“Non buttiamoci giù”, di Nick Hornby

Se posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo? Certo che posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo. Cavolo, non sono mica deficiente. Posso spiegarlo perché non è un fatto inspiegabile: è stata una scelta logica, la conseguenza di un pensiero fatto e finito. E neanche di un pensiero troppo serio.

Cosa ci fanno quattro persone di età, estrazione sociale, stile di vita completamente differenti, sul tetto di un palazzo di Londra nella notte di Capodanno? Non si conoscono, non sanno niente l’uno dell’altro, eppure sono uniti da un intento comune: buttarsi di sotto. Ma quella notte i loro piani verranno stravolti e, inaspettatamente, proprio a partire da quel momento si cementerà una stramba alleanza.

Partendo da questo incipit originale, Hornby ci conduce alla scoperta delle storie personali dei quattro curiosi personaggi e delle circostanze che li hanno condotti fin lassù.
I nostri protagonisti non potrebbero essere più diversi: Martin, noto conduttore televisivo, ha perso il lavoro e la stima della sua famiglia dopo l’avventura di una sera con una ragazza che credeva maggiorenne; Maureen, timorosa e devota, ha un figlio disabile da mantenere e sostenere; Jesse, trasgressiva figlia di un politico rispettabile, vede nel suicidio un estremo gesto di ribellione; infine JJ, giovane musicista disilluso, che racconta di essere affetto da una grave malattia.

Ti ripetono tutta la vita che dopo la morte andrai in un posto meraviglioso. E l’unico gesto che puoi fare per arrivarci un po’ prima ti impedisce di andarci… Oh, capisco che è un po’ come non voler fare la coda. Ma se qualcuno salta la coda in posta, gli altri, gli altri borbottano. A volte protestano: “Scusi, sa, c’ero prima io!”. Non dicono: “Brucerai tra le fiamme dell’inferno per l’eternità”. Sarebbe un pochino esagerato!

Non buttiamoci giù, libro da quale nel 2014 è stato tratto un adattamento cinematografico, è un romanzo esilarante che tratta tematiche attuali e complesse con un umorismo tagliante che lascia spazio anche ai sentimenti.
La sua forza risiede sicuramente nei personaggi, ben delineati e caratterizzati anche dal modo di esprimersi che l’autore rende servendosi di un linguaggio cucito addosso a ciascuno, colloquiale, in alcuni casi volutamente ‘sgrammaticato’.
Nonostante la tematica centrale rimanga quella del suicidio, Hornby riesce ad evitare i toni cupi e a mantenere la narrazione vivace, servendosi anche di una certa dose di humor inglese.
Ho apprezzato molto il messaggio di fondo del romanzo, l’idea che delle singole, disperate, solitudini possano unirsi dando vita a qualcosa di diverso. Una rete di sostegno improvvisata, raffazzonata, rappezzata, e che pure sembra funzionale allo scopo. Perché a volte nella vita ciò che più conta è riuscire a cambiare punto di vista, ad accorgersi che non si è i soli a soffrire, a prendere coscienza di quante situazioni simili alla nostra ci siano. Ostacoli apparentemente insormontabili che affrontati attraverso la reciprocità, sviscerati, confrontati e perfino derisi, possono improvvisamente ridimensionarsi, guidando il nostro sguardo verso una nuova prospettiva.
Un libro che mi sento assolutamente di consigliare: vitale, divertente, commovente e ricco di spunti di riflessione.
Perché è più facile buttarsi nel vuoto che accettare le conseguenze di quello che hai fatto?

Stefania Mangiardi

[Immagini tratte da Google Immagini]

Chiedere l’eutanasia per depressione. Alcuni spunti di riflessione.

<p>EKG - Electrocardiogram (XXL)</p>

Il 16 maggio 2002 la Camera dei Deputati belga ha approvato la legge sull’eutanasia come suprema affermazione dei principi di libertà e autonomia. Dal 2002 ad oggi, in Belgio, quasi novemila persone hanno deciso di morire in questo modo.

Ad interrogarmi è la storia di Laura, 24 anni, affetta da una depressione cronica. Papà alcolizzato e spesso violento, genitori divorziati ed inesistenti nella vita della figlia, tanto che da bambina ha passato l’infanzia con i nonni e che a soli sei anni ha avuto i primi pensieri suicidari. La vita da adolescente e giovane donna prosegue tra ricoveri per depressione in diverse cliniche senza significativi cambiamenti.

Laura inizia a pensare di avere dentro di sé qualcosa che non le permetterà mai di stare bene, o anche solo di alleviare le sue sofferenze. La giovane donna, in un’intervista rilasciata al quotidiano locale De Morgen, sostiene: “sono convinta che avrei avuto questo desiderio di morire anche se fossi cresciuta in una famiglia tranquilla e stabile. Semplice, non ho mai voluto vivere”[1].

La ragazza viene a conoscenza della possibilità che offre la legge belga sull’eutanasia: praticare la “dolce morte” non solo per malati terminali[2], ma anche per chi soffre in modo persistente e insopportabile sul piano psicologico. Tre medici analizzano la richiesta eutanasia della ragazza e assecondano la sua richiesta ritenendo la giovane una “persona equilibrata” in grado di prendere questa decisione relativamente la sua vita e la sua morte in modo sereno.

Questo caso clinico suscita, inevitabilmente, una serie di interrogativi di ordine etico. La stessa comunità scientifica si interroga sulla possibilità di consentire la morte non solo di persone fisicamente gravemente malate e in fin di vita, ma anche di quelle che psicologicamente soffrono in modo insopportabile sollevando dei pesanti dubbi sull’opportunità o meno di accedere ad una regolamentazione dell’eutanasia sempre più estensiva.

I problema sono molteplici. Esiste qualcosa di “sopportabile” per una persona affetta da depressione cronica? La valutazione di “insopportabilità” fatta da una persona depressa è attendibile? Può una persona esterna ed estranea, pur trattandosi di un professionista competente, valutare quanto una condizione emotiva di un altro individuo sia insopportabile? La decisione di una persona depressa di porre fine alla propria vita può essere considerata una scelta libera e definitiva o si tratta di una scelta dettata dai molteplici e improvvisi cambiamenti d’umore, dagli effetti collaterali di farmaci non adatti o non più efficaci?

Quante volte una persona depressa ha idee suicidarie o ha addirittura tentato il suicidio? Quante volte la disperazione di uno stato depressivo che sembrava non dare tregua ha lentamente lasciato spazio alla speranza, grazie alla psicoterapia, ad un nuovo farmaco o ad un contesto di vita diverso? E se lo stesso paziente avesse deciso di ricorrere all’eutanasia proprio nel momento più buio del suo stato patologico, oppresso dalla totale mancanza di speranza e dalla difficoltà di progettare o pensare a qualcosa di futuro, due condizioni connaturali allo stato depressivo? E ancora, è possibile affermare che queste persone soffrono in minor modo o in maniera diversa rispetto ad un malato terminale?

Concludo con una riflessione della psicologa cognitivo-comportamentale Chiara Manfredi: “forse la parte che andrebbe maggiormente chiarita è quella che si riferisce alla lucidità della persona gravemente depressa, che ci porterebbe a valutare come attendibili le scelte compiute in uno stato emotivo che di per sé non porta all’attendibilità. Diciamo spesso ai pazienti che la depressione è una specie di occhiale scuro, che ci fa vedere tutto nero, cerchiamo di insegnare ai pazienti a prendere le distanze dalle proprie valutazioni, a non credere troppo ai loro pensieri che sono appunto frutto di una distorsione negativa e pessimista. Nel massimo rispetto della libertà individuale, bisognerebbe forse tenere a mente che anche la decisione di farla finita una volta per tutte, tramite l’eutanasia, è frutto dello stesso sistema di valutazione e decisione, e che gli occhiali neri ancora sono sul naso[3]. Forse, nel caso di questione scegliere l’eutanasia è conseguenza della patologia stessa.

Silvia Pennisi

 

NOTE

[1] L’articolo integrale è consultabile al sito internet: http://www.demorgen.be/nieuws/laura-is-24-jaar-en-fysiek-gezond-ze-krijgt-deze-zomer-euthanasie-b3d9c64f/

[2] Nel Capitolo II (condizioni e procedura)comma 1 dell’art. 3 il testo di legge sostiene: “Il medico che pratica l’eutanasia non commette alcuna violazione qualora adempia le condizioni e le procedure previste dalla presente legge e accerti che: il malato è in una condizione sanitaria senza speranza e la sua sofferenza sul piano fisico o psichico è persistente e insopportabile, che non può essere alleviata ed è la conseguenza di una malattia acuta o cronica grave e inguaribile”.

[3] Chiara Manfredi, Depressa da morire: è concepibile l’eutanasia per casi di depressione?, State of Mind. Il giornale delle scienze psicologiche, Giugno 2015.

Lettera a mia figlia

Anche l’uomo più sano e più sereno può risolversi per il suicidio, quando l’enormità dei dolori e della sventura che si avanza inevitabile sopraffà il terrore della morte Arthur Schopenhauer

“Cara Sofia,

questa volta il tuo papà forse ti deluderà, questa volta il tuo papà ti farà soffrire come non avrebbe mai voluto fare. Spero solo che, una volta lette queste poche righe, la delusione e la sofferenza lasceranno spazio a un po’ di comprensione.

Scusami bambina mia (perché per me, lo sai, sarai sempre la mia bambina), questa volta non ce l’ho più fatta a combattere, questa volta il male di vivere ha preso il sopravvento.

Negli ultimi dieci anni non sono stato più un uomo, negli ultimi dieci anni intorno a me era tutto buio. Sono precipitato in una prigione di tenebre da cui non sono più riuscito a fare ritorno. Read more

Perché proprio io? Izzy, vittima del bullismo.

Io arrivo,
felice e fresca,
pronta ed eccitata
per celebrare il festival.
Sono desiderosa e ansiosa di trascorrere un bel momento.
Sorrido per l’eccitazione,
comincio a vedere la folla,
vedo sempre più persone ,
Molti sono felici e gioiosi.
Sono lì come me,
per festeggiare,
io sorrido a loro e dico ciao ai tanti volti che vedo,
si guardano scioccati e sorpresi di vedermi,
io metto in discussione il loro giudizio e mi chiedo,
‘Che cosa ho fatto di male?’
Provo a tornare nel cerchio di risatine e a parlare,
mi spingono via.
sto ferma,
I miei occhi vitrei e assenti.
Improvvisamente mi chiamano,
penso, ‘sì! Mi hanno notato! ‘
Ma poi iniziano a fare domande,
sul motivo della mia presenza.
Cominciano a dirmi che nessuno mi vuole lì.
Il mio cuore, la mia testa, il mio corpo: la nebbia
sento i rimorsi che iniziano a pizzicare i miei occhi come le guance cominciano a bruciare.
‘Non lasciare che ti vedano,
Non mostrare loro che sei indebolito ,
Indebolito dai loro commenti’,
‘Stay Strong’ penso,
ma è troppo tardi,
i miei palmi delle mani sono umidi,
le guance e il mio collo sudano
Cammino in fretta tra le risate.
Il mio cuore comincia a rompersi.
Guardo giù e cammino,
I miei occhi annegano in un mare di emozioni.
Un altro pezzo di me, spuntato fuori dalle loro crudeli osservazioni e percezioni,
mi arrendo Read more