Una citazione per voi: Schopenhauer e la vita come sogno

 

• LA VITA E I SOGNI SONO PAGINE D’UN SOLO LIBRO •

 

Tra gli autori che più e meglio hanno parlato del sogno troviamo Arthur Schopenhauer, che nel suo capolavoro – Il mondo come volontà e rappresentazione (1819) – ci offre un interessante punto di vista. In un intrico di argomentazioni sul nesso tra rappresentazioni vere e astratte, Schopenhauer ci conduce ad una domanda spinosissima: «non potrebbe essere tutta la vita un sogno?», un interrogativo che richiama quello di Cartesio delle Meditazioni metafisiche. Se però il filosofo francese intendeva risolverlo nella degradazione del sogno a mera illusione, Schopenhauer approderà all’esatto opposto.

Anzitutto, ciò che possiamo sostenere è che il ricordo del sogno sia meno nitido e a fuoco della realtà, ma non che il sogno stesso sia meno concreto di quella. Non sono valide, inoltre, né la visione di Kant – che voleva il sogno meno autentico perché regolato dalla casualità –né la prospettiva empiristica di Hobbes, secondo cui il sogno differisce dalla vita in virtù della rottura che lo caratterizza al risveglio. Diventa allora legittima un’altra ipotesi: non sarà che non c’è rottura e alterità alcuna tra le due dimensioni? Balza agli occhi del filosofo tedesco come si dia quest’affinità strettissima, della quale non si deve aver motivo di vergogna come vorrebbero razionalismo e logocentrismo. Anzi, come hanno sostenuto in tanti – da Platone fino allo Shakespeare de La tempesta – potremmo pensare che il mondo reale sia avvolto come un sogno da un Velo di Maya, e che noi stessi non siamo altro che «il sogno di un’ombra». Leggiamo la celebre immagine che a tal proposito ci offre Schopenhauer:

«La vita e i sogni son pagine d’un solo e medesimo libro. La lettura condotta con continuità e coerenza si chiama vita reale. Quando però l’ora consueta della lettura (il gioco) giunge al termine e viene il tempo del riposo, noi spesso continuiamo a sfogliare il libro e ad aprire, senza ordine e continuità, una pagina ora qui ora là»1.

È vero, nella vita c’è più rigore che nel sogno e ci sembra che le due realtà siano a se stanti in virtù dell’evento del risveglio, che segna il passaggio da una vita mnemonica ad una mondana. Ma, guardando più da vicino, ecco che cogliamo l’illusione nella realtà così come scorgiamo un senso perfino nell’incubo più assurdo. Qui una pagina più ordinata, causale e rigorosa, ma non meno velata dal gioco delle apparenze; lì una pagina creduta caotica ma che di fatto è scritta nei caratteri di un disordine ordinato; qui un capitolo dall’ampio sviluppo, che trova il suo epilogo al momento della morte; lì uno breve, che inizia e finisce nell’arco di una notte.

 

Nicholas Loru

 

NOTE:
1. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Einaudi, Torino 2013, I, §5, p. 47.

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Dimmi la verità

“Dimmi la verità, dimmi la verità”, e tu boccheggi, t’inceppi, tossisci e farfugli qualcosa, non capisci se il tuo cervello riesce a raccapezzarsi, a scrutare quel niente che non comprende e tutto quello che avresti voluto dire si confonde, perde significato, annaspa in un marasma senza forma perché pieno di identità diverse. Ogni cosa è potenzialmente vera, tutto custodisce un segreto così pregno e fecondo di potenziali verità che non puoi non considerarlo nel momento stesso in cui si rivela; ma allora perché non rispondi, perché balbetti, perché ti ammutolisci di fronte a quella richiesta? Lo sai che è impossibile da soddisfare, la stessa plausibile risposta rimanda a un’infinità di altri interrogativi e già inizi ad avvertire quel senso di vuoto e perdizione che come un invisibile buco nero si allunga sul tuo mondo. Devi fermarti, prenderti del tempo per riflettere, per carpire la significanza dei tuoi dubbi, delle tue inquietudini, cerchi di ricordare e far riemergere quello che i grandi maestri ti hanno insegnato, le loro profonde riflessioni deposte tra migliaia e migliaia di pagine, ma nulla, nulla riesce a orientarti, a guidarti verso la risposta che tanto agogni, che tanto agogniamo, e con crescente affanno cominci a cogliere le clausole di quei ragionamenti, dei pensieri di quegli uomini immortali, le consapevolezze private, il peso di ciò che hanno taciuto, le parole non dette, evanescenti, lasciate tra le righe a chi è capace d’intendere, di sopportare, di abbandonarsi a un sorriso amaro di fronte all’abisso, parole riflesse solo nel buio perché troppo, troppo estranee e spaventose.

Ehi, ehi, andiamo con calma, la verità è un disvelamento, una luce che rischiara, come il sole che arriva a baciare la terra dopo l’oscurità della notte, dunque cos’è che illumina la mia mente, il mio pensiero, che scaccia l’oblio e la dimenticanza? Può essere l’arte, lo sfogo e l’esperienza estetica, può essere la logica, l’inattaccabilità della matematica e del ragionamento, può essere l’etica, il sentimento spirituale e compassionevole, può essere semplicemente l’ovvio, la prima idea, la prima parola, l’evidenza più palese, può, può, può essere qualunque di queste cose, ma può e basta, è potenzialità fumosa e intangibile che non sa dare alcuna certezza nella nostra esperienza del mondo, del tempo, figurarsi poi in una prospettiva cosmica: è anche lecito credere che là dove lo spazio, il tempo, la storia e la realtà si dilatano ed estendono infinitamente oltre la dimensione umana, tutto ciò che consideriamo attingibile e forte di (forse) verità impallidisca e si sbricioli in un lampo, divenga polvere antica persa in voragini tremende, che senso ha anche solo dare valore etico, umano e razionale a una stella, a una galassia, alle ere geologiche di questo o di un altro dei tanti, innumerevoli mondi che galleggiano negli spazi siderali? Se la verità è davvero luce, ha già perso in partenza, miliardi di stelle e l’universo è ancora buio.

“Dimmi la verità, dimmi la verità”, ma come puoi chiedermi una cosa del genere? La verità, il disvelamento, il disvelamento di cosa? Cosa dovrei smascherare? La bugia, l’inganno, che bugia, che inganno? Di cosa stai parlando? Intendi forse l’inganno di un dio burlone e pazzerello? Dio, dio, non importa quale significato tu dia a questa parola tanto fraintesa e sbeffeggiata, anche lui ha paura, scappa, si mostra ai cuori spauriti degli uomini, decanta la sua condotta infallibile e il suo giudizio giustissimo, apre le braccia, le distende oltre gli orizzonti in segno di maestosa magnanimità, ma non farti illudere, sta solo cercando di coprire ciò a cui lui stesso dà le spalle. Questo ideale grandissimo, così intenso e sconfinato, come un martire si addossa le angosce e i tormenti degli uomini, ascolta il funesto messaggio del cosmo che striscia fuori dalle profondità più ignote e malvagie, dai vuoti freddi e acquosi in cui vortica una natura immensa, apatica come un antico idolo violento: è lei che bisbiglia dovunque, non senti niente perché si lascia solo percepire, ma lei è la verità, la verità muta, silenziosa, un caso amorale che rimbomba tacito come un inquietante presagio. Dio è lì che sanguina, e come mai?, noi non ci fidiamo, è ovvio che nasconde qualcosa e così abbiamo squarciato il velo di Maya che aveva intessuto, lo abbiamo cacciato e calpestato come figli ingrati, alcuni hanno visto, hanno voluto tornare indietro, ma come puoi sperare di chiedere aiuto a un dio appeso alla croce?, puoi solo ascoltarlo gemere, implorare, sentilo mentre chiede il nostro perdono, lui sa di esser colpevole di averci celato questo infinito silenzio.

“Dimmi la verità, dimmi la verità”, poi zittisci chi te lo chiede e alzi un dito in segno di monito, gli dici di ascoltare, di ascoltare oltre le voci degli uomini, di ascoltare oltre i battiti dei loro cuori, oltre i loro pensieri, ascoltare oltre il canto della vita e il respiro del vento, ascoltare oltre le pagine della storia, oltre i ticchettii del tempo, oltre il mormorio sommesso delle stelle, ascolta, ascolta, e dimmi, senti qualcosa? No, nemmeno io.

Leonardo Albano

[Immagine tratta da Google Immagini, dal film Gravity]

Al di là del velo di Maya

Ho sempre voluto scrivere su di te.

Conservo a mò di tesoro tutti i tuoi libri sullo scaffale, di cui ogni tanto leggo qualche pagina, sapendo di non dovere superare una certa dose di parole.

Troppe sono così vere da far male.

Più ti leggo e più desidero smentirti, ma ogni volta mi rendo conto che nessuno avrebbe potuto essere più lucido di te

Quando penso a te, alle tue lezioni a cui nessuno partecipava, sorrido…gli uomini non capiscono mai la genialità che sta loro di fronte. Erano tutti troppo preoccupati a segnare ogni singola parola che usciva dalla bocca di Hegel per rendersi conto che lì, nell’aula accanto, stava un uomo che con le sue teorie apriva anticipatamente l’era della filosofia contemporanea: Arthur Schopenhauer.

Arthur Schopenhauer (1788-1860) era un filosofo ma prima di tutto e sopra ogni altra definizione era un essere umano.

Cercava verità, bramava intensamente quella risposta in grado di bloccare per sempre ogni domanda. Questa è la sete dell’Assoluto, intransigente bisogno umano di dare un senso unitario ad ogni cosa. Ma Schopenhauer sapeva di essere un uomo, sapeva che il mondo di cui si teorizzava era popolato da uomini come lui: diversi, imperfetti, instabili.

La soluzione del relativismo poteva sembrare l’unica possibile: tante verità relative, ognuna per ogni uomo che popola questo mondo. Soggetivismo stremo.

Tuttavia il prezzo di questa soluzione era troppo alto: l’abbandono totale di certezze, di una verità, la perdita della speranza nella coerenza del mondo.

Schopenhauer non poteva farlo e ci rivela invece che dietro ogni singolo essere umano, dietro ogni desiderio, ogni scelta, insomma dietro ogni atto con cui crediamo di esprimere la nostra personalità più autentica in realtà siamo agiti. Non siamo mai noi a farlo, o meglio, non lo decidiamo noi, è la volontà di vivere che mette in scena sè stessa facendo uso delle nostre membra.

Siamo dei burattini.

Siamo semplici mezzi per la realizzazione della volontà di vivere, semplici tasselli di un mosaico facilmente sostituibili e viviamo nell’inconsapevolezza di questa tragicommedia.

Siamo stupidi esseri umani che credono di essere unici, la realtà dei fatti è che siamo tutti indiscriminatamente volontà di vivere.

Il filosofo parrebbe averci consegnato al pessimismo più nero.

Cosa può fare allora l’uomo per mettersi in salvo dalle catene della necessità di vivere?Come essere sè stesso? Come essere libero?

Il passo più grande sta nell’autoconsapevolezza.

E’ quando abbasso lo sguardo sul cammino che ho fatto, lo guardo dall’esterno, lo critico, che dimostro di poter vincere la volontà di vivere.

Quando giungo alla consapevolezza della forza maligna che coltiva sè stessa nutrendosi dei miei desideri, quando strappo il velo di maya che mi rendeva cieco difronte ad una realtà così palese, ho già in parte vinto.

La strada per la liberazione inizia qui, nel preciso istante in cui sento di non essere io a vivere la mia vita, ma un cieco istinto che si fa beffa di me.

Qui inizia la lotta e sarà un duro conflitto dove l’uomo cercherà di staccarsi dall’elemento primario, pur sapendo che è ciò che lo tiene in vita.

Sarà una rivolta contro le proprie membra, che metterà totalmente a soqquadro la sua esistenza ma in cambio gli donerà la libertà.

Questa è l’ascesi, che tanti hanno interpretato come un distacco totale dalle sensazioni del corpo, io invece ritengo che si possa rileggere Schopenhauer come l’esortazione a raccogliere dietro le sensazioni le vere emozioni. Un appello ad andare al di là del mero bisogno, del semplice istinto ed avere la forza di pretendere per sè stessi l’emozione.

L’uomo potrà dire di vivere veramente solo quando sacrificherà il bisogno e metterà a rischio la sua sopravvivenza pur di sentire il battito del proprio cuore accellerare vertiginosamente.

Non concordo con la morte per inedia, per il lasciarsi morire, e qui penso ti stia sbagliando Schopenhauer: non vincerò il bisogno e l’abitudine ad essere vivo negando la vita ma celebrandola al massimo grado, pretendendo da ogni giorni le emozioni che vorrei provare nell’ultima ora della mia vita.

 Valentina Colzera

[immagini tratte da Google Immagini ]