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La T.A.Z. come tattica insurrezionale: Bey, i rave e le prove di liberazione

Un dizionario storico un po’ acritico chiamerebbe “insurrezione” quel moto di rivolta spentosi ancor prima di poter produrre qualche cambiamento. Una sorta di spasmo fuggiasco. Della “rivoluzione” direbbe invece che è un totale riassestamento dei volti della Storia, una febbre efficiente, qualcosa al limite del necessario.

Se queste sono le definizioni però, un saggio che si trovasse a soppesarle sarebbe diffidente: cosa apporta in effetti la rivoluzione se non un’altra idea di paradiso? È solo Stato che sostituisce lo Stato, cosa storica perché giustificata dalla sua vittoria. Il movimento dell’insurrezione invece è diverso: se all’inizio si profila come una curva uscente, poi però si ripiega e torna nella via principale. Fallisce, non fa Storia e non viene giustificata. La rivoluzione è valida perché ha il consenso burocratico dei suoi stessi nemici; l’insurrezione è invece scalzata da qualsiasi ufficiosità perché considerata alla stregua di un brivido della Retta.
La rivoluzione allora delude; l’insurrezione invece ci si avvicina. C’è chi addirittura la privilegia alla prima come mezzo per ridimensionare il potere, come l’eclettico Hakim Bey nel suo saggio sulla T.A.Z., la Temporary Autonomous Zone (H. Bey, T.A.Z.). Con questo acronimo Bey si riferisce a degli spazi liberati dalla Mappa dello Stato che per un periodo indeterminato di tempo offrono la riscoperta dell’immaginazione e del contatto non mediato tra esseri umani.

Le T.A.Z. sono zone iconoclaste, anarchiche, generatesi per improvvisazione, partecipi di uno spirito a un tempo festante e sedizioso, vissute da organizzazioni più o meno orizzontali che agiscono lontano dall’occhio della Legge. Sono come “reti nella Rete”. A titolo d’esempio, citeremo gli spazi urbani che negli anni ’90 venivano occupati dai raver per coltivare la loro contro-cultura e inselvatichire un luogo reso civile dalla tassazione. Non vi era però violenza nei loro atti (auspicabilmente), dacché queste sono le conseguenze di un moto rivoluzionario, dedito alla realizzazione di un ennesimo Programma, mentre nessuna T.A.Z. ha mai creduto in esso, né nella Storia, né tantomeno nello Stato. Chi vive la T.A.Z. crea soltanto un’alternativa spirituale all’uniformità della scolarizzazione; va dietro le quinte e armeggia con quello che era stato lasciato là dietro.

La T.A.Z. è dunque uno strumento insurrezionale nel senso di una tattica ninja. Bey non tarda a definirla, quando conscia, un’arte marziale, nel senso di una coreografia del movimento che lascia il nemico disorientato. Allo stesso modo l’insurrezione è nomade, imprevedibile, psichicamente maliziosa, e più che attaccare il nemico gioca con lui, trasformando le sue armi in punti deboli. Un collettivo di dj diffonde la notizia di una festa abusiva (ossia gratuita) giù alla spiaggia e cominciando a montare l’attrezzatura disobbedisce. Lo Stato-Storia non riesce a prevederlo; la sua dialettica riferisce questi atti alla memoria di sommosse fallimentari che non ha avuto l’accortezza di studiare; così, nel momento in cui interviene per sedarli, questi si son già dissolti, i princìpi già nascosti, l’insurrezione ha già smarrito i suoi provocatori, ma solo per restare a covare e riapparire all’improvviso da un’altra parte.

Il techno-raver ci insegna che la libertà positiva sta in noi, che la T.A.Z. è l’individuo. In queste interzone l’individuo usa se stesso e genera la discordia del Bene – interroga il Maestro. Lo guida lo spirito musicale, perché ogni ribelle si s-catena quando sente la musica. Ora che non appartiene più allo Stato-Storia, ricorda a questo che non può agire impunemente e a se stesso che la pienezza è possibile. Si avventura nella ricerca di un senso nuovo dell’Umano che tradisca quanto confezionato dalla Fabbrica e mostri quanto buono sia questo tradimento (da qui il filone dell’insurrezione trans-umanista). L’individuo-T.A.Z. è l’eccezione cosciente di se stessa, il tempo liberato dal ticchettio.

Dovrebbe essere garantito universalmente il “libero diritto alla festa” come compromesso con lo Stato-Storia – aiuterebbe lo spirito ad amarsi. L’insurrezione intanto prepara quel che sarà. Non ci sono ancora i mezzi per una rivoluzione, ma c’è la capacità di comportarsi come virus. Forse il vero dramma sta nel fatto che non ci sarà mai tempo per una rivoluzione; crollerà tutto prima. Ma ballando con le Streghe, navigando coi Pirati e sognando coi Mutanti, impareremo almeno a essere spiriti che conoscono il mondo.

 

Leonardo Albano

 

[Photo credit Spencer Imbrock via Unsplash]

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