27 ottobre 2014 Valeria Genova

Tecnica beffarda

L’Occidente è caratterizzato dalla tecnica, visto come luogo della razionalità assoluta che non concede spazio alle passioni ed agli istinti.
Umberto Galimberti, nella sua teoria sulla concezione della tecnica, sostiene che nelle condizioni attuali l’uomo non è più al centro dell’universo.

La tecnica continua ad essere pensata come strumento nelle nostre mani, invece essa si è diffusa in tutto ciò che ci circonda, costituisce l’ambiente stesso e subordina tutte le vere esigenze dell’uomo alle sue esigenze. Ma il rapporto tra uomo-tecnica si è letteralmente capovolto, ovvero non è più l’uomo a governare la tecnica, ma è la tecnica che ha assoggettato l’uomo alle sue regole razionali e ai suoi ritmi.

L’uomo è tale solo quando persegue uno scopo che è quello di trovare un senso; la tecnica non cerca un senso, pensa solo a funzionare. La nostra irrazionalità contro la sua dura razionalità. Viviamo, dunque, in una società sottomessa alla tecnica, noi stessi dipendiamo da essa; è come un circolo vizioso da cui è quasi impossibile uscire perché ormai l’uomo non può più fare a meno dei suoi apparati, egli è diventato il loro semplice funzionario, è sempre meno individuo; ma la cosa drammatica è che l’essere umano non avendo istinti per stare al mondo deve essere tecnico sin dal momento della sua nascita. La tecnica ci vuole completamente irresponsabili, ovvero passivi, semplici azionatori di un meccanismo, perché promuove un fare senza scopi, un fare prodotti.

Anche l’etica non può fare a meno di essere coinvolta dalla tecnica: la prima, oggi come oggi, non è in grado di contrastare la seconda, ovvero non può impedire alla tecnica di progredire quando e come vuole. L’etica quasi scompare perché il mondo non è più naturale ma completamente artificiale e l’agire viene sostituito dal fare tecnico che tende solamente al perseguimento di risultati a-personali.

La tecnica ci porta al di là dei limiti etici pensabili, ci dischiude uno scenario lontano da ogni fine, da ogni produzione di senso, da ogni limite; l’uomo viene così doppiamente beffato: il potere di gestire la tecnica non è nelle sue mani ed è, anzi, dominato da questa che lo rende inferiore. L’assolutismo della tecnica comprende un insieme di mezzi che non ha in vista dei fini ma degli effetti che traduce i fini in altri mezzi per uno sviluppo infinito della sua efficienza. Non esistono più valori validi di per sé stessi ma ciò che ha valore è diventato ciò che può essere mezzo per raggiungere uno scopo che rimane comunque privo di senso. L’uomo appartiene alle dimensioni previsionale e progettuale che lo rendono inevitabilmente tecnico per procurare la soddisfazione dei suoi bisogni: l’uomo ha necessità della tecnica per potersi realizzare; in questo senso la tecnica non è più un mezzo ma diventa il primo scopo che tutti desiderano.

Anche la concezione politica viene modificata: ora tutti gli uomini hanno potere perché inseriti nell’apparato tecnico, dunque facenti parte di una catena di montaggio in cui una sola rottura interrompe l’intero apparato; il destino dell’immenso apparato tecnico è nelle mani di tutti.

La tecnica ci modifica in tutto e per tutto, compreso il nostro modo di rapportarci al mondo,

perché solo così si può garantire una certa regolarità nel processo.
Noi non siamo più in grado di comprendere e di trovare il nostro posto nel mondo, per questo ci dobbiamo sempre più adattare all’apparato e alle comodità che la tecnica offre.
Per Galimberti viviamo in una società al servizio dell’apparato tecnico e non abbiamo i mezzi per contrastarlo, soprattutto perché abbiamo la stessa etica di cent’anni fa, un’etica che regola il comportamento dell’uomo tra gli uomini; quello che serve oggi è una morale che tenga conto anche della natura.

La tecnica, così fredda e razionale, ha relativizzato tutte le immagini e le simbologie di cui l’uomo necessitava per potersi muovere e orientare nel mondo.
L’uomo non è più libero ma si trova incatenato da ciò che credeva potesse liberarlo dal suo stato naturale; e non è più nemmeno sereno perché tutto ha cominciato a velocizzarsi, il tempo non ha più l’ambito del vissuto, ovvero non è più un tempo soggettivo che accompagna la vita di ogni individuo ma è l’uomo che deve stargli dietro perché oramai il tempo è diventato indifferente verso tutto e tutti.

Per approfondimenti: Umberto Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli, Milano, 2007

                                       Umberto Galimberti, Psiche e techne, Feltrinelli, Milano, 2002

Valeria Genova

[Immagini tratte da Google Immagini]

 

 

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