino e conoscenza, come la filosofia…

Epicuro stesso aveva insegnato come valore fondamentale la misura, limite che oggi indica l’esatto opposto, ovvero Edonè, che in Lettera a Meneceo viene considerato come misura che aiuta a raggiungere il vero godimento di vita.

L’intero pensiero greco in questo senso emerge come pensiero della misura, concetto avente la funzione di simbolo collettivo che rispecchia la distanza degli eccessi, c che viene ristabilito tra i desideri e i turbamenti che attraversano l’animo umano. Solo così questa possibilità di misurarsi, per un autocontrollo effettivo, può essere legata a quel dominio di sé connesso alla virtù.

Anche questo può mostrare il vino: esso rende possibile l’esercizio di equilibrio sul limite tra misura e dismisura; esperienza che può rendere possibile all’uomo una vera e propria pratica del razionale, ma anche dell’impossibile.

Costituisce una relazione altra tra una determinazione e la sua negazione, per vivere il negativo come semplice alternativa rispetto al positivo, e non contradditorio. Solo attraverso questa prospettiva, l’ebrezza, come afferma Massimo Donà in Filosofia del vino (2003), può essere considerata come il vero modo in cui si mostra la sobrietà, perché «nulla di realmente diverso può esserci offerto da un’alterità che da questo mondo venga esclusa»1. Sobrietà che è anche fatta di questo senso della misura, riconoscendo un valore reale alle cose in ogni circostanza e ritrovando un contatto con se stessi che non ha mai perso la sua parte più vera.

Martina Basciano

NOTE:
1. Massimo Donà, Filosofia del vino, Bompiani, 2003, 232 p.

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

 

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