Ut unum sint

Leggenda vuole che il 31 ottobre 1517 il monaco agostiniano Martin Lutero appendesse sulla porta della cattedrale di Wittenberg le sue famose 95 tesi, gesto simbolico ed eclatante che, con una rapida reazione a catena, portò al Grande Scisma d’Occidente. La reazione dell’allora Papa Leone X non fu delle più concilianti, e dall’aspro commento sul “tedesco ubriaco che avrebbe cambiato idea da sobrio” passò ai fatti con la bolla Decet Romanum Pontificem del 1521, con cui scomunicava Lutero. Bolla che Lutero bruciò su pubblica piazza, ricusando l’autorità pontificia.

I rapporti tra le due confessioni da lì non sono andati a migliorare, in parte a causa della rigidità della Controriforma cattolica, che sotto Clemente VII purificò gli elementi di corruzione nella Chiesa per scongiurare i rischi di nuove separazioni, ma indurì anche gli atteggiamenti verso ogni pensiero sospetto di eresia, in parte a causa dello stesso Lutero, che irrigidì la propria posizione, si fece il padrone di una Chiesa nata per essere popolare, cominciò violente persecuzioni non solo contro i cattolici, ma anche contro altri riformati e contro gli ebrei.

Recentemente, dopo il Concilio Vaticano II, le tensioni hanno finalmente cominciato ad allentarsi, sebbene a piccoli, timidi passi (la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione firmata dal cardinale Walter Kasper e dal pastore Ishmael Noko, ad esempio, ribadiva essenzialmente la pacifica convivenza, ma l’inconciliabilità, tra le rispettive posizioni su predestinazione e Grazia), finché nel 2008 Benedetto XVI ritirò la condanna per eresia a Lutero, sottolineandone lo spirito cristocentrico e riformatore.

Su questi binari si è mosso anche Papa Francesco i giorni scorsi, partecipando al cinquecentenario della Riforma luterana dal 31 ottobre al 1 novembre in Svezia. Accusato di apostasia e tradimento da alcune frange cattoliche estremiste, a Lund Francesco ha messo subito in chiaro che, in quello che è anche il cinquantesimo anniversario del dialogo con la Federazione Luterana Mondiale, il processo di riconciliazione ha urgente bisogno di un’accelerazione, in nome del comando di Cristo all’unità, e della volontà del popolo dei credenti che non ha mai voluto una separazione dolorosa e imposta dai potenti. Il primo passo, come indicato, è quello di riconoscere i rispettivi errori e meriti, e Bergoglio non esita a lodare Lutero per aver riportato la Bibbia nelle mani del popolo ed aver contribuito in modo insostituibile al rinnovamento morale della Chiesa. Di errori, al momento, è stato riconosciuto solo quello comune: la separazione delle due Chiese, che ha indebolito l’efficacia del messaggio evangelico di entrambe le comunità.

Nessuna menzione, durante l’incontro, è stata fatta delle responsabilità della Chiesa luterana, così come si è preferito focalizzarsi sullo spirito riformatore e l’intransigenza morale del primo Lutero piuttosto che sulle degenerazioni totalitariste e sanguinarie del secondo. Ancora più sconcertante è il mancato riferimento a questioni teologiche più specifiche, veri e propri scogli che, con i secoli, hanno allontanato le dottrine e le filosofie delle due Chiese, dalla questione del magistero a quella della giustificazione, dalla predestinazione al concetto stesso di Chiesa, tutti elementi che andranno affrontati, prima o poi, se l’intenzione è davvero quella di riunificare le due comunità. Al momento, la Dichiarazione congiunta emersa dall’incontro sottolinea ambiti puramente pratici in cui la testimonianza di cattolici e luterani può farsi comune: la difesa dei diritti umani, la non-violenza, la lotta all’estremismo, la tutela del pianeta, l’assistenza a poveri e migranti.

Una simile cooperazione può sicuramente sembrare poco di fronte alla strada che ancora c’è da fare, e sotto alcuni aspetti effettivamente lo è, vincolata dai limiti della diplomazia e del politicamente corretto. Le basi di un cammino comune, però, si stanno finalmente costruendo, e l’intenzione che la strada porti a qualcosa di più che a qualche documento precompilato e frasi di rito pare appartenere, una volta tanto, a entrambe le parti in gioco.

Giacomo Mininni

[Immagine tratta da Google Immagini]

Filosofia Ikea

Credo che Ikea potrebbe sostituire molti test attitudinali per rivelare come ragiona una persona. Preferisce chiedere informazioni al personale o orientarsi con il database rivelando una personalità più relazionale? Va con un “piano” di acquisti già pronto o fa un giro comprando quello che ispira l’ambiente? È più analitico il primo e più un fantasista il secondo? Come imposta le ricerche dal terminale? Fa ricerche nominali, ragiona in maniera più linguistica, oppure fa ricerche numeriche, ragiona in maniera più strutturata e matematica? In più ogni acquisto più è grande più rivela la capacità di problem solving di chi l’ha fatto? Ikea risulta alienante quanto incredibilmente interessante in termini di modello di business, ci si potrebbero scrivere svariati libri.

In Ikea si intrecciano in modo indissolubile la razionalità e l’irrazionalità, aspetti quantitativi e qualitativi, risulta una ricostruzione quasi perfetta e quindi anche abbastanza alienante dell’esistenza umana. Se da un lato l’esposizione gioca sul solleticare i nostri appetiti e presentarci i vari articoli secondo criteri estetici al di sotto si trovano i magazzini dove domina l’ordine razionale, l’ammasso, l’economia di scala dove tutto è finemente catalogato, razionalizzato, dove quelli che al piano di sopra sono prodotti con nomi accattivanti nel magazzino sono riproposti come serie numeriche da ricercare su un terminale o da ordinare a un operatore solitamente abbastanza annoiato e indifferente, che come un bravo ragioniere si limita a verificare la presenza in deposito dei prodotti di cui sei alla ricerca.

Ikea ci impone inoltre di riflettere sul concetto di Libertà riportando alla mente l’eterno scontro tra determinismo e indeterminismo, tra gli stoici e gli aristotelici, tra Crisippo e Carneade. Semplificando tale scontro si basa su un assunto fondamentale: siamo noi artefici del nostro destino oppure siamo frutto di un fato immutabile? Siamo noi liberi? Gli Stoici rispondono che l’accettazione del Destino non implica una cessione della nostra libertà, noi siamo liberi nonostante non possiamo fare altrimenti, vi sembra contraddittorio? Gli Stoici si difenderebbero ancora dicendo che quando agiamo siamo mossi da una forza esterna a noi, ma scegliamo secondo Natura quindi secondo qualcosa di predeterminato, ed al contempo secondo qualcosa di nostro, che ci appartiene.

Cosa ha a che fare tutto questo con Ikea? A Ikea siamo liberi di acquistare prodotti, guardarli, toccarli ci andiamo con l’automobile o con i mezzi pubblici deliberatamente, lo scegliamo noi. Eppure nel contempo dietro una promessa di libertà ci ritroviamo a muoverci in uno schema predeterminato, se ci pensate il percorso è rigido e per certi versi assomigliamo a quelle cavie da laboratorio, in genere dei simpatici topini bianchi, che si muovono in un labirinto scelto per loro da un ricercatore. Quello che vorrei farvi capire è che Ikea travalica il concetto classico di ipermercato diventando un enorme inconsapevole esperimento sociologico su vasta scala. Del resto tutto il percorso è studiato finemente secondo le migliori tecniche di marketing, vi sono infatti studi ormai consolidati secondo cui più aumenta il nostro tempo di permanenza all’interno di un luogo dove possiamo fare acquisti più le nostre “barriere” difensive all’acquisto e all’essere morigerati diminuiscono, in un certo senso i prodotti assomigliano a delle moderne sirene e Ulisse siamo tutti noi. È il motivo per cui alla fine del percorso vicino alle casse da anni troviamo prodotti di piccole dimensioni, apparentemente insignificanti nel loro costo, perché alla fine le nostre “barriere” sono più deboli e perché allora non concederci uno sfizio? Gelati, cioccolatini, gomme da masticare sono lì ad attenderci. In più i negozi si sono strutturati negli anni sul nucleo ritenuto base del consumismo, anche se oggi sta entrando in crisi date le modifiche intervenute nella società contemporanea.

Da anni lo studio di vetrine e scaffali è diventato una vera e propria dottrina, una scienza della manipolazione percettiva della clientela atta ad affascinare e colpire chi guarda i prodotti. Tutto questo viene solitamente definito come Facing cioè la scienza in base alla quale disporre i prodotti e presentarli nelle vetrine nel modo migliore. Nulla è lasciato al caso dalle grandi multinazionali, tutto funziona come una enorme macchina razionale ben oliata. Alle volte le persone stesse soggiaciono a protocolli di comportamento per sapere esattamente quando servire il cliente, quando sorridere, quanto interagire, vedi ad esempio i protocolli destinati a coloro che ci servono da Mc Donald’s. Tutto viene vagliato poi dal Deus Ex Machina del “Controllo di gestione”: dato un tempo medio in cui si serve un cliente e applicato questo tempo medio su base oraria si sarà in grado di monitorare la produttività del singolo operatore in forza all’azienda. Niente sfugge al vigile e algido occhio del “Controllo di gestione” e con esso si compie il sogno positivista di riportare nell’alveo della razionalità assoluta l’agire dell’uomo. La persona non conta, è solo un mero ingranaggio di una macchina che è tutti e nessuno, un meccanismo impersonale dove a preservarsi è solo l’Organismo impresa e come noi perdiamo ogni giorno milioni di cellule del nostro corpo nel ricambio così l’impresa si può liberare dei singoli, perché quello che conta è l’omeostasi della macchina imprenditoriale non chi ne fa parte.

Il mondo sta cambiando e noi a volte non ce ne accorgiamo, Ikea non è solo acquisti e mobiletti da montare a suon di brugola, è una Filosofia che come tutte le filosofie finisce per forgiare il mondo e crearne di nuovi. Ci riporta al ricordo ancestrale dell’Homo Faber che fa le cose, ci riporta alla dimensione infantile del costruire qualcosa, ci rimette in contatto con la nostra parte ludica e incentra moltissima della sua proposta commerciale intorno alle famiglie con Fidelity Card che serve, come per Feltrinelli, a capire cosa compriamo, ci promette sconti in cambio del poterci controllare, perché per certi versi, parafrasando Feuerbach da “noi siamo quello che mangiamo” siamo passati al “noi siamo quello che compriamo”. Compra e ti dirò chi sei è la grande promessa di questi ipermercati.

Vi sentite ancora così liberi come credevate?

 

Matteo Montagner