Una parola per voi: malinconia. Ottobre 2018

A partire da questo mese i nostri Selezionati per voi – libri e film cambiano la loro veste. D’ora in avanti ogni mese sceglieremo per voi una parola: un’emozione o uno stato d’animo tipico del periodo che andremo a vivere, che vi presenteremo di volta in volta con una poesia o una citazione. Selezioneremo allora, come d’abitudine, libri, film, canzoni e opere d’arte legati alla parola del mese! Come vi sembra questa nostra proposta?

Si alzi il sipario e iniziamo con “malinconia”, parola introdotta dalla poesia Canzone d’autunno del poeta Paul Verlaine.

I singulti lunghi
dei violini
d’autunno
mi struggono il cuore
d’un languore
monotono.

Ah squallido
e smunto, quando
risuonan l’ore
io mi ricordo
dei giorni in fuga
e piango;

e vado errando
nel cupo vento
che mi trasporta
di qua, di là,
simile alla
foglia morta.

 

Fil rouge del mese è l’autunno e la sensazione di languore malinconico che ci fa ripiegare su noi stessi, lasciandoci sospesi fra una stagione nuova e una vecchia ormai conclusa, piena di ricordi. Veniamo trasportati dalle stagioni senza poter controllare lo scorrere del tempo (siamo sospinti di qua e di là come foglie morte), ma al contempo il mutare dei colori attorno a noi, le foglie che cadono, l’aria frizzante e le giornate più corte ci provocano nel cuore uno struggimento speciale e dolce – una sorta di dolore misto a piacere che temiamo ma ricerchiamo. Singhiozzi e violini: Verlaine richiama una musicalità che gli era familiare e crea una sconfinata voglia di rimembrare – magari di quand’eravamo bambini e la scuola ricominciava portando con sé doveri, novità e crescita.

 

UN LIBRO

chiave-di-sophia-parla-ricordoParla, ricordo – Vladimir Nabokov

Quell’andare errando a cui Voltaire dà voce nella sua Canzone d’autunno risuona tristemente nelle pagine, forse ormai perdute nel limbo della memoria, di Parla, ricordo di Nabokov. Questi insegue ovunque la sua Musa, la Nostalgia. Nostalgia per una patria perduta, per una lingua, per una vita rubata. Sopra ogni cosa la nostalgia di cui racconta è per una bellezza ormai perduta, imputabile alla crudele mano umana e all’azione erosiva del tempo che porta ad una sconsolata ed irrimediabile solitudine.

UN LIBRO JUNIOR

la-chiave-di-sophia-scrivilalaguerraScrivila, la guerra – Luigi Dal Cin, Simona Mulazzani

Un album illustrato con un lungo contenuto testuale, ideale per portare i bambini d’oggi indietro nel tempo, a quando la guerra faceva piangere e non dava da mangiare. Il piccolo protagonista tira fuori la sua guerra e la scrive nel taccuino nero che il papà gli ha regalato dopo essere tornato dal fronte. La guerra, infatti, non può rimanere dentro, altrimenti finisce per soffocarti. Un libro semplice e commovente, che lascia nei cuori una sana scia di malinconia, consigliato a tutti i piccoli lettori dai 6 ai 10 anni all’incirca.

UN FILM

chiave-di-sophia-frantzFrantz – François Ozon (2016)

Presentato in anteprima alla 73ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film di François Ozon è un omaggio al cinema dei classici, versione moderna di Broken Lullaby di Lubitsch, ispirato a sua volta alla pièce L’homme que j’ai tué di Maurice Rostand. Nell’atmosfera elegante e rétro del primo dopoguerra, tra la Germania e la Francia del 1919, attraverso la sapiente scelta del bianco e nero per documentare il passato e evocare il grigiore di una vita in lutto, il thriller psicologico di morte e rinascita indaga il triangolo affettivo tra Anna, il defunto Frantz e Adrien, il poeta annientato dal ricordo, freudianamente sostituto dell’oggetto perduto. Frantz, leitmotiv di tutta la storia, è evanescenza pura, assenza così evidente da rendersi paradossalmente presenza protagonista e i versi della Chanson d’automne di Verlaine, che risuonano malinconici lungo la pellicola, rivelano la sua archetipica funzione rigeneratrice.

UNA CANZONE ITALIANA

chiave-di-sophia-ultimo-bacioL’ultimo bacio – Carmen Consoli

È una chitarra malinconica, accompagnata da archi leggeri, a raccontarci “l’eroico coraggio di un feroce addio”, la fine di un amore siglata da un bacio sotto la pioggia, momento di stacco tra la promessa di una vita in due e la realtà della solitudine che verrà. La ballata dal cuore gonfio di Carmen Consoli fa di “mille violini suonati dal vento” un eco di quelli cantati da Domenico Modugno in Piove e dei “violini d’autunno” di Verlaine, sottofondo musicale di un “per sempre” pieno di rimpianto e nostalgia, la certezza che ogni pioggia che verrà riporterà mente e cuore a quella che ha lavato via le lacrime dalle guance di due amanti separati-uniti dal loro ultimo bacio.

UNA CANZONE STRANIERA

the wall chiave di sophia pink floydComfortably Numb – Pink Floyd

Lampi del passato ad illuminare un oscuro presente. Ciò è quanto accade a Pink, la rockstar protagonista del pezzo Comfortably Numb della band inglese Pink Floyd – nonché dell’album The Wall (1979). Sulle note di uno dei migliori assoli di chitarra di David Gilmour, nei versi cantati da Roger Waters e dallo stesso Gilmour, la canzone racconta delle allucinazioni provocate al musicista dall’inoculazione del farmaco che avrebbe dovuto farlo uscire dall’abulia depressiva in cui è scivolato. In questi deliri, emerge l’immagine del passato, vagheggiato malinconicamente da Pink come porto sicuro al quale tornare dopo aver affrontato i marosi della sua vita da rockstar – ed essere naufragato in un’esistenza di eccessi, ridotto alla scoglio del guardare assente lo schermo di una tv in una camera d’albergo.

UN’OPERA D’ARTE

chiave-di-sophia-turner-fightingThe fighting Téméraire – William Turner

Le acque placide del Tamigi, una grande nave a vela della Marina inglese trascinata da un moderno rimorchiatore e un caldo tramonto che altro non rappresenta che l’inesorabile volgere al termine delle glorie di quella nave da guerra, reliquia della vittoriosa battaglia di Trafalgar ora dismessa e condotta lentamente alla demolizione. L’immagine è semplice e immediata. Parla di un passato glorioso che è definitivamente concluso, di un’età dell’oro che non tornerà, del destino di tutti e di tutte le cose, il quale, impietoso, conduce alla decadenza anche i più valorosi. La pietà resta solo negli occhi di chi, rimanendo, assiste con vena malinconica al tramonto di eroi le cui gesta soltanto sopravvivranno al logorante trascorrere del tempo.

 

Al prossimo mese, con la prossima parola.

 

Francesca Plesnizer, Sonia Cominassi, Federica Bonisiol, Rossella Farnese, Giacomo Mininni, Riccardo Coppola, Luca Sperandio

 

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“Mother!” è un incubo freudiano perturbante

Das Unheimliche è un vocabolo della lingua tedesca, utilizzato da Sigmund Freud nel 1919 come termine concettuale per esprimere, in ambito estetico, una particolare attitudine della paura che si sviluppa quando una cosa (o una persona, una impressione, un fatto o una situazione) viene avvertita da noi come familiare ed estranea al tempo stesso, scaturendo una generica angoscia unita a una spiacevole sensazione di confusione ed estraneità. In italiano il termine è stato spesso tradotto con l’aggettivo sostantivato perturbante. Al cinema, il corrispettivo dell’Unheimliche freudiano potrebbe essere individuato in Mother!, nuovo film dello statunitense Darren Aronofsky, il regista che nel 2011 aveva diretto Il cigno nero.

Presentato in concorso alla settantaquattresima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, Mother! (o Madre! se preferite la traduzione italiana del titolo) ha diviso fin da subito critici e spettatori, generando una serie di riflessioni e giudizi contrastanti sul valore etico ed estetico della pellicola. Il perché di tante polemiche e discussioni è presto spiegato: Mother! è un film pensato per disturbare lo spettatore, per farlo uscire dalla comfort zone della sala cinematografica in cui si trova e per scaraventarlo in un incubo a occhi aperti della durata di oltre due ore. Piccola precisazione: il termine incubo qui non vuole far intendere che il film di Aronofsky sia per forza un horror, perché sarebbe sbagliato etichettarlo in questo modo. Piuttosto potrebbe assere catalogato come un complesso thriller psicologico. La verità è che Mother! oltrepassa ogni possibile definizione di genere perché è una sorta di unicum rispetto a tutto quello che abbiamo visto finora al cinema.

La trama segue le vicissitudini di uno scrittore in crisi d’ispirazione e della sua musa intenta a sistemare la casa in cui hanno deciso di vivere. All’esterno dell’edificio sembra esserci solo la natura incontaminata, all’interno dell’abitazione regnano invece i sentimenti più disparati di una relazione: dall’amore alla rabbia, passando per le piccole gioie fino ai sogni infranti. Il microcosmo della casa dovrebbe essere idilliaco per i due coniugi, ma c’è sempre qualcosa in agguato pronto a minare la serenità di un rapporto che insegue di continuo il sogno della perfetta felicità. Poi, all’improvviso, il mondo esterno inizia a fare irruzione nella casa della coppia. Prima con piccole avvisaglie, poi in maniera sempre più invasiva. Jennifer Lawrence interpreta la personificazione della pars costruens, la donna che cerca di costruire e sistemare la propria esistenza insieme a quella del compagno, ricoprendolo di cure e attenzioni. Javier Bardem è invece l’artista demiurgo e imprevedibile che, dando vita alla pars destruens, rimane sempre in bilico tra caos e ragionevolezza.

Impossibile raccontare di più, onde evitare di rovinare un film che andrebbe vissuto con la piena volontà di lasciarsi trasportare dalle immagini, senza pretendere che queste possano avere un significato ed un senso nell’immediato. Mother! è uno di quei film che potrà disgustarvi o deludervi a una prima visione ma che saprà smuovere le vostre coscienze spettatoriali, lasciandovi con un’infinità di spunti su cui riflettere nei giorni successivi a quando lo vedrete. È un film che ha bisogno di tempo per essere assimilato e che non lascia indifferente chi lo guarda. Per questo è un’opera coraggiosa e stimolante che merita di essere vista al cinema superando i pregiudizi che potrebbero influenzarne la visione. Mother! parla al cuore e soprattutto alla mente dello spettatore. È un film che denuncia lo stato di degrado e violenza in cui si trova oggi il nostro Pianeta. È un’opera che non si vergogna di essere autobiografica nel momento in cui mette in scena il rapporto tra un artista e la sua musa (Aronofsky e Jennifer Lawrence sono una coppia nella vita reale). Soprattutto è un film che ha il coraggio di prendersi dei rischi immani e di osare tantissimo pur di raccontare una vicenda capace di provocare una reazione forte in chi la guarda. Un lavoro in cui i difetti non mancano, ma che sarà capace di accompagnare per molto tempo i suoi spettatori, lasciando un messaggio che per ognuno di loro sarà diverso. In questo risiede la forza del Pertubante: nel portare alla luce ciò che credevamo nascosto e inesistente, facendoci diventare consapevoli di come l’arte, capace di indagare realmente le dinamiche umane, riesca ancora a turbarci nel profondo, avvicinandoci nel contempo al sublime.

Alvise Wollner

 

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