La pittura, crocevia del reale e del sensibile

In contrapposizione a quelle scienze attuali che si rapportano al mondo come pensiero di sorvolo, riducendo le cose a oggetti in generale, invece di abitarle, Merleau-Ponty ricorda l’importanza di accompagnare il pensiero all’Essere – quello effettuale presente – cioè all’originaria co-appartenenza di Io e mondo, mediata dal corpo.

L’arte e, in particolare, la pittura, è ciò che ancora ci permette di attingere a questo “strato di senso bruto”, evidenziando la genesi corporea dell’immagine.

Il corpo di cui parla Merleau-Ponty è un fascio di funzioni, un intreccio di visione e movimento, al tempo stesso vedente e visibile nel suo enigma e paradosso: in grado cioè di guardare e guardarsi. Riconoscendo l’altro lato della sua potenza visiva, quel corpo si vede vedente, si tocca toccante, è visibile e sensibile per se stesso, situato nel tessuto del mondo, nell’intreccio/chiasmo tra senziente e sentito: nel corpo umano, quando vedente e visibile, chi tocca e chi è toccato, un occhio e l’altro avviene un re-incrociarsi.

L’immagine cui la pittura dà voce celebra l’enigma della visibilità. Nell’immagine il pittore – l’unico ad aver diritto di guardare tutte le cose senza alcun obbligo di valutarle – ricerca il farsi della visibilità, il dispiegarsi del senso nel visibile, e al tempo stesso porta alla manifestazione quella visibilità diffusa in cui si annullano le differenze tra vedente e visibile, tra chi dipinge e chi è dipinto.

Lo specchio è il mezzo tramite cui il vedente si scopre guardato e l’io si sdoppia nell’altro. In Merleau-Ponty la ricerca del pittore è rivolta verso la vita del visibile, cioè in direzione di quel mistero di passività che lo anima dall’interno.

Nella fenomenologia, il linguaggio e la pittura convergono verso quell’espressione creatrice tramite cui il non-ancora- essere viene ad espressione. La pittura si presenta così come creazione in quanto presenta il mondo sensibile creandolo sempre di nuovo, mai una volta per tutte. Il mondo viene infatti creato ogni volta che il pittore pone mano a una tela e ogni volta che il fruitore si immerge completamente in essa.

La pittura, in particolare, richiede un superamento del paradigma soggetto-oggetto: il soggetto, abdicando a sé e ponendosi nella posizione di chi guarda l’opera, da cui è a sua volta guardato, entra in comunicazione con l’opera stessa. Si produce dunque un chiasmo tra quest’ultima e chi la osserva.

L’opera d’arte cerca di dare una forma al mondo sensibile rendendolo manifesto nel visibile della forma artistica. Così si propone come tramite che permette al suo creatore di poter dialogare con esso: le forme mute del mondo parlano attraverso l’artista, grazie alla forma che riconosce loro.

Il pittore, o l’artista in genere, si dà con tutto il suo corpo e così lascia che il suo spirito si immerga completamente nell’Essere del mondo che lo circonda. Immergendosi in esso coglie la sua reale essenza, la quale trova compimento solo sulla tela, quando la mano di quest’ultimo fa parlare quelle cose mute che vorrebbero farlo ma non possono.

Il pittore, dunque, rende visibile ciò che senza di lui non avrebbe accesso alla coscienza: il suo potere creativo viene dalla capacità del corpo vissuto di trascendersi verso il mondo e verso gli altri soggetti. Nella pittura, quindi, si dà il dispiegarsi del “senso del mondo”, come la metamorfosi di esso.

La pittura costituisce quell’ambito dove mondo e arte trapassano l’uno nell’altro tramite il corpo. C’è un nesso inestricabile fra il guardare e l’essere guardato, che rivela che la visione attuale del vedente è un qualcosa che lui subisce a opera delle cose viste. Tra i pittori citati da Merleau-Ponty, oltre Cézanne vi sono Matisse, Klee e Marchant: «Ecco perché i pittori hanno sovente amato […] raffigurare se stessi nell’atto di dipingere, aggiungendo a quel che allora vedevano ciò che le cose vedevano di loro, come a testimoniare che esiste una visione totale o assoluta al di fuori della quale niente rimane, e che si richiude su loro stessi».

La tela del pittore è come se si voltasse indietro per ricercare il senso dal quale proviene, senso che spinge il pittore a “interrogare” il mondo, dopo che è stato interrogato da esso, e che fa della tela stessa non una rappresentazione del mondo, ma una manifestazione o una presentazione di esso “quasi- eterna”. Si parla dell’opera d’arte come un tutt’uno tra il quadro e il senso che esso porta con sé, per cui, come il quadro è nel tempo, così anche il senso è nel tempo, si dà in esso. Ed essendo il tempo non immobile l’unica cosa che domina l’uomo e che si consuma in esso una volta morto, allora non sarà possibile dare una forma definitiva, e quindi fissare una volta per tutte un senso.

 

Riccardo Liguori 

NOTE
Maurice Merleau-Ponty, L’OEil et l’Esprit, Édiotions Gallimard, 1964; tr. it. a cura di Anna Sordini, L’occhio e lo spirito, SE, Milano 1989.

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

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6 proposte per il nuovo anno. Una riflessione dalle lezioni americane di Calvino

In questo mio primo articolo dell’anno, vorrei iniziare con il piede giusto e parlare di buoni propositi. Ognuno avrà già la sua personalissima lista di obiettivi bene in mente, la mia sarà quindi una riflessione più generale, perchè in realtà preferisco rovesciare il concetto di proposito e parlare piuttosto di insegnamenti, di valori. Ecco, se dobbiamo ricominciare con un nuovo anno, meglio farlo con una valigia attrezzata ma leggera, solo l’essenziale. Il resto lo buttiamo. Liberiamoci di quello che non ci serve e sviluppiamo invece le nostre armi migliori, gli strumenti idonei per affrontare quello che verrà con consapevolezza e spirito critico. Facciamo  spazio a quei valori che ci permettano di allenare lo sguardo, per essere più attenti e aperti a nuove prospettive.

Io ora qui ne propongo sei, di valori sui quali puntare, e me li indica il grande Italo Calvino: le sue Sei proposte per il nuovo millennio, o anche Lezioni americane (ciclo di conferenze che si sarebbero dovute tenere a Harvard nel 1985), sono suggerimenti preziosi. Anche se di millenni nuovi all’orizzonte ancora non se ne vedono, abbiamo pur sempre un nuovo anno a cui pensare.

Oltre a essere incredibilmente attuale, il testo di Calvino è un ottimo spunto di riflessione sui valori della comunicazione, del linguaggio e della letteratura. I suoi sei attributi da “salvaguardare” possono essere delle ottime indicazioni per chi della comunicazione e della narrazione ha fatto un mestiere, in questo articolo, però, vorrei generalizzare e considerare le sei proposte di Calvino come spunti creativi validi per tutti.

1. Partiamo dalla leggerezza, il primo valore della letteratura sul quale Calvino decide di soffermarsi. A cosa ci serve la leggerezza? A semplificare, a dare valore alle piccole cose, ad allenare una certa sensibilità alla meraviglia.
Per questo, essere leggeri di fronte a certe questioni dell’esistenza ci aiuta a cambiare prospettiva sulle cose.

Attenzione però a non confondere leggerezza con frivolezza, perché quest’ultima non riflette un pensiero, ma solo un guscio vuoto.

2. Continuiamo con la rapidità. Inizialmente non capivo quale potesse essere il valore offerto da questo attributo. Se nell’attuale società dell’immediato manca qualcosa è proprio un rinnovato gusto per la lentezza, di tutto ciò che è veloce forse ne abbiamo abbastanza.
Importante però dire che l’autore sottolinea più volte come un attributo, nella sua definizione, includa anche il suo opposto. Perciò, se Calvino loda le virtù della rapidità, è perché prende coscienza del valore della lentezza (questo vale anche per tutte le altre lezioni). La rapidità è prima di tutto agilità, pensiero intuitivo e istante creativo, rivelazione. Si tratta anche di una questione di ritmo, Calvino parla di due tempi, quello di Mercurio, divinità dai calzari alati, e quello di Vulcano, divinità dell’operosità lenta e concentrata. Ogni storia, ognuno di noi, deve saper trovare il giusto equilibrio tra i due.

3. L’esattezza è la terza lezione, ed è un invito ad appassionarsi al linguaggio, a restituire alle parole il loro giusto valore, facendo attenzione alle sfumature di significato, cercando sinonimi, riscoprendo la bellezza delle metafore. Anche l’indefinito necessita di un lessico esatto e Calvino, a dimostrazione di questa tesi, ci porta l’esempio di Leopardi nello Zibaldone e la sua visione dell’infinito che trova espressione in una descrizione accurata e precisa.
Il valore dell’esattezza, uscendo dai confini letterari, è la capacità di definire obiettivi e di perseguirli con determinazione, di dare forma alle nostre idee e di esprimerci correttamente, diversificando e valorizzando i nostri canali di comunicazione.

4. La visibilità, nel senso in cui Calvino ne parla, è la potenzialità del testo di farsi immagine. Oggi potremmo intendere questo attributo come visione, capacità immaginativa, che per l’autore è un’abilità necessaria e intrinseca dell’essere umano.
La costruzione può avvenire dal testo scritto all’immagine o viceversa: è così che funziona il pensiero. Calvino,infatti, preoccupato, si domanda se bombardato dalle immagini come avviene al giorno d’oggi l’uomo non vada incontro a una perdita delle sue capacità immaginative (e questo nel 1985, chissà cosa direbbe ora). In assenza di un “vuoto” c’è ancora spazio per l’immaginazione? Lascio la domanda aperta.

5. Ultimo capitolo è quello della molteplicità, che l’autore intende come conoscimento plurale. Una riflessione particolarmente adatta alla realtà odierna in cui le informazioni si diffondono e si condividono attraverso la rete. La biblioteca di Babele di cui parlava Borges è ormai il web (anzi su internet esiste davvero). Addirittura, le parole di Calvino ci aiutano a valutarne tutto il potenziale: internet come lo spazio del sapere diffuso, condiviso e libero. Certo, la realtà delle cose è ben diversa, ma ciò non ci vieta di sfruttare al meglio gli strumenti che abbiamo a disposizione. Anche perché, quello che Calvino essenzialmente fa in quest’ultimo capitolo è dichiarare tutto il suo amore per la letteratura, che ancora oggi non ha perso la sua funzione di integrare e connettere le diverse conoscenze, offrendo una visione plurale del mondo:

«il sapere scientifico necessita d’essere contestualizzato e incluso in una prospettiva filologica, storica, critica, umana. Altrimenti, è un valore vuoto».

Ampliando il discorso, credo che questa lezione ci inviti a essere sempre curiosi, critici, lettori affamati, ma anche a non sottovalutare, anzi, a valorizzare, tutte le nostre esperienze e il nostro background culturale.

6. La sesta lezione purtroppo Calvino non è riuscito a concluderla e a noi resta solo sotto forma di bozza e appunti. Non sapremo mai se con il titolo consistency (nell’originale compare solo il termine in inglese) volesse far riferimento alla sua accezione di coerenza o di consistenza vera e propria. Possiamo prendere come spunto entrambe le definizioni: essere consistenti in quello che facciamo e coerenti con noi stessi, che significa essere disposti al cambiamento senza però perdere di vista i propri valori.

Con la consistenza terminiamo le sei lezioni. Questo articolo non vuole certamente essere un’analisi esaustiva del bellissimo e complesso saggio di Italo Calvino, ma una rilettura personale, sperando che possa essere d’ispirazione e motivo di riflessione. Perché le parole di Calvino sono incredibilmente attuali e, leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, consistenza, possono essere ancora oggi delle ottime chiavi di lettura del mondo che ci circonda.

 

Claudia Carbonari

 

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Comunicare l’intimità: il rapporto artista-pubblico nell’epoca dell’industria dell’arte

Qual è la cosa più importante quando sei un artista emergente, estremamente valido ma sconosciuto alle masse? Farti conoscere, è ovvio! Arrivare al pubblico. Farti vedere. Farti sentire. Raggiungere più persone possibile. Internet può aiutarti in questo: posta, condividi, invita, linka, spamma il tuo contenuto ovunque, fai in modo che gli occhi si rivolgano su di te. Diventa famoso, diventa una star. Un giorno forse potresti essere in televisione. Cattura il tuo pubblico, hai tutto quello che ti serve per farlo!

Oppure fermati. Forse ti sei già fermato. E l’hai fatto per un motivo preciso: ti stai chiedendo “perché?”. Sei di fronte alla tua opera, la guardi – o la ascolti, o la rileggi – e senti che dentro a quella cosa ci sei tu. Una parte della tua storia, del tuo sentire, del tuo pensiero è lì dentro. Senti il bisogno di comunicare agli altri quello che sei, quello che hai fatto; senti il bisogno di essere riconosciuto da loro e di essere guardato, di aprire la porta per lasciar vedere uno scorcio di te, di quello che hai a cuore, di quello che affolla la tua mente. Per questo hai deciso che vuoi condividere tutto questo con un pubblico.

A questo punto, la strada da prendere sembra molto chiara: è quella descritta qui sopra, quella che passa per internet, quella che può portarti al più vasto numero di persone. I media ce lo insegnano da sempre: quando si tratta di raggiungere il pubblico la massima universale è “the more, the better”.  Più pubblico significa più soldi, più visibilità, più sguardi. Ma tu sei pronto a sostenere tutti questi sguardi? Il tuo pubblico conoscerà una parte di te che tu forse hai considerato profonda ed essenziale. Tu non vedrai mai, probabilmente, i loro occhi.

Alcuni artisti di fronte alle grandi masse si sentono come prodotti in vetrina. È una sensazione che può essere capitato di provare ad ognuno di noi: quella di sentirci impotenti di fronte a sguardi che non possiamo controllare, che hanno la possibilità di guardarci come se fossimo cose. C’è chi non lo desidera. C’è chi non vuole essere semplicemente un prodotto.

Gli esempi di artisti contemporanei che decidono di abbandonare la prospettiva della fama e della grande diffusione per un approccio più intimo con il pubblico sono moltissimi, e continuano ad aumentare: dalla performance art, legata a quell’unico qui ed ora, io e te in cui si svolge, alla scelta di pubblicare le proprie opere tramite canali indipendenti e diffonderla solo entro una cerchia limitata di persone conosciute – o che fanno parte di uno stesso gruppo, di uno stesso movimento, che si trovano ad uno stesso evento.

Durante una delle mie frequenti peregrinazioni nel mondo della musica indipendente mi è capitato recentemente di imbattermi nei lavori di un giovane dj danese, Loke Rahbek – in arte Croatian Amor – che nel 2014 ha portato avanti un progetto molto particolare per il lancio del suo album The Wild Palms: vendere le copie dell’opera, disponibili in formato audiocassetta, durante un periodo di tempo limitato (dal 22 giugno al 22 luglio 2014) unicamente a coloro che gli avessero inviato una richiesta accompagnata da una foto che li ritraesse nudi e con la scritta “The Wild Palms” presente da qualche parte sul proprio corpo. Ogni copia era autografata dall’autore e accompagnata da una lettera con il suo speciale ringraziamento.

Lo scambio si basava su una mutua promessa: l’acquirente non avrebbe fatto ascoltare a nessun altro l’album, e l’artista non avrebbe mai mostrato a nessuno le fotografie. Lo scopo era quello di creare un rapporto di intima condivisione tra chi ascoltava la musica e chi l’aveva composta – un rapporto privato, unico, un rapporto di fiducia tra persone che non si conoscono, ma si mettono a nudo l’una di fronte all’altra. Io nudo nella mia musica, voi nudi nelle fotografie.

È un progetto sicuramente strano, e forse molti potrebbero trovarlo discutibile; ma in un mondo che vediamo sempre più sottoposto alla mercificazione di qualunque cosa, in cui l’industria musicale genera prodotti il cui unico scopo è incassare il più possibile durante quei due mesi in cui saranno ricordati, in cui la pubblicità dei contenuti li rende irrimediabilmente freddi e inumani, in cui la maggior parte delle immagini di nudo che circolano sono pura pornografia – nel mondo in cui insomma ci troviamo immersi ogni giorno, mi è sembrato un progetto straordinario.

Uno spunto di riflessione che non può fare a meno di farci ripensare il nostro rapporto con l’arte, con il suo significato. Davvero merita di diventare un prodotto industriale? Davvero possiamo permettere che istituisca rapporti tanto asimmetrici tra la “star” e i suoi fans? Davvero possiamo accettare che questa somma forma dell’espressione dell’umano e della connessione intersoggettiva sia consegnata ad una dimensione che ne sopprime il carattere intimo e profondo?

Ho saputo dell’esistenza di questa realtà solamente nel 2016. Il progetto The wild palms era concluso da due anni.

Rahbek non ha mai reso pubbliche le fotografie che ha ricevuto. Qualcuno ha caricato l’intero album su Youtube – non senza polemiche da parte di chi ne conosce la storia – e io l’ho ascoltato. Rahbek non ha mai avuto una mia foto.

Mi sono chiesta se abbia un senso così.

Eleonora Marin

Eleonora Marin è nata nel 1996 ed è attualmente iscritta al corso di laurea in Filosofia presso l’università Ca’ Foscari di Venezia.
Nel quotidiano cerca di far interagire il suo percorso di studi con la passione per la letteratura, la musica e le arti in generale.

[Nell’immagine, tratta da Google Immagini, la performance The Artist is Present di Marina Abramovič al MoMA di New York nel 2010]