I giovani d’oggi come i vecchi di ieri

 

La giovinezza ha cominciato a essere percepita e rappresentata come problema solo di recente, a partire dall’accelerazione del mutamento sociale e dei processi di forte differenziazione propri della modernità.
L’età della tecnica colpisce, infatti, specialmente i giovani d’oggi che, nonostante l’aria spavalda ed arrogante, celano una fragilità e vulnerabilità emotiva pesanti. Questa sofferenza emotiva diffusa tra le giovani generazioni è causata principalmente dal nichilismo prodotto dalla tecnica: un nichilismo che porta ad un senso di insicurezza e precarietà.

Nell’opera, L’ospite inquietante, Umberto Galimberti presenta la crisi della società, specialmente penetrata tra i giovani, come causata dal cambiamento di prospettiva nei riguardi del futuro: si è passati dal futuro-promessa al futuro-minaccia e questo ha generato il senso di irrequietezza, di insensatezza tra i giovani.

La tecnica, fin dagli inizi, aveva illuso l’umanità di poter uscire dalla condizione di precarietà dettata dal suo stato di natura, alla ricerca di sicurezza e di indipendenza; ciò non è accaduto, anzi, l’insicurezza si è affermata come simbolo della nostra età contemporanea e l’uomo è diventato ancora meno indipendente di prima, perché oggi come oggi nessuno può fare a meno della tecnica. Accade soprattutto tra i giovani che per primi si sono invaghiti di questo pericoloso apparato che li ha, infatti, portati a un profondo disagio interiore spesso inconsapevole. Il futuro visto come minaccia si è imposto sempre più nella concezione giovanile riguardante il tempo; questo ha generato un continuo processo di demotivazione che ha portato a un aumento di asocialità, di chiusura in sé stessi. Si afferma l’importanza del presente, della vita giorno per giorno, senza preoccuparsi di quello che potrà accadere domani, perché anche volendo la società di oggi non lo permette; tutto questo è nato con l’avvento della tecnica che ha chiuso le porte del futuro, rendendolo incerto e indefinito.

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I giovani d’oggi affrontano ogni tappa della vita in modo utilitaristico, nel senso che pensano alla gratificazione presente, senza più impostare obiettivi futuri; anche i rapporti personali sono frutto di accordi funzionali tra gli individui per un benessere momentaneo; è diventato difficile, in questa società, instaurare rapporti sinceri con le altre persone e questo è molto evidente tra i giovani contemporanei, sempre più soli perché la società odierna ha affermato l‘individualismo, dove ognuno lavora e agisce per sé stesso, ognuno affronta le situazioni della vita a seconda del suo benessere senza pensare minimamente a quello comune. Il disagio giovanile ha portato a non percepire più l’integrazione sociale, l’acquisizione dell’apprendimento, l’investimento nei progetti come realizzazione di un loro desiderio (U. Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli, Milano, 2007, p. 29).

Il processo di individualizzazione è particolarmente evidente nella realtà giovanile, investita direttamente da tutte le mutazioni avvenute in ogni campo della società, dopo l’avvento e lo sviluppo della tecnica, che prospettano, dunque, l’incertezza come un fatto normale di esperienza per le giovani generazioni.

Anche il riconoscimento, connesso al concetto di identità, è diventato difficile per i giovani: esso è un fatto relazionale che presuppone comunicazione tra gli individui, dove per comunicazione si intende la capacità di raccontarsi all’altro per dimostrare l’esistenza della propria personalità; ma oggi i giovani non sanno più rispondere alla domanda chi sono? (F. Crespi, Tempo vola) perché non hanno più certezze, quindi non esistono più risposte inequivocabili, l’indeterminatezza sta dilagando nella nostra società contemporanea.

Valeria Genova

[Immagini tratte da Google Immagini]

Filosofarti: Febbraio e Marzo ricchi di Filosofia ed Arte!

 

Quando si appartiene ad un mondo, se ne scoprono di infiniti altri che gli appartengono e popolati da abitanti che condividono la stessa passione per la la medesima materia.

La materia in questione è la Filosofia.

La nostra redazione è venuta a contatto con una meravigliosa realtà di Gallarate, provincia di Milano, FILOSOFARTI, un Festival della Filosofia annuale, che, come si legge nel loro sito, è

a cura del Teatro delle Arti di Gallarate in sinergia con l’Amministrazione Comunale di Gallarate e la Fondazione Comunitaria del Varesotto, primo partner di progetto. L’iniziativa, che da alcuni anni gode ormai di una riconoscibilità da parte di un pubblico cresciuto anche qualitativamente, vede gli enti organizzatori avvalersi di patrocini illustri, fra i quali spiccano la Regione Lombardia, l’ Assessorato alla Cultura dei comuni di Gallarate e di Busto Arsizio, la Provincia di Varese, il Miur nella sua espressione provinciale UST, l’Ex Irre Lombardia – Gestione Commissariale, l’Università dell’Insubria nell’ambito del progetto ‘Giovani pensatori’ e l’Università degli studi San Raffaele di Milano. Inoltre ha ottenuto il patrocinio della Città Metropolitana di Milano e, non da ultimo, l’alto patrocinio della Presidenza della Repubblica. La logica progettuale sottesa fa sì che la programmazione sia davvero cogestita dalle diverse realtà emergenti nella cultura cittadina e provinciale per un prodotto coerente e dinamico. L’Università della Terza età, il MAGA, Il Sestante Fotoclub, e molte altre realtà cittadine, oltre a varie case editrici, coinvolgono così il territorio in una progettazione che porta la filosofia alla gente, senza deludere le aspettative degli specialisti.

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Questo Festival, che è partito oggi ma proseguirà anche nel mese di Marzo, ci piace perché ha il nostro stesso intento, quello di dare la possibilità a chiunque di confrontarsi con la riflessione filosofica, dal bambino, al neofita, all’esperto o al semplice curioso.

Il programma è pensato in modo da coinvolgere fasce di età e di interesse molto ampie, attraverso forme che alternano lezioni magistrali di grandi autori del settore a esperienze laboratoriali, tenendo presenti anche i bambini, secondo l’esperienza delle Philosophy for Children, e la popolazione adulta e/o anziana con l’esperienza del Caffè filosofico, molto diffuso nell’hinterland milanese e mirato allo scopo.

Questo Festival è assolutamente innovativo perché non si basa solo sulla Filosofia, quale pensiero o riflessione astratta, ma sull’intreccio di tale materia a realtà artistiche, quali teatro, cinema, arte figurativa, musica, danza e scrittura.

Un Festival completo che quest’anno avrà come tema “Nutrire l’ente: il sacro, il bello” e vedrà la presenza di ospiti illustri tra cui Marc Augé, Philippe Daverio, Massimo Cacciari, Umberto Galimberti, Umberto Curi.

La chiave di Sophia vi consiglia di partecipare, perché, in un Paese in cui si pensa non ci sia nessuno che si prende cura della cultura, questo festival è la dimostrazione che la cultura, invece, vive ed è forte!

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Valeria Genova

{Immagini tratte dalla pagina FB del Festival]

Tecnica beffarda

L’Occidente è caratterizzato dalla tecnica, visto come luogo della razionalità assoluta che non concede spazio alle passioni ed agli istinti.
Umberto Galimberti, nella sua teoria sulla concezione della tecnica, sostiene che nelle condizioni attuali l’uomo non è più al centro dell’universo.

La tecnica continua ad essere pensata come strumento nelle nostre mani, invece essa si è diffusa in tutto ciò che ci circonda, costituisce l’ambiente stesso e subordina tutte le vere esigenze dell’uomo alle sue esigenze. Ma il rapporto tra uomo-tecnica si è letteralmente capovolto, ovvero non è più l’uomo a governare la tecnica, ma è la tecnica che ha assoggettato l’uomo alle sue regole razionali e ai suoi ritmi.

L’uomo è tale solo quando persegue uno scopo che è quello di trovare un senso; la tecnica non cerca un senso, pensa solo a funzionare. La nostra irrazionalità contro la sua dura razionalità. Viviamo, dunque, in una società sottomessa alla tecnica, noi stessi dipendiamo da essa; è come un circolo vizioso da cui è quasi impossibile uscire perché ormai l’uomo non può più fare a meno dei suoi apparati, egli è diventato il loro semplice funzionario, è sempre meno individuo; ma la cosa drammatica è che l’essere umano non avendo istinti per stare al mondo deve essere tecnico sin dal momento della sua nascita. La tecnica ci vuole completamente irresponsabili, ovvero passivi, semplici azionatori di un meccanismo, perché promuove un fare senza scopi, un fare prodotti.

Anche l’etica non può fare a meno di essere coinvolta dalla tecnica: la prima, oggi come oggi, non è in grado di contrastare la seconda, ovvero non può impedire alla tecnica di progredire quando e come vuole. L’etica quasi scompare perché il mondo non è più naturale ma completamente artificiale e l’agire viene sostituito dal fare tecnico che tende solamente al perseguimento di risultati a-personali.

La tecnica ci porta al di là dei limiti etici pensabili, ci dischiude uno scenario lontano da ogni fine, da ogni produzione di senso, da ogni limite; l’uomo viene così doppiamente beffato: il potere di gestire la tecnica non è nelle sue mani ed è, anzi, dominato da questa che lo rende inferiore. L’assolutismo della tecnica comprende un insieme di mezzi che non ha in vista dei fini ma degli effetti che traduce i fini in altri mezzi per uno sviluppo infinito della sua efficienza. Non esistono più valori validi di per sé stessi ma ciò che ha valore è diventato ciò che può essere mezzo per raggiungere uno scopo che rimane comunque privo di senso. L’uomo appartiene alle dimensioni previsionale e progettuale che lo rendono inevitabilmente tecnico per procurare la soddisfazione dei suoi bisogni: l’uomo ha necessità della tecnica per potersi realizzare; in questo senso la tecnica non è più un mezzo ma diventa il primo scopo che tutti desiderano.

Anche la concezione politica viene modificata: ora tutti gli uomini hanno potere perché inseriti nell’apparato tecnico, dunque facenti parte di una catena di montaggio in cui una sola rottura interrompe l’intero apparato; il destino dell’immenso apparato tecnico è nelle mani di tutti.

La tecnica ci modifica in tutto e per tutto, compreso il nostro modo di rapportarci al mondo,

perché solo così si può garantire una certa regolarità nel processo.
Noi non siamo più in grado di comprendere e di trovare il nostro posto nel mondo, per questo ci dobbiamo sempre più adattare all’apparato e alle comodità che la tecnica offre.
Per Galimberti viviamo in una società al servizio dell’apparato tecnico e non abbiamo i mezzi per contrastarlo, soprattutto perché abbiamo la stessa etica di cent’anni fa, un’etica che regola il comportamento dell’uomo tra gli uomini; quello che serve oggi è una morale che tenga conto anche della natura.

La tecnica, così fredda e razionale, ha relativizzato tutte le immagini e le simbologie di cui l’uomo necessitava per potersi muovere e orientare nel mondo.
L’uomo non è più libero ma si trova incatenato da ciò che credeva potesse liberarlo dal suo stato naturale; e non è più nemmeno sereno perché tutto ha cominciato a velocizzarsi, il tempo non ha più l’ambito del vissuto, ovvero non è più un tempo soggettivo che accompagna la vita di ogni individuo ma è l’uomo che deve stargli dietro perché oramai il tempo è diventato indifferente verso tutto e tutti.

Per approfondimenti: Umberto Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli, Milano, 2007

                                       Umberto Galimberti, Psiche e techne, Feltrinelli, Milano, 2002

Valeria Genova

[Immagini tratte da Google Immagini]

 

 

Sta scrivendo…(L’attesa e la speranza ai tempi di WhatsApp)

Umberto Galimberti scrive:  
Nell’attesa non c’è durata, non c’è organizzazione del tempo, perché il tempo è divorato dal futuro che risucchia il presente a cui toglie ogni significato, perché tutto quello che succede è attraversato dal timore e dall’angoscia di mancare l’evento.  La speranza, invece, guardando più lontano e ampliando lo spazio del futuro, distoglie l’attesa dalla concentrazione sull’immediato e dilata l’orizzonte. 
E nello spazio tra attesa e speranza?
Ci trovate su WhatsApp.

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