Ragione e sentimento nell’elettorato: perché abbiamo perso la ragione

<p>Ragione e sentimento</p>

Saper riconoscere i propri sentimenti ed esprimere le proprie emozioni è fondamentale. Far andare a braccetto ragione e sentimento, è un’altra storia. Eppure oggi è più fondamentale che mai.
In un precedente articolo, scrissi di un cambiamento culturale in seno alla società occidentale iniziato nella seconda decade degli anni Duemila, e sviluppatosi in antitesi a quello che le epoche precedenti rappresentavano. Tra le caratteristiche di questo cambiamento c’è il ritorno sulla scena pubblica (oltre che privata) delle emozioni.

Si tratta, di per sé, di una tendenza positiva: il coraggio di esprimere le proprie sensazioni è alla base del benessere quotidiano di ogni individuo. Tuttavia, allontanandoci da una prospettiva micro e assumendo un punto di vista macro, la situazione non appare poi così rosea. Infatti se per la sfera privata si tratta di una scelta personale, appunto privata, per quanto riguarda la sfera pubblica, questo cambiamento può avere ricadute più evidenti, come da ultimo dimostrato da decisioni storiche degli ultimi anni.

Nel periodo post-Brexit, nel tentativo di dare una spiegazione alla scelta dei britannici, è stato coniato il concetto di post-verità: la decisione sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è infatti considerata uno dei frutti della cosiddetta era della post-verità. Quando si parla di post-verità ci si riferisce a quel fenomeno per cui un’informazione è giudicata positivamente quando suscita emozioni e sensazioni nell’ascoltatore: a definire la rilevanza di un’informazione pertanto non è la veridicità fattuale della stessa, ma la sua capacità di parlare “alla pancia” di chi ascolta. Secondo questo principio, le decisioni, quelle collettive del livello macro, vengono prese sulla base del fatto che ciò che trova riscontro nelle proprie emozioni, non può che essere vero e soprattutto giusto, perché vere e giuste sono le emozioni stesse. Tuttavia, tale meccanismo può risultare drammaticamente fuorviante, nonché pericoloso quando su questa scelta si determina il proprio voto politico.

In tal senso, può essere utile ricorrere all’esempio dell’adrenalina. L’adrenalina è infatti un neurotrasmettitore che messo in circolo in seguito ad eventi stressanti prepara l’organismo ad una prestazione fisica superiore alla normalità, necessaria per la sopravvivenza in una situazione che l’individuo (o l’animale) ha percepito di pericolo. Se per l’animale tale sostanza è fondamentale nella lotta contro un predatore o per la preda, per l’uomo che non è più chiamato a lotte fisiche per la sopravvivenza, l’adrenalina diventa controproducente poiché abbassa la capacità di ragionare e causa confusione mentale. In preda ad una emozione forte, l’adrenalina fa concentrare un individuo esclusivamente su un singolo elemento, mettendo da parte tutte le altre circostanze, che seppur rilevanti perdono attrattiva. Questa visione parziale lo porta a decisioni che non sono razionali.

L’esempio dell’adrenalina, per quanto estremo, esemplifica la situazione nell’era della post-verità, dove emozioni e sentimenti sono eretti a portatori di verità. Davanti ad una scelta complessa, per esempio quella di un voto politico, si tende a semplificare il processo decisionale a cui si è chiamati, concentrandosi solo su pochi elementi a scapito della totalità delle informazioni che rappresentano la realtà. In particolare, gli elementi favoriti saranno quelli che sono in grado di suscitare emozioni e sensazioni, secondo un processo mentale generalmente inconsapevole. Informazioni che sembrano poco attraenti, seppur fattuali o scientifiche, vengono ignorate o, peggio, considerate false (per esempio, pilotate da chi vuole farci credere in una realtà che è costruita a vantaggio dei poteri stabiliti, secondo un meccanismo tipico delle migliori teorie complottiste). Tutto ciò non significa che sentimenti e raziocinio siano inconciliabili, nemmeno davanti ad una scelta come quella del voto.

Parlando di salute mentale, la duchessa di Cambridge ha ricordato recentemente che è importante insegnare ai bambini a comunicare i propri sentimenti quando si rendono conto che sono troppo grandi e troppo forti per affrontarli da soli1. Per i bambini questo è un primo importante passo verso una stabilità emotiva. Quando si diventa adulti e pertanto membri a tutti gli effetti di una comunità civile e politica, esprimere le emozioni ed assecondarle non è più sufficiente: è necessario compiere un ulteriore passo, quello verso una conciliazione con la ragione. Un pezzo mancante e fondamentale di questo cambiamento in favore delle emozioni, è infatti la capacità di riconoscerle, nel senso di identificarle, spiegarle e interpretarle. Un adulto deve imparare a chiedersene il motivo, a riflettere sulle stesse per ricomporre tutti gli elementi della situazione che lo circonda: è chiamato a far sorreggere le proprie emozioni dalla ragione. Questo risulta particolarmente importante in un periodo come quello della post-verità, quando il rischio è che certe decisioni vengano prese su una scia emotiva che ha più l’effetto dell’adrenalina che di una salutare presa di coscienza emotiva.
Riconoscere questo tassello mancante e spiegarlo agli adulti di oggi, forse ci aiuterà a porre fine all’epoca della post-verità e a ricreare un elettorato più cosciente e coscienzioso, per non dire più razionale.

Francesca Capano

 

NOTE:
1. Le sue parole in questo video

 

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Italia sì, Italia no, Italia…

Data siderale: giorno dopo le calende di dicembre.
Anno duemilasedici della nostra era.
Sempre meno ore all’Armageddon.

A chiunque leggerà queste righe,

ho trovato un posto sicuro, ma non lo sarà a lungo perché mi stanno cercando.
Sono dappertutto, loro intendo, quelli che ti propinano la domanda sibillina “E tu cosa voti al referndum?”, quelli che ti danno del folle o dell’eroe a seconda della risposta.
Ed io per interi mesi ho dato una risposta superficiale, l’ho cambiata più volte nella mia mente ma solo perché ho perso tempo per informarmi, per documentarmi, per cercare di capire meglio cosa sarò chiamato a scegliere.
Il punto è che non posso dire queste cose ad alta voce, devo sussurrarle qui, dove rimarrò anonimo per non mostrare il fianco ma soprattutto per confessare impunemente: ebbene sì, non so ancora dove porrò la fatidica ‘ics’; fosse per me aggiungerei un quadratino con la dicitura ‘Forse’.
Legittimo no? Lo facevamo alle elementari quando scrivevamo il biglietto alla ragazzina che ci piaceva, perché dovrebbe cambiare qualcosa? Perché sottovalutare la terza via?
A me non dispiacerebbe sapete, non dispiacerebbe esprimere il mio dubbio.
Ma come spiegarlo a quelli lì? Sì, sempre quelli che mi stanno ancora cercando e che non si daranno per vinti almeno fino a lunedì.
Quante ore sono? Ancora troppe… ancora troppe, un’infinità per un latitante.

Analizzando bene la situazione – tanto per ingannare il tempo, magari per velocizzarlo – sono pochi quelli che me ne parlano tranquillamente, che mi danno addirittura delle spiegazioni sostenute da idee. No, non sono loro a preoccuparmi, non sono loro a darmi la caccia.
Sono gli altri… voi non potete nemmeno lontanamente immaginare cosa sono capaci di fare, non vorrei avvilire queste pagine con inchiostro macchiato di calde lacrime, ma non posso nemmeno starmene zitto senza denunciare.
Ti trovano, ti parlano e dicono cose.

Hanno dei superpoteri, prendetemi per pazzo se volete ma non cambio idea, so cosa ho visto.
Il primo è quello di fare discorsi sconnessi senza capo né coda: serve a disorientare, a confondere, in modo da poter colpire più agevolmente la vittima; ma sarebbe troppo facile tramortirla immediatamente; no… il loro gioco è appena cominciato.
Gliel’ho visto fare migliaia di volte, posso considerarmi veterano in questo, e forse è il motivo per cui sono una primula rossa, un uccel di bosco, sì insomma, uno sbandato.
Rafforzano il tutto con la storia dell’enigmatico complotto architettato dai poteri forti.
Ho cercato questi poteri forti, ho trovato: cultura personale, informazione libera, obiettività, confronto. Me la sono vista davvero brutta perché a loro non andavano bene.
Loro intendevano banche, case farmaceutiche, scie chimiche, Bilderberg, gli abeti della Val di Fiemme, l’associazione bocciofila di Busto Arsizio e altre malvagità che non rammento.

Una volta ho provato a ribattere dicendo che in qualsiasi caso sarà il popolo a scegliere, e che sarà in grado di scegliere anche in futuro indipendentemente dal risultato; ho detto che ci vorrà sicuramente più partecipazione, più interessamento… ho persino detto che avremmo dovuto rinunciare a qualche spritz e che avremmo dovuto imparare ad usare lo smartphone in modo intelligente.
Mi hanno rivelato beffardamente che loro a certe cose non credono, perché “quando c’era Lui”…
Di nuovo ‘Lui’, il famigerato, onnipresente ‘Lui’, talvolta scritto LVI.
Sono arrivato alla conclusione che il più pericoloso superpotere a disposizione di costoro sia il viaggio spazio-temporale.
Vedo già la vostra incredulità dipinta sul volto, ma è tutto vero: loro possono.
Si aggirano tra noi… sì, ormai ci siete dentro fino al collo quindi uso la prima persona plurale, passeggiano da un capo all’altro della Storia e sanno molte più cose di quel che può sembrare: sanno come si viveva in un’epoca molto lontana dalla loro nascita, sanno cosa volesse dire non poter votare, o esprimere la propria opinione sotto una dittatura.
Forse sanno anche com’era Dante da vicino, anzi no, questo è sicuro visto il primo superpotere dei discorsi sconnessi; però potrebbero dirci com’era Giulio Cesare da vicino, la peste nera, i lanzichenecchi… chissà!

Tuttavia sanno cosa avrebbe votato Gandhi o Cavour; me lo vedo Gandhi presentarsi con la tessera elettorale al seggio di Pescasseroli, ma vaneggio… è sicuramente colpa della paura.
Conoscono la Costituzione a memoria – almeno così dicono – sono politologi consumati, esperti giornalisti d’inchiesta, s’intendono di diritto internazionale, diplomazia, geopolitica, calcio, cucina e ricamo.
Ma la cosa più importante è che…

Aspettate, sento dei rumori.
Sono loro.
Non mi avranno.
Non mi avranno mai.

Passo e chiudo.

Alessandro Basso

Una pace in attesa di giustizia. Il referendum in Colombia

«Sogniamo che la Colombia sia un paese libero dove tutti abbiano gli stessi diritti e possano esprimersi liberamente, senza repressioni.»
Jaqueline, paramedico del blocco Jorge Briceño.

«In dieci anni abbiamo lavorato con le comunità e le famiglie dei guerriglieri e dei contadini. Abbiamo spiegato la situazione alla gente, li abbiamo aiutati ad andare avanti. Ritrovare le nostre famiglie sarà molto emozionante. Pensiamo tutti a quando rincontreremo la nostra famiglia.»
Xiomana Martínez, combattente del fronte Felipe Rincón delle Farc)1.

Queste erano alcune delle parole di speranza in Colombia. Lo storico accordo di pace tra il presidente Juan Manuel Santos e le Fuerzas Armadas Revolucionarias rappresentava la possibilità di concludere un conflitto durato 52 anni.

Il 50,2% dei votanti, tuttavia, ha scelto il voto del “senza giustizia non può esserci la pace”. Il fronte del “No”, capitanato da Alvaro Uribe, sostiene che la pace è l’obiettivo di tutti i colombiani, ma l’accordo necessita di alcune modifiche. Le questioni più controverse per l’opinione pubblica nazionale riguardano la partecipazione politica degli ex guerriglieri e la giustizia per i responsabili di crimini contro l’umanità.

L’esclusione dalla vita politica di una parte della società è stata una delle cause della guerra, ciononostante, la maggior parte della popolazione colombiana considera inaccettabile vedere gli ex guerriglieri in Parlamento, anziché nelle carceri.

Il referendum, così, sembra rappresentare una scelta tra pace o giustizia.

Eppure, la pace dovrebbe essere un diritto inalienabile dell’uomo. Come recita l’articolo 28 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo: «Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati». Si tratta del superamento del concetto di pace kantiano, secondo cui la pace non è raggiunta da un equilibrio di forze, bensì da un’assenza delle stesse. Si giunge, così, all’individuazione di una pace positiva, seguendo la definizione di Norberto Bobbio, nella quale vi è un’effettiva preparazione alla pace, attraverso la costruzione di un sistema di istituzioni, relazioni e di politiche di cooperazione.

Come assicurare un progresso verso la pacificazione in Colombia?

Grazie al contributo del sociologo Galtung per la risoluzione dei conflitti, è possibile individuare tre stadi:

1. la riconciliazione, cioè il curare gli effetti della violenza passata;

2. la costruzione della pace, cioè lo studio e l’azione per prevenire la violenza futura;

3. la trasformazione del conflitto, cioè la ricerca di metodi per mitigarli.

Nella trasformazione del conflitto è opportuno introdurre l’aiuto ai contendenti a trovare soluzioni di mutuo beneficio. Le contraddizioni tra le parti possono essere superate attraverso la ricerca di obiettivi “sovraordinati”2.

La domanda cruciale da porsi in questo momento è: cosa accadrà ora? La Colombia riuscirà a sottrarsi ai cent’anni di solitudine e ad avere una seconda opportunità?

Jessica Genova

NOTE:
1. www. internazionale.it
2. J. Galtung, Theories of conflict. Definitions, dimensions, negations, formations, Columbia University, 1958; J. Galtung, Theories of Peace. A synthetic approach to peace thinking, 1967

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Politica, follia e altre brutte storie

Sì, No, Remain, Leave, la politica e la vita sembrano ormai in balia di una logica binaria che si addice più alle macchine che alle persone, i referendum e la continua pretesa di oclocrazia, una parolaccia greca che indica semplicemente il far scegliere e il demandare qualsiasi decisione al popolo sembrano aver catalizzato questo atteggiamento. Ma quella stessa logica si insinua molto più profondamente nel dibattito pubblico di tutti i giorni.

Prendete ad esempio la questione dei flussi migratori:

  • Destro-fascio:

A1) prenditeli a casa tua!

B2) se usassimo le risorse per gli italiani tutto andrebbe meglio

C3) ci rubano il lavoro e non portano risorse in un periodo di crisi finendo per impoverire ulteriormente le fasce più deboli della popolazione “autoctona” (ammesso che questo termine abbia un senso). Portano malattie e malavita!

  • Sinistro-buonista:

A4) ma allora cosa dobbiamo fare lasciarli morire?

B5) gli immigrati ci pagano le pensioni!

C6) gli immigrati fanno i lavori che noi non vogliamo più fare e sono un elemento di sviluppo per il paese in cui si trasferiscono

In alcuni enunciati ci sono fonti di verità, ma la contrapposizione sterile che esclude la ragione ci fa dimenticare le cose più importanti, cioè che stiamo parlando di vite umane, in questo forse credo che la posizione di sinistra ideologicamente sia più condivisibile salvo non voler spezzare qualsiasi legame di fratellanza con il genere umano e concludere quindi che ci sono vite di serie A e di serie B.

A4) nella sua formulazione grezza in fondo non dice nulla di sbagliato, la vita umana è un valore, peccato che posta così finisca per essere solo un sasso argomentativo da tirare in testa a chiunque provi a problematizzare le cose e quindi a renderle concrete come ad esempio chi fa notare che sì la vita umana è un valore e va preservata, ma che conta anche la qualità della vita e quindi le politiche legate all’accoglienza e alla gestione di flussi migratori che hanno impatti economici e sociali. La mancata ottemperanza della presa in carico in maniera seria dei problemi implicherà dar più forza alle posizioni A1), B2) e ci C3) fino a derive sempre più estremiste. Come risolve il Sinistro il problema, un solo enunciato: “zitto fascista!”. Ci sarebbe da chiedersi come mai tra le fasce più deboli della popolazione siano spuntati, anche in zone storicamente di sinistra, orde di neofascisti mascherati, non sarebbe più semplice accendere il cervello e dire che non sempre le persone quando votano di “pancia” per posizioni estreme non per forza sono ideologicamente fasciste, naziste o simili, ma semplicemente stanno esprimendo un malessere? Andatevi a guardare i voti delle periferie.

Salvare vite umane ha senso, ma dobbiamo preoccuparci anche della qualità della loro vita, invece pensiamo che basti tirarli di qua della costa e stoccarli (uso il termine provocatorio) da qualche parte mettendo delle risorse un po’ a pioggia in maniera assistenzialistica e provare a vedere cosa succede. Dove l’integrazione, quella vera, è demandata ad associazioni di volontari spessi squattrinati e mal organizzati.

Vi racconto questo interessante episodio che chiamerò “I Cento Panini e la Ben Pensante”:

Una volta il giovane che chiameremo Cento Panini ebbe la bella idea di scrivere su Facebook per dire che l’aspetto delle risorse economiche è importante e non va sottovalutato la seguente frase:

“Se ho cento panini e devo sfamare duecento persone posso dividerli a metà, se le persone sono quattrocento posso farne un quarto a testa, ma se le persone diventano un milione con un atomo di panino a testa moriamo tutti di fame. A risorse finite non si può immaginare una divisione infinita.”

Che cosa accadde? La nostra temeraria ben pensante che al posto di leggere l’appello del povero Cento Panini che invocava semplicemente l’aiuto dell’Europa nella questione dei flussi migratori e il fatto che l’Italia non fosse lasciata da sola si lanciò in rocamboleschi attacchi per dimostrare che il povero Cento Panini non era altro che un tremendo fascista e chi più ne ha più ne metta.

Quando la razionalità e la ragione abdicano alla tifoseria politica ecco che esplode la follia. Così sono i social, ma a noi piace dividerci, adoriamo massacrarci dividendoci in fazioni, gruppetti e tutto a discapito della qualità della vita nostra e degli altri. Aneliamo vessilli sotto i quali nasconderci, perché come scrive bene Canetti in un bellissimo libro disperdendoci nella massa siamo tutti responsabili e non lo è nessuno, siamo tutti decisori, ma in fondo ignavi quando ci schieriamo senza aver correttamente ragionato. La nostra protagonista Ben Pensante, che mal pensava, ha preferito trovare un oggetto su cui sfogare frustrazioni che forse provenivano da altrove che provare a cogliere il senso (giusto o ingiusto) del povero Cento Panini che di sicuro non voleva mettere in dubbio l’accoglienza e la vita come un valore, ma richiamava solo alla concretezza delle cose.

“LA NOTTE DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI”

Gli intellettuali hanno poco da indignarsi per l’ascesa del populismo di Donald Trump e del Movimento 5 Stelle essi non sono la cura, ma il sintomo definitivo che il male è dilagato, che la politica non ha saputo dare risposte e quindi le persone che stanno male si abbandonano inevitabilmente a una protesta cieca senza proposta, perché ormai l’orizzonte di qualsiasi risposta possibile gli sembra ormai irraggiungibile, distante, vuoto. Il loro grido di dolore si leva oltre l’ovatta del tempo per generazioni ricordandoci tutti i fallimenti, tutte le ingiustizie e tutte le risposte mancate dove non c’è mai, MAI, nessuno che osi dire “Scusate, ho sbagliato” o se lo fa lo fa con una leggerezza tale da risultare incomprensibile anche ai propri simili.

Ho usato l’esempio dei flussi migratori per descrivere qualsiasi presa di posizione aprioristica, qualsiasi atteggiamento negativo nei confronti del prossimo e delle sue scelte. Capita centinaia di volte nei social media vedere vegani contro onnivori, vegetariani contro carnivori e un tutti contro tutti malsano, sbagliato. Gente che fa una grigliata e si sente in dovere di “trollare” allegramente sulla propria bacheca gente che semplicemente ha fatto una scelta diversa. E mi chiedo, ma l’umanità è veramente questa roba qui?

Siamo davvero diventati questa rumorosa massa litigiosa sempre pronta a scannarsi come nei viaggi di Gulliver per decidere se le uova vadano rotte dalla parte inferiore o superiore?

Qualche tempo fa ho dovuto sopportare, mio malgrado e facendoci i conti, di non esser stimato né rispettato da una persona che tutto sommato a modo mio ritengo pure interessante, avrei potuto provare a raccontarle la mia storia da dove vengo, addurre mille giustificazioni, magari raccontarmi, come fanno certi politici, che forse è semplicemente la gente che non capisce, ma le nostre azioni pesano molto più delle nostre intenzioni e alla fine traspare solo ciò che mostriamo. Avrei potuto raccontare l’infanzia difficile, paure, insicurezze, ma come la somma di tutte queste cose avrebbe anche solo intaccato il fatto che ho reiteratamente calpestato i suoi sentimenti? Alle volte semplicemente tediandola, altre infastidendola? Alla fin fine nessuno di noi si accorge mai quanto in basso può cadere e nella nostra vita quotidiana lo facciamo continuamente, i social aiutano, una cosa scritta dietro uno schermo sembra meno grave di molte altre cose. Alla fin fine tutto si riduce con la formula “Eh, ma io stavo scherzando”, credo che quasi tutte le cazzate del mondo siano nate con uno scherzo. Ci sono molti modi di ridere, si può ridere con qualcuno o di qualcuno, la differenza è abissale.

Questo mio appello a provare ad essere meglio di come siamo, ad accendere il cervello cadrà probabilmente nel rumore che ci circonda e forse avrete già chiuso questo palloso articolo per tornare a qualche social “scazzottata”, ma per chi è arrivato fin qui vuole solo essere un appello a provare a essere migliori e nessun giorno è mai troppo tardi per iniziare, basta sceglierlo. Usiamo il cervello, usiamolo tutti meglio.

Matteo Montagner 

La questione del suffragio universale

In questo ultimo periodo caratterizzato da referendum e votazioni mi sono sorpreso da ciò che questi fatti producevano al mio interno: la messa in discussione della valenza del suffragio universale.
Inizialmente pensavo fosse causato dal mio orrore mentre ascoltavo i resoconti delle affluenze così basse, delle interviste e degli autorevoli pareri di esperti. Successivamente, però, mi sono reso conto che – analizzato logicamente dal punto di vista teorico – forse una discussione attorno alla sua necessità debba essere intavolata, almeno per essere sicuri di accettarlo consapevolmente e non per comune abitudine.

Il suffragio universale è uno dei capisaldi della democrazia, introdotto in Europa nel corso dell’Ottocento – nonostante per un periodo di tempo brevissimo sia stato adottato anche nella Francia post-rivoluzionaria. Esso esprime gli ideali democratici in maniera massima: ognuno vale uno, cioè ognuno è uguale, ogni opinione ha lo stesso peso, ogni desiderio ha la stessa importanza di ogni altro. Non ci sono restrizioni: non c’è ceto, etnia, censo, genere, orientamento sessuale che tenga.
Concentriamo il nostro sguardo sull’unica discriminante: è necessario aver raggiunto la maggiore età per poter esercitare questo diritto. Quindi: per votare, è necessario avere un’età minima.
Ora mi chiedo: e perché non si è presa in considerazione anche un’età massima?
La questione è molto meno banale di quello che sembri, basti osservare cosa è successo nel Regno Unito recentemente: la parte “vecchia” della popolazione ha imposto il Leave alla nuova generazione, che aveva votato compatta per il Remain (75%). Non sto esprimendo giudizi su chi avesse ragione e chi torto, sto semplicemente analizzando un fatto: chi non vedrà i risultati del proprio voto ha imposto il futuro a chi, invece, subirà le conseguenze (positive o negative che siano) di questa votazione.
Stesso discorso per quanto riguarda, invece, due non-restrizioni: il grado di istruzione e il bagaglio di informazioni. Queste due variabili, infatti, condizionano pesantemente le nostre scelte. Guardando sempre alla “Brexit” per comodità temporale, la differenza tra zone rurali e grandi città come Londra è molto evidente.
Con ciò, di nuovo, non sto dicendo che una delle due sia nella ragione ed una nel torto, sto analizzando semplicemente dei dati.

Il problema non è di facile soluzione, perché ha a che fare con il Tutto, nel suo rapporto con la molteplicità.
Inoltre, il suffragio universale, mi sembra che presupponga se stesso nella sua accettazione: una ipotetica votazione che abbia come oggetto l’adozione o meno del suffragio universale come metodo di voto deve per forza di cose essere già aperta a tutti, e quindi esso si troverebbe già ad essere il metodo di votazione.

Un inizio di soluzione può essere intravisto alla base del sistema.
La questione non è la diversità di opinione a cui il suffragio universale dà voce; anzi: essa è ciò che permette l’essere di uno stato democratico. L’anello debole della catena è la volontà subdola di creare o trasformare opinioni negli/degli altri, di allarmare, di terrorizzare, di deviare l’attenzione verso capri espiatori. Ciò fa gravemente ammalare la validità del suffragio universale, che diventa una semplice facciata: un nome per coprire gli intenti demagoghi e populisti e un mezzo per realizzarli.
La cura, a mio modo di vedere, prevede una medicina politica ed un per la società.
La prima dà voce a come sia necessario avere la capacità critica di scegliere quali decisioni debbano essere espresse dal collettivo e quali dalla rappresentanza di esso. Con il nostro voto, infatti, scegliamo i nostri rappresentati, ai quali diamo la nostra fiducia. E una delle sezioni all’interno di questa fiducia è la speranza che scelgano per noi il meglio, a fronte di una capacità politica che noi non possediamo. Questo determina delle scelte in cui la nostra voce di popolo non conta, perché è appunto espressa dalla rappresentanza, o comunque essa tenta di raggiungere i migliori risultati possibili per la collettività.
La seconda ha a che vedere con la buona informazione.
Può essere un’utopia, in un mondo dominato dalla Rete; in cui ogni notizia è praticamente istantanea e priva di filtri, in cui si fa a gara a chi pubblica per primo una notizia, in cui i dettagli non contano: ciò che importa è il titolo (al quale una buona parte del pubblico si ferma senza andare oltre).
Ma una buona informazione è uno – se non il – presupposto perché il suffragio universale sia espressione del popolo e non di opinioni condizionate.

Massimiliano Mattiuzzo

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Brexit: il Leviatano capovolto

Al di là della valutazione sull’esito del referendum, abbiamo assistito a una pagina di storia importante per l’Unione Europea e per la storia in generale: il Regno Unito entrato nel mercato unito nel 1973 ha deciso di abbandonare l’Unione Europea. La Filosofia e il pensiero hanno l’obbligo di provare a interpretare la contemporaneità e le vicende che ci riguardano tutti, qualcosa è cambiato.
Le mutazioni derivanti dall’innovazione e la svolta digitale stanno modificando in maniera indelebile le democrazie contemporanee, assistiamo sempre di più alla richiesta di partecipazione, alla disintermediazione che sembra minare in profondità l’idea stessa di democrazia rappresentativa. La democrazia rappresentativa sorge da esigenze palesi, non tutti possono decidere tutto o essere informati su tutto, servono luoghi preposti alla decisione, infrastrutture precise e la decisione non può essere sempre estesa a tutti, eppure il modello democratico che vede nel Regno Unito un esempio a partire dal 1700 sembra entrare in crisi in una nuova richiesta di partecipazione.

Il Regno Unito è la patria di Thomas Hobbes, teorico della turborappresentatività: tutti i cittadini devono stringersi intorno a un despota illuminato e dar così vita al Leviatano; oggi quel Leviatano sembra essersi capovolto, le classi dirigenti sembrano sempre più in balìa di una smodata richiesta di partecipazione che non riescono a canalizzare. Del resto una delle lamentele ricorrenti relative all’Unione Europea è proprio la sua distanza, il sembrare scarsamente rappresentativa della volontà del popolo o di una nuova categoria che serpeggia sempre più nel dibattito pubblico quotidiano “la gente”.

«Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest’uomo o a questa assemblea di uomini, a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto, e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile. Fatto ciò, la moltitudine così unita in una persona viene chiamata uno stato, in latino civitas. Questa è la generazione di quel grande Leviatano o piuttosto – per parlare con più riverenza – di quel Dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa…»
Thomas Hobbes, Leviatano

Hobbes oggi ci sembra un autore estremo, dispotico, conservatore e accentratore, ma nel contempo appare altrettanto rischioso far esprimere tutti su tutto se non correttamente informati. Studi recenti mostrano come l’analfabetismo funzionale sia in fase dilagante mentre l’istruzione di base delle persone è complessivamente migliorata, ma se è vero che ormai quasi tutti sanno leggere pare che non tutti siano in grado di interpretare correttamente un testo. La rete, internet e la digitalizzazione sono strumenti potentissimi per l’informazione, ma diventano anche veicolo di disinformazione: quante volte abbiamo visto amiche e amici cadere tranello in qualche bufala? Perché la tentazione di leggere superficialmente e condividere alle volte è forte, l’approfondimento o il controllo delle fonti risulta faticoso e complesso – anche chi vi scrive adesso un paio di volte è cascato in qualche idiozia per pigrizia. L’editoria così come l’abbiamo conosciuta è in crisi e il controllo delle fonti sembra sempre più superato, la comunicazione si è velocizzata a discapito della profondità; e non lo scrivo con nostalgia, non si torna indietro, ma bisogna farci i conti perché la circolazione di informazioni fallaci comporta anche la costruzione di opinioni meno consapevoli o per nulla consapevoli, irrazionali e dettate spesso da rabbia o rivendicazione.

Guardando la BBC stupisce vedere certi intervistati dire:
«I’m shocked e worried. I voted Leave but didn’t think my vote would count. I never thought it would actually happen». Oppure: «What I have done? I actually didn’t expect the UK to leave».
Persone che in fondo non pensavano che il loro voto avrebbe contato, che lo hanno fatto superficialmente o per esprimere un malessere. Persone che magari lo hanno fatto nella convinzione, anche questo è un mito ricorrente nel dibattito contemporaneo, al motto “tanto i poteri forti non ce lo faranno mai fare!”. Ecco, questa vicenda ha dimostrato che si può uscire dall’Europa, che la democrazia diretta può esprimersi liberamente; non ci sono limiti e proprio per questo dovrebbe renderci tutti più responsabili, perché tutti andiamo a determinare quel Leviatano molto strano di cui ci parla Canetti nel libro Massa e Potere. L’autore impiegò 38 anni a scrivere questo libro, ci tengo a segnalarlo per far capire quanto è complessa questa bestia strana che chiamiamo “Massa”, che è formata da tutti e nel contempo è anche “altro” dalla mera somma di tutti noi.
L’Europa, per le generazioni che l’hanno voluta, era l’orizzonte per sentirsi di giorno in giorno in una “casa”, in un posto più sicuro dopo che la divisione intestina degli Stati Nazione aveva portato a quella deriva culminate nelle due guerre mondiali; oggi ci avventuriamo in acque inesplorate dove ci si chiede fino a che punto si sfogherà questa spinta centripeta che potrebbe vedere la disarticolazione del Regno Unito con la separazione di Irlanda del Nord e Scozia. Ma non è solo questo: in Spagna si inizia a chiedere che Gibilterra, dove ha ampiamente vinto al 96% il Remain, possa tornare spagnola.

Hobbes afferma che il suo Stato assoluto può degenerare in una tirannide, tuttavia ripete a più riprese che questa situazione sarà sempre migliore e più sopportabile della guerra civile. Estremo? Decisamente sì. Però bisogna anche far attenzione ad invocare la democrazia diretta attraverso il referendum in maniera poco accorta, perché il paese si può anche spaccare generando fortissime tensioni sociali tra le parti.

C’è chi ha ridotto questo voto alla disuguaglianza derivante dall’Unione Europea e il declino della classe media, ma è interessante notare invece che i giovani britannici, i quali certamente sono il gruppo sociale che soffre più di tutti delle accresciute disuguaglianze economiche, hanno votato in massa per restare, mentre chi soffriva meno, ovvero gli anziani, ha deciso di lasciare. C’è da aggiungere che molti anziani hanno fondi pensione integrative molto sensibili alla fluttuazione della sterlina e che quindi subiranno maggiormente la sofferenza della moneta.

Non esprimo giudizi, ma pare che l’epoca contemporanea sia sempre più in balìa di un Leviatano capovolto: non un monarca al potere, ma l’egemonia della massa nell’epoca della rete e della democrazia diretta, dove ognuno vale uno, ma non sempre si può garantire che ognuno sia informato correttamente.

La Filosofia e i saperi umanistici forse possono essere d’aiuto nella acquisizione di una maggior consapevolezza, perché senza consapevolezza non può essere fatta una scelta davvero genuina: possiamo scegliere nell’ignoranza, ma restiamo pur sempre responsabili della nostre azioni – come dice Aristotele -, quindi meglio assicurarci di aver capito bene cosa stiamo scegliendo prima di impugnare la matita e fare una X su un foglio elettorale.

Matteo Montagner

La Patria delle trivelle

In seguito alle votazioni di ieri, mi è giunta forte fortissima la riflessione su un concetto tanto semplice quanto denso di significato, quello di Patria.

Nella modernità troppo spesso si è utilizzato il socialismo marxista per demolire l’amore di patria, infatti, si cercava di diffondere l’idea che se la patria è qualcosa di  ereditato dagli antenati attraverso la tradizione, allora il lavoratore dipendente, che non possiede nulla di suo, non trae alcun vantaggio dalla patria, quindi va respinta come mero vuoto sentimentalismo che le classi dominanti sfruttano per meglio assoggettare i popoli e di cui i proletari  è meglio che si sbarazzino per il progresso del mondo.

Questo pensiero per molto tempo è stato alla base di ogni più stupida e ridicola denigrazione dell’ideale della Patria e purtroppo si sente ripetere ancora troppo spesso da alcuni di vergognarsi di essere italiani, di non sentirsi italiani se rappresentati da una determinata fazione politica: questo non è essere patrioti!

La politica non deve mai compromettere il sentimento che si prova per la propria terra! Un sentimento, appunto, che non svanisce solo perché non si concorda con una determinata politica; l’amore per la propria Nazione deve trascendere questo puro materialismo, anzi, a causa di questo dovrebbe aumentare l’orgoglio patriottico.

La denigrazione del proprio Paese non ci rende degni di esso, di questo ne sono certa.

Concordo con Fichte, esponente dell’idealismo tedesco, quando afferma:

Ma dove mai si può trovare una garanzia per queste aspirazioni e questa fede dell’uomo bennato nell’eternità e perpetuità dell’opera sua? Evidentemente solo in un ordine di cose che egli possa riconoscere eterno in sé e capace di accogliere in sé l’eterno. Tale ordine è quella speciale forma spirituale dell’ambiente umano, che non si può chiudere in un concetto e tuttavia esiste realmente, da cui egli è uscito fuori con la sua attività e la sua mentalità e colla sua stessa fede nell’eterno: il popolo da cui è nato, in cui fu educato e crebbe qual è ora.

[…] Ecco dunque il significato della parola “popolo”, dal punto di vista di un mondo spirituale: quel complesso di uomini conviventi permanentemente e permanentemente riproducentesi sia naturalmente che spiritualmente, stando esso sotto una speciale legge di sviluppo dell’elemento divino che esso ha in sé. La comunanza di questa “speciale legge” è appunto ciò che cementa questo complesso di uomini nel mondo eterno e quindi anche nel mondo temporaneo, facendone un tutto organico e tutto! pervaso di sé. […] Quella legge di sviluppo dell’elemento primitivo e divino determina e compie ciò che si è chiamato il carattere nazionale di un popolo.”

Il concetto di popolo nell’idealismo si fonda con quello di spirito, visto come dimensione metaindividuale alla quale il singolo appartiene: attraverso questa identificazione l’uomo è in grado di oltrepassare i suoi limiti perché entra a far parte di un processo infinito ed eterno. In questo modo risulta chiaro che la Nazione è la vera dimensione dell’individuo in cui può effettivamente realizzarsi.

Ho scelto Fichte perchè a mio avviso esprime proprio il sentimento, la dimensione spirituale che lega l’uomo al proprio Paese: la Patria è ciò in cui vige un legame di partecipazione profonda, di vera e propria identificazione  mediante la quale l’individuo supera la propria particolarità per sentirsi un’unica realtà con gli altri.

La Patria è ciò che ci fa conoscere l’eternità nella nostra finitezza terrena, è

il fiorire del divino nel mondo, sempre più puro, più perfetto, più prossimo al limite nel suo infinito perfezionarsi. Perciò l’amor di patria deve governare lo Stato come suprema incontrollata istanza”.

La voglia di Unità d’Italia deve riguardare tutti gli italiani ogni giorno dell’anno, attraverso la riscoperta dell’universale ideale della Patria che è ciò che ci rende forti e pronti a combattere ogni tipo di sistema che non ci vada a genio, altrimenti, se questo sentimento lo manteniamo sopito dentro di noi o, anzi, lo deturpiamo, beh non lamentiamoci di chi siamo ora e di quello che saremo domani.

Valeria Genova