La filosofia della storia in Tucidide: inevitabilità e ripetitività

Tucidide di Atene, storico e militare di V secolo a.C., ha lasciato ai posteri, oltre alle numerose pagine della sua opera, La Guerra del Peloponneso, una traumatica e disincantata filosofia della storia. Dietro agli scontri, alle battaglie, alle perdite che coinvolgono l’intera Grecia, dilaniata da un conflitto civile senza eguali, si nasconde, secondo lo storico ateniese, un’immutabile e drammatica causa scatenante, che è causa scatenante non soltanto della guerra che Tucidide vive e racconta, ma di tutte le guerre che il mondo ha ospitato e ospiterà.

Esistono, scrive Tucidide, nell’ambito del processo che ha portato alla guerra del Peloponneso, delle cause visibili, le aitìai, che sono legate allo specifico conflitto in atto e sono di natura prettamente politico-militare. A queste cause immediatamente visibili, però, sottintende una causa invisibile, una causa più vera, l’alethestate prophasis della guerra tra Atene e Sparta e, più in generale, di ogni guerra che vede protagonisti gli uomini.

Al paragrafo ventitreesimo del libro I de La Guerra del Peloponneso troviamo scritto: «Il motivo più vero, ma meno dichiarato apertamente, penso che fosse il crescere della potenza ateniese e il suo incutere timore ai Lacedemoni (gli Spartani, ndr), sì da provocare la guerra». A parer di Tucidide, quindi, la crescita progressiva e smisurata di Atene, l’auxesis, ha intimidito Sparta e la Grecia intera a tal punto da rendere inevitabile la guerra. Il concetto tucidideo di inevitabilità, innovativo e drammatico, lascia ancor più impressionati, se lo si estende non semplicemente ad Atene, a Sparta e alla Grecia di V secolo a.C., ma a qualsiasi conflitto che coinvolga gli uomini. Poco più indietro, al paragrafo ventiduesimo dello stesso libro, Tucidide scrive: «La mancanza del favoloso in questi fatti li farà apparire, forse, meno piacevoli all’ascolto, ma se quelli che vorranno investigare la realtà degli avvenimenti passati e di quelli futuri (i quali, secondo il carattere dell’uomo, saranno uguali o simili a questi) considereranno utile la mia opera, tanto basta»1. Quel che più impressiona, nella citazione, è quanto scritto tra parentesi: la natura dell’uomo è una e immutabile, pertanto gli avvenimenti futuri che lo riguardano sono facilmente prevedibili, se si è in grado di studiare il passato con competenza e oggettività.

È questo il cuore della filosofia della storia di Tucidide, che, con inarrivabile disincanto, ci fa notare come l’uomo, per sua stessa essenza, tenda alla crescita smisurata della propria forza, al timore dell’altro e, come necessario scioglimento della tensione, alla guerra. Come si è presentata la traumatica guerra presente, si presenteranno quelle future, perché al centro degli eventi è l’uomo, che ha una natura che non sarà mai in grado di tradire. Il divenire umano è ingabbiato, e Tucidide, con stile attento e rigoroso, lo mette in luce, quasi fosse un monito, ancor prima di cominciare il racconto della guerra che sta sconvolgendo la sua polis e l’intera Grecia.

Il concetto di inevitabilità e quello di ripetitività applicati alle vicende degli uomini potranno sembrare, alla luce degli straordinari passi avanti compiuti dalla storiografia, riduttivi ed eccessivamente generalizzanti (come del resto ogni filosofia della storia). Ma il messaggio tucidideo non può non segnare, ancora oggi, chi in esso si imbatte: siamo realmente destinati a necessarie tensioni? Davvero la nostra essenza di uomini ci impedisce di vivere senza incorrere, presto o tardi, in periodici e laceranti conflitti?

Mattia Zancanaro

Rodigino classe ’95, vive nella sua città natale fino al conseguimento del diploma presso il liceo linguistico. Si trasferisce poi in Germania, dove trova tempo e modo di coltivare le sue due principali passioni: la lingua tedesca e la filosofia. Rientrato in Italia, si iscrive alla facoltà di filosofia dell’Università di Trieste, città in cui attualmente vive. Amante del dibattito politico, cerca di relazionarsi a quest’ultimo affiancandogli le tematiche della filosofia, per un approccio maggiormente consapevole e maturo.

NOTE:
1. Viene qui riportata, per entrambe le citazioni del testo tucidideo, la traduzione di Claudio Moreschini, tratta dall’edizione de La Guerra del Peloponneso offerta da BUR Rizzoli, Milano 2008.

[Credit: Mark Herman]

Il gioco del male – Angela Marsons

Nell’anno appena concluso il genere crime/thriller si è confermato tra quelli più letti in Italia. I romanzi che regalano brividi e tensione sembrano infatti aver conquistato un’ampia fetta di pubblico italiano. Il segreto credo vada ricercato nella capacità di questo genere di trasmettere emozioni forti, di stuzzicare l’intuito e l’intelletto del lettore, di presentarsi come un enigma da risolvere.

La serie che vede come protagonista la detective Kim Stone, nata dalla penna di Angela Marsons, si è rivelata in Inghilterra un vero caso editoriale. Passando per l’autopubblicazione e per il successo del passaparola, il primo libro dell’autrice − Urla nel silenzio, pubblicato in Italia da Newton Compton nel 2016 − è arrivato a vendere oltre un milione e mezzo di copie nel mondo e ad essere tradotto in diciassette Paesi. Si tratta di thriller con approfondimento psicologico, la cui protagonista si è fatta spazio nel cuore di tanti lettori, dimostrandosi un personaggio vincente e credibile. I thriller sono ambientati in Inghilterra, precisamente nella Black Country, la stessa regione di provenienza dell’autrice. In Urla nel silenzio, la zona è scossa da una serie di omicidi, collegati da un invisibile fil rouge. La detective, supportata dalla sua squadra investigativa, indaga per rintracciare il nesso che lega le vittime e per scoprire l’identità dell’assassino.
Le sue indagini la porteranno ben presto nel luogo in cui anni prima sorgeva un orfanotrofio. Un posto che avrà molto da raccontarle e dal quale emergeranno storie agghiaccianti.
La protagonista, Kim Stone, è una donna diretta, dura, testarda e poco incline al contatto umano, guida la sua squadra senza esitazioni, proprio come conduce sull’asfalto la sua Ninja nera.
Dietro un’apparenza di chiusura e distacco, nasconde un passato dolorosissimo, che rischia di sopraffarla con il suo pesante bagaglio. Bagaglio di dolore che nella seconda avventura, Il gioco del male, pubblicato ad ottobre dello scorso anno, si rivelerà un fardello quasi fatale per Kim, a dimostrazione che alcune questioni irrisolte con il passato sono come mostri pronti a divorarci. Basta che qualcuno riesca ad incidere la nostra corazza abbastanza a fondo da permetterne la fuoriuscita. E chi meglio di un pericoloso sociopatico avvezzo alla manipolazione della mente umana può farlo?

«Sebbene definire il “perché” fosse di capitale importanza nell’indagine su un crimine, per Kim non era mai stato il tassello più importante del puzzle. Era l’unico elemento che non riceveva alcun supporto dagli ausili scientifici. Stabilire il perché era il suo lavoro, ma comprenderlo era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. […]

Capire il perché di un’azione implicava la possibilità di empatia, comprensione e perfino perdono, per quanto il fatto commesso fosse orribile.

E, a giudicare dal suo passato, Kim non era una persona incline al perdono».

Andando a fondo nella psiche della protagonista, il lettore comprenderà lo spessore della sua personalità. Ciò che costituisce un ostacolo nel suo lavoro è anche quello che rende questa donna così speciale: le sue ferite, la sua infanzia in un quartiere degradato che non le ha impedito di diventare uno dei detective più validi e capaci, di sviluppare uno spiccato senso della giustizia, di sopravvivere al limbo di abiezione e sofferenza nel quale era stata condannata. Questo si cela dietro la maschera di freddezza e indifferenza dietro la quale la protagonista si trincera, e questa la base di profonda umanità che permette ai lettori di stabilire una sincera empatia con il personaggio.

Le tematiche affrontate sono forti: violenze, maltrattamenti e abusi, spesso trasferiti nella sfera dell’infanzia violata, casi che vengono filtrati dallo sguardo di una donna che sa bene cosa significhi subire quel dolore che scava nei bambini come fa un chiodo arrugginito nel tronco morbido di una pianta ancora giovane, che crescerà mantenendo quella profonda traccia. Una cicatrice che priva per sempre della spensieratezza, ma che permette a Kim Stone di vedere oltre, di sentire nel profondo ciò che le vittime provano.

La narrazione scivola veloce, coinvolgente, arricchita da dettagli e substrati psicologici, esposti con uno stile scorrevole e validi incastri temporali. Il lettore non può che sentirsi coinvolto, trascinato nelle indagini e nei pensieri di Kim Stone, subendo il fascino di personaggi tridimensionali e delle dinamiche che si rivelano centrali: i comportamenti umani, i processi mentali, la psicologia delle vittime e degli aguzzini, che la Marsons è così brava a rendere reali.

Una serie consigliata a chi è alla ricerca di una lettura coinvolgente. Mentre per chi fosse già in attesa del terzo volume, nel sito dell’autrice è possibile trovare curiosità sulla sua professione e interessanti consigli letterari.

Stefania Mangiardi

[Immagini tratte da Google Immagini]

L’essenza della nazione nella contemporaneità

La contemporaneità. Un’epoca relativamente semplice. Un’epoca che usa gli specchi sociali, la credenza più ignota ed il miglior Napoleone sul campo per manifestarsi sulla terra. La potenza di una nazione, oggi, è ben rappresentata dal mercato e della finanza: perché prendersi la briga di un travaglio, quando si può rendere un po’ più “Comune” ogni diversità?!

L’essenza della nazione sfuma per mezzo della materia: l’immagine, il make-up e gli stereotipi sono le leve che azionano la produzione post-idealistica e post-moderna di uomini del futuro. L’equilibrio dell’economia sollazza e decanta la classe politica; tutto il corpo dirigenziale si rende amabile, sempre relativo e sempre meno universale.

Il contrappeso alla spersonalizzazione soggettiva è un livellamento oggettivo: la realtà muta così velocemente rendendosi invisibile al soggetto, svuotandolo di ogni virtù elitaria, livellandolo al suo prossimo. Il soggetto, forzato o corrotto dai suoi bisogni sociali e materiali, muterà per spirito d’adattamento. Ogni tensione sociale all’interno del tessuto post-statale, viene consacrata ad una guerra: il Bene fornisce aiuti umanitari, il Male bombe e pugnali.

Ah l’umanità di oggi! Senza pudore né morale, né filosofia; realtà e rappresentazione concertano con le belle parole che abbiamo in bocca. Il grasso cola da ogni immagine dell’uomo: la bellezza è tangibile; riconosciamo in essa sia tragicità che comicità.

Grasso che cola dai nostri occhi e dai nostri sogni ad occhi aperti. Il grasso della contemporaneità non sta sulla brillantina sulla giacca, né in un colpo di tosse, né nell’improvvisazione; la parola d’ordine è “niente emotività”: ogni opportunità che si presenta va studiata, calibrata e dissolta.

Il fallimento è bandito dalla contemporaneità, non vi è spazio per i sogni e tutto deve compiersi nell’immediato. In questa epoca tutto è sia Bene che Male e i “Perché” non si esprimono ma si confutano ed il tuo problema non sarà mai il mio fintanto ho legna da ardere. Il mondo non è più manicomio, ma ospedale.

Salvatore Musumarra

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Un unico grande respiro

Io non voglio stima, fama e gloria.

Io voglio amore, entusiasmo, fuoco, vita.

[ dal film Il giovane favoloso ]

Parole che restano sospese nell’aria sempre più densa di un cinema. Il silenzio, divenuto pesante, le sostiene, le scandisce, donando loro una forza che mi blocca il respiro.

Elio Germano è lì, davanti a me, sullo schermo di quel cinema.

Leopardi è lì, sospeso nell’aria densa, accolto da quel silenzio.

Un genio precoce, un ribelle, un uomo solo con i suoi pensieri.

Un uomo il cui tormento è impresso come una condanna nella fragilità del suo corpo, e parla alla parte più oscura della nostra anima con la profondità delle sue parole e dei suoi silenzi.

I versi sono l’unica via di fuga per i suoi pensieri ribelli. Più sente vivo il suo tormento più scrive, e più scrive più questo tormento cresce, e con esso il bisogno di affermare le sue idee pagate con la solitudine.

Leopardi canta una sofferenza che trasuda vita, una sofferenza che cerca la verità dell’esistenza, consapevole che una verità assoluta non c’è. C’è solo la tensione che spinge l’uomo a cercarla.

La tensione profonda, incessante, logorante che cresce dentro di lui: questa è la sua grandezza.

Le sue parole non sono altro che una voce prestata al suo tormento, dove l’amore, l’entusiasmo, il fuoco, la vita spingono violentemente per venire alla luce. E in questa spinta c’è la consapevolezza che la libertà e la forza, che animano questi sentimenti, debbano scontrarsi con la finitezza e la precarietà del corpo nella sua permanenza nel mondo.

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Ciò che è nel mondo e che nasce da esso deve finire e morire. Ma ciò che non è di questo mondo e che non vuole esserne parte, lo attraversa facendolo vibrare con tutta la forza di un lampo che balena nella volta celeste, e che non conosce né tempo né morte.”

Per una strana coincidenza, per reminiscenze passate, o forse per entrambe, mi ritrovo tra le mani questo libricino giallo e ruvido che non apro da un pò di tempo: Il nulla della vita di Schopenhauer.

Tra le parole del filosofo tedesco rivedo quella contraddizione, propria dell’essere umano, che nel Leopardi disincantato e ribelle pesa come un macigno.

Schopenhauer recupera la differenza kantiana tra fenomeno e cosa in sé, identificando quest’ultima con la volontà di vivere libera e irrazionale, che è l’essenza autentica dell’uomo, non soggetta né allo spazio né al tempo. Seguendo il pensiero del filosofo, gli uomini che arriveranno a conoscere quella che nel profondo è la loro essenza, vivranno una vita autentica senza temerne la fine. Perché se la morte determina la fine dell’individuo, questa non intacca quella che è la sua vera essenza, ossia la volontà, che con la morte del singolo ritorna alla sua condizione originaria.

Il film “Il giovane favoloso” traduce in carne questa volontà, la volontà di vivere di un uomo che attraverso la poesia esplora tormenti e contraddizioni dell’essere umano. Seguire Leopardi in questo viaggio è camminare in punta di piedi dentro la nostra tensione più intima alla ricerca della nostra essenza.

Ascoltare questa tensione non è una scelta ma un’inevitabile condanna che porta malinconia, inquietudine e solitudine. La tensione è troppo rumorosa per essere ignorata e solo quando le sarà data una voce, quando le sarà concessa una via di fuga, questa, oltre al dolore, ci porterà la vita.

La vita come respiro, ampio, profondo, talmente profondo da farci cadere negli abissi più neri per poi farci risalire verso una dimensione infinita. Una vita fatta di dubbi, contraddizioni, malinconie, inquietudini. Una vita fatta di illusioni, poesia, curiosità, stupore e meraviglia.

Perché

non vivono fino alla morte se non quei molti che restano fanciulli tutta la vita.

Leopardi

Allora è proprio questa tensione, con tutte le sue sfumature, la chiave per liberarci dalla condanna di un’esistenza sterile, fatta di ruoli e maschere; un’esistenza in cui il bisogno di affidarsi a una verità è più forte dell’impulso di liberare le nostre tensioni e vivere il rischio che la nostra essenza autentica richiede per prendere il volo.

La vita piena è la vita dell’anima; è il respiro ampio che riusciamo a dare alla nostra anima quando sentiamo salire le vertigini e ci abbandoniamo al vuoto rinunciando ad ogni pretesa di certezza, abbandonando le ripetizioni e l’immobilità.

La vita piena è aprirsi completamente per far entrare dentro anche il più piccolo respiro del mondo, perché ciò che possiamo contenere è infinito.

E’ svegliarsi nel cuore della notte perché il rumore dei nostri pensieri è troppo forte, ed è rimanere svegli tutta la notte perché non possiamo rimandare e dobbiamo scrivere questi pensieri.

E’ rimanere immobili a contemplare un dettaglio e assorbirne tutta la bellezza per restituirla al mondo sotto altra forma.

E’ guardare la scena di un film, leggere il passo di un libro, ascoltare una melodia, contemplare un’opera d’arte, e lasciare che le parole, le immagini e i suoni ti entrino dentro fino ad arrivare al punto di non capire più chi sei tu e chi è l’attore, qual è la tua vita e qual è la vita raccontata tra le pagine, qual è la vibrazione della tua anima e quali sono le note che vibrano nell’aria, qual è la tua immagine del mondo e qual è l’immagine dipinta sulla tela.

Tutto questo, ogni momento, ogni dettaglio, ogni sfumatura, è un passo verso la conoscenza profonda di noi stessi e verso la libertà. E mano a mano che avanziamo, non abbiamo più bisogno di distinguere l’io dal resto del mondo, l’anima dal corpo, ciò che definiamo reale da ciò che confiniamo nella nostra immaginazione, la gioia dal dolore, il bene dal male: fa tutto parte dello stesso grande respiro, dove la tensione che sentiamo è quella vertigine che ci fa volare.

Lisa De Chirico

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Maturità artistica presso il Liceo Artistico Statale di Treviso e laurea in Architettura presso lo IUAV di Venezia. In ambito lavorativo mi occupo di progettazione architettonica e grafica, interior design e architettura del paesaggio. La mia trasversale passione per il mondo della creatività nelle sue diverse forme, dall’arte all’architettura, dalla scrittura alla fotografia, risponde ad una necessità di espressione che attinge ai diversi strumenti che questa dimensione mi offre. Un segno tracciato su un foglio, il progetto di uno spazio, l’illustrazione di un concetto, un frammento di realtà rubato da uno scatto, sono l’espressione di una ricerca continua che trova nella filosofia, nella letteratura e nella musica il suo punto di partenza.

Ogni mia espressione è una condensazione di ciò che sono, di ciò che vivo e immagino; dove ciò che viene definito arte, architettura, fotografia e scrittura, perde i propri limiti e si mescola.

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