I calvinisti inconsapevoli

I calvinisti inconsapevoli sono tanti, alcuni credono di essere Cattolici Apostolici Romani perché vanno in Chiesa la domenica, altri credono di essere Buddisti perché credono nella reincarnazione, altri ancora si credono atei convinti, invece in tanti, troppi sono dei calvinisti inconsapevoli. Laicamente sono in tanti ad aver abbracciato il calvinismo inserendosi perfettamente nella dottrina protestante anche se ormai laicizzata. Quante volte abbiamo sentito persone fare spallucce o peggio davanti a barconi pieni di esseri umani che si inabissavano alla ricerca di nuova fortuna? Quante volte abbiamo sentito dire “se l’era cercata”? Quante volte abbiamo sentito dire qualcuno, anche vicino a noi, “ma ‘sti qua non potevano stare a casa loro?”?.

Uno dei presupposti fondamentali del calvinismo è che

“Dio ha predestinato dall’eternità chi sarebbe stato oggetto della grazia salvifica indipendentemente da qualsiasi loro merito, per solo Suo insindacabile e giusto beneplacido.”

In questo modo si sancisce che chi ha fortuna è con Dio, chi non ha fortuna in qualche modo si accolla una sorta di “colpa” originaria per cui era inevitabile che fosse così, senza speranza. Consapevoli o meno quando diamo per scontata la sofferenza del prossimo o in qualche modo pensiamo che non ci riguardi in fondo pensiamo che noi abbiamo una qualche sorta di diritto di sentirci superiori, cosa che capita spesso anche rispetto all’orgoglio di essere nati in un posto e non in un altro, una mera questione di longitudine insomma! Che lo sappiate o meno quando pensiamo così siamo tutti d’accordo con il buon Jean Cauvin, Giovanni Calvino un teologo francese scomparso nel 1564

In un articolo del 1864 Charles Dickens, lo straordinario scrittore che raccontò i costi umani del progresso industriale avanzato, lanciò anche questa domanda ai difensori dell’arricchimento a qualunque costo: “L’umanità in genere, la carità più piccola, è sensazionale?” Oggi molti definirebbero Dickens “buonista”, ed è una parola che non vale nemmeno più la pena commentare tanto è insopportabile.

Nell’autunno che sta cambiando l’Europa, con la presa d’atto che le migrazioni enormi ci riguardano ed è meglio governarle che farcene travolgere, abbiamo visto immagini che ci hanno rassicurato sull’esistenza di tante persone buone: i cittadini che in Austria e Germania hanno accolto profughi stanchissimi con applausi, cibo e giocattoli, le centinaia di auto che si sono dirette verso l’Ungheria per accelerare il viaggio di molte famiglie allo stremo, partite dalla Siria o dall’Afghanistan e, in ogni caso, da luoghi dove non si può vivere, l’ex premier socialista dell’Ungheria Ferenc Gyurcsany, che ha accolto in casa famiglie di rifugiati, sfidando l’accusa di anti-patriottismo contenuto in leggi volute dall’attuale primo ministro Viktor Orban.

Non pretendo di dare ricette su come valutare e gestire i fenomeni enormi delle migrazioni sulla Terra, su questo faticano persino quei politici che sono davvero d’alto livello. Nel mio piccolo mi basta la commozione provata nel vedere in azione i buoni sconosciuti. Un termine che ormai si usa poco è “brave persone”. Evidentemente “bravo” sarà meno glamour di “bello”, eppure, tra i miliardi di parole che si scrivono ogni giorno, ci piacerebbe che qualcuno componesse un “elogio alle brave persone”.

Fedor Dostoevskij diceva che la bellezza salverà il mondo, e noi possiamo solo sperare che avesse ragione. Di certo c’è bellezza nella sensibilità verso il dolore degli altri e nella quotidiana, sommessa difesa della bontà. Si pagano prezzi per questo, ma esiste sempre qualcuno che capisce una “sonata per le persone buone”.

Matteo Montagner

Chi siamo per parlare di giustizia morale? L’immigrazione ci svela i nostri limiti

Tutti parlano di migranti. Tutti vogliono esprimere il loro giudizio a riguardo. Oggi provo anch’io a dire la mia, e ad organizzare in qualche riga i miei ingarbugliati pensieri.

Come prima cosa vorrei mettere al bando ogni tipo di giudizio di valore che è stato formulato in merito a questa vasta e complicata questione. Io credo che affrontare il dibattito a suon di “è giusto accogliere”, “è giusto rimandare a casa” non sia affatto efficace. In particolare, ciò che mi sembra fallace è lo stesso coinvolgimento della sfera della Giustizia. Perché non limitarci ai soli dati di fatto? Perché deve esserci per forza una Verità a riguardo?

L’intero processo storico è stato marcato da fenomeni di emblematica rilevanza; credo che possa essere elevata a tale anche l’ondata immigratoria che negli ultimi tempi si è posta con così tanta determinazione al cospetto della nostra attenzione e delle nostre sensibilità. È banale affermare che una migrazione di una così vasta portata (che coinvolge persone provenienti da svariati paesi, e spinte a partire da svariate motivazioni) sia una delle sfide più imponenti che finora si siano mai presentate nella lista delle cose da fare dei cosiddetti paesi “avanzati”. Una sfida che però li coglie (e forse, ci coglie) impreparati. Ma d’altronde, come si può essere pronti a gestire una tale emergenza? Forse arrabbiarsi con i vari organismi statali e con l’Europa tutta è superfluo: chi ha mai immaginato una situazione come questa?

La Storia, inoltre, non insegna! La Storia offre chiavi di lettura, parametri di confronto, strumenti; ma non fornisce alcuna soluzione. Ecco perché non mi piace, in quanto anacronistico e dunque totalmente inutile, associare il fenomeno immigratorio attuale con altri avvenuti in passato. L’unico punto in comune tre i migranti di oggi e quelli di ieri è il ritrovarsi costretti a partire, a lasciare il proprio luogo di origine. Indipendentemente dagli ideali politici, questo fattore dovrebbe toccarci tutti, in quanto cittadini e in quanto uomini. Mi auguro (e voglio sperare) che nessuno sia capace di rimanere indifferente di fronte alle notizie e alle immagini che quotidianamente fuoriescono dalle pagine dei giornali, dagli schermi televisivi, o addirittura dagli stessi telefoni che con costanza ed ossessione stringiamo in mano. Ma ciò che veramente fa la differenza, tra ieri ed oggi, sono le congiunture sociali, politiche e soprattutto economiche. Ed è questo il vero punto decisivo, in quanto influisce non solo sull’elaborazione delle strategie politiche volte a regolare il grande flusso umano, ma anche sulla nostra percezione di quanto sta accadendo. Questo punto, a mio parere, è tanto decisivo quanto spaventoso: il migrante, letto alla luce delle sovrastrutture che inevitabilmente condizionano il nostro pensare, viene scorporato della sua dignità e viene percepito come minaccia. Minaccia alla nostra “perfetta” e “pacifica” società; minaccia alla nostra economia; minaccia al nostro già travagliato mondo del lavoro. L’empatia, l’elogio dell’interculturalità, lo spirito di fratellanza, l’altruismo, talvolta vengono messi in ombra e soffocati. Ma infondo, è davvero legittimo condannare del tutto un tale atteggiamento, seppur di chiusura si tratta?

Io non ho risposte, e con queste righe non ho voluto esprimere alcun giudizio di parte. Ho cercato di descrivere la situazione così come appare ai miei occhi forse inesperti; ma soprattutto ho cercato di evidenziare la problematicità intrinseca ad ogni ragionamento in materia di immigrazione. Mi premeva il desiderio di stimolare la riflessione al dubbio e all’ignoto, perché troppo spesso riscontro un abuso delle etichette “moralmente giusto e quindi buono”, “moralmente sbagliato e quindi da denigrare”. Chi siamo noi per parlare autenticamente di giustizia morale?

Federica Bonisiol

[immagine di proprietà de La Chiave di Sophia]