La dittatura della massa

Un nuovo Medioevo è alle porte e non ce ne siamo nemmeno accorti, spiace che all’alba di questa stagione le nostre capacità in termini bellici di autodistruggerci sia aumentata esponenzialmente e ancor più spiace constatare che a un crescente sviluppo tecnologico non si sia accostato anche un adeguato sviluppo sociale. Siamo tecnicamente migliori, ma umanamente? Assistiamo sempre più a tensioni internazionali, guerre, un ritorno insano e perverso a mettere in discussione la scienza ufficiale introducendo dottrine sempre più fantasiose.
La democrazia che per anni è stata il baluardo dell’Occidente e le sue conquiste come il suffragio universale oggi ci appaiono come qualcosa che si sta ritorcendo progressivamente contro coloro che hanno portato avanti questi principi come valori positivi, la democrazia ci sta portando ad autodistruggerci collettivamente con le nostre stesse mani.

Gli antichi coniarono sia il termine “democrazia” démos kratos come il “potere del popolo”, ma accanto a questa forza virtuosa generarono anche la sua forma corrotta dalla quale cercarono di metterci in guardia, sfortunatamente noi che ne siamo discendenti dimentichiamo il passato e non voltandoci mai indietro rischiamo di tornare sugli stessi passi che ci hanno portato a commettere degli errori. Gli antichi ci dicono che la democrazia è una gran bella cosa, ma attenzione perché può sfociare nell’oclocrazia, il potere della moltitudine, della massa, che si configura come uno stadio di governo deteriore nel quale la guida della città e dello stato sono alla mercé delle volizioni delle masse. Mai come in questi anni la società occidentale abusa dello strumento del referendum, perché la parola d’ordine non è partecipazione informata, ma solo partecipazione a prescindere.

Ricordiamo un esempio celebre di referendum avvenuto secondo i Vangeli ai tempi di Ponzio Pilato in cui al popolo fu chiesto di scegliere tra Gesù e Barabba, ricordate come è andata a finire vero?
La storia è una severa maestra, ma poveri noi non sappiamo più ascoltare. L’Occidente ha enfatizzato ed estremizzato il concetto di “futuro” che è diventato la dimensione temporale delle nostre esistenze: siamo tutti proiettati e sbalzati al di fuori, lanciati verso un futuro che la tecnologia e quindi il potere presentano sempre come positivo e così, a suon di guardare al progresso, ci siamo dimenticati dell’uomo.
In questi tempi bui bisognerebbe vagare per le strade come Diogene di Sinope muniti di lanterna accesa durante il giorno alla ricerca per le strade gremite di persone dell’uomo. Siamo a tal punto diventati ciechi che ormai stentiamo a riconoscere l’umanità anche di chi ci sta accanto, spezzato ogni legame di fratellanza facciamo sempre prevalere l’individuo a cui non sono più posti né limiti né confini.

Abitiamo il tempo del potere dell’ochlos ossia di una moltitudine disordinata e senza identità, l’ochlos non ammette una guida come mediazione e rappresentanza, ma solo un impersonale portavoce o ancor peggio la massa è in balia di falsi profeti che ne orientano le volizioni per tornaconto personale e inducendo loro falsi desideri. La massa si illude di esercitare liberamente la propria funzione, quando invece è solo un mero “strumento animato” di una o più personalità e così capita che i ricchi guidino i poveri promettendo loro ricchezza e prosperità e che i corrotti promettano legalità mentre il popolo versa nell’insicurezza. La massa è sedotta dalla distribuzione del denaro o di altri favori, il “popolo” (ormai disintegrato), perché è una accozzaglia di individui che perseguono fini personali, diventa così corrotto a sua volta, avido, spasmodico nella soddisfazione delle proprie pulsioni egoistiche che alla fine finisce per cedere la sua stessa libertà nell’illusione che si sta decidendo su tutto solo perché si partecipa.
Come scrive bene Cipolla in Le Leggi fondamentali della stupidità umana, «Quando la maggior parte di una società è stupida allora la prevalenza del cretino diventa dominante e inguaribile».

«Una persona stupida è più pericolosa di un bandito», ci ammonisce Cipolla. Esistono quattro tipi di persone a seconda del loro comportamento in una società:
Disgraziato (o sfortunato): chi con la sua azione tende a causare danno a se stesso, ma crea anche vantaggio a qualcun altro;
Intelligente: chi con la sua azione tende a creare vantaggio per se stesso, ma crea anche vantaggio a qualcun altro;
Bandito: chi con la sua azione tende a creare vantaggio per se stesso, ma allo stesso tempo danneggia qualcun altro;
Stupido: chi causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita.

L’equazione in fondo è molto semplice: la sopravvivenza di una civiltà e la sua prosperità si fonda sul coefficiente di stupidità collettivo, una società stupida è strutturalmente destinata ad autodistruggersi in quanto si fonda sul danneggiare gli altri senza ricavarne alcun vantaggio, anzi procurandosi magari perfino un danno!
Di fronte a questa ondata di stupidità bisognerebbe riportare nelle scuole, anzi forse è meglio dire portare, un libro di Elias Canetti che ben descrive la turpitudine della massa acefala: Massa e potere:

«Sono sempre più convinto che le mentalità sorgono dalle esperienze di massa. Ma gli uomini hanno colpa delle loro esperienze di massa? Non vi incorrono assolutamente indifesi? Come dev’essere fatto un uomo per potersene proteggere? Ecco quello che veramente m’interessa in Karl Kraus. Bisogna forse poter formare masse proprie per essere immuni dalle altre?»

Come difendersi dalla stupidità crescente? Dalle folle urlanti che scelgono sempre Barabba? Investendo nella formazione delle future generazioni che non devono masticare solo tecnologia, ma devono porre le loro radici in una forte cultura umanistica che dovremmo riscoprire a vantaggio e per il bene di tutti prima di scivolare verso le barbarie e prima di ricadere in una spirale di problemi ed errori, che si ripetono inesorabilmente e ciclicamente.
Non abbiamo più lance e bastoni, ma droni e armi ad alta tecnologia, ma restiamo sempre uomini: l’uomo di oggi non è molto diverso biologicamente dall’uomo di cinquecento anni fa, siamo diventati più efficienti nel distruggerci e proprio per questo se a prevalere sarà la stupidità i danni saranno ancor più capillari e irreparabili.
O riscopriamo lo spirito critico e rimettiamo in campo un nuovo umanesimo o siamo destinati a fare la fine dell’umanità ben tracciata da Italo Svevo nell’Esplosione evocata in La Coscienza di Zeno.
Svevo infatti non scrive solo un romanzo, ma la profezia di un futuro possibile che con la nostra stupidità, ogni giorno, testardamente e quotidianamente stiamo contribuendo a rendere più reale che mai:

«Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie».

 

Matteo Montagner

 

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È la democrazia bellezza (?)

Ovvero ha senso considerare accorgimenti al suffragio universale per un migliore funzionamento della democrazia? O forse bisognerebbe ragionare d’altro?

Se ne sta discutendo in questi giorni successivi all’incredulità di buona parte dell’opinione pubblica e dei media di fronte all’elezione di Donald J. Trump a presidente degli Stati Uniti d’America.

In un sistema democratico tutti gli aventi diritto, esprimendo il loro voto, scelgono dei rappresentanti affinché facciano quello che li ha eletti: il bene comune, l’interesse della comunità, regione o nazione che sia. Se però i votanti non decidono per l’alternativa che appare la migliore e la più utile a tutti, il problema è del sistema, degli elettori o sta a monte?
Questa discussione parte da un presupposto abbastanza unilaterale che chi voti partiti estremisti e/o reazionari, xenofobi o solo populisti sia un ignorante. In realtà non è così, ma molto più complicato, come si è visto dalla vittoria di Donald Trump. Comunque sia alcuni ricominciano a chiedersi se il voto di questa persone debba valere come quello di una persona mediamente istruita e consapevole o meno.

La democrazia funziona solo se informata, come disse Franklin Delano Roosvelt,  ma allora che valore ha un voto se un terzo dei cittadini americani non sa nominare uno dei tre rami nei quali è suddiviso il potere in America? Il voto di una persona intelligente può valere come quello di un ignorante? Queste e altre domande si susseguono, nella corsa a capire le responsabilità e le reali volontà di una vittoria non pronosticata. E per capire che strada dovrà prendere la democrazia di qui in avanti.

Dopo questa scioccante tornata elettorale (si pensi anche a Brexit), si è ancora una volta ripreso a discutere se sia il caso di mettere dei paletti al suffragio universale così com’è inteso oggi. Prima di giungere ai saggi e alle proposte concrete di questi anni dobbiamo guardare a come funzionava la democrazia nei secoli. Il suffragio universale di per sé è una conquista relativamente recente  infatti, risalente al ‘900, mentre prima le restrizioni al suffragio erano molte: in base al sesso, alla razza e anche al censo (come in Italia), intese soprattutto a far rispettare uno status quo escludendo le minoranze dalle decisioni.

Già lì dove nacque la democrazia, nelle polis greche, fu Platone a teorizzare un governo di filosofi, intravedendo alcuni limiti del potere di tutti. Nel 1700 poi il filosofo americano John Stuart Mills pensò si potesse equilibrare il potere di voto permettendo di votare più volte alle persone più colte.

Cosa si propone adesso? Il più noto esempio, citato in questi giorni, è un saggio di Jason Brennan, Against Democracy, nel quale il giovane filosofo della Columbia University riprende queste idee e le soppesa per capire se potrebbero funzionare oggi. L’assunto da cui parte è il fatto che noi oggi vediamo il suffragio universale come un diritto inalienabile. Impossibile da mettere in discussione. Brennan dice invece che sì la democrazia è il governo migliore sperimentato finora, ma ciò non vuol dire che non sia possibile di miglioramento. Sulla scia di Platone propone quindi una forma ibrida: un governo di ben informati, grazie alla limitazione ad hoc del suffragio universale. Fino a qui si potrebbe essere d’accordo, ma quando si tratta di come realizzare questo sbarramento le cose si fanno più confuse. Scontrandosi con questa difficoltà la cosa per il professor Brennan più semplice da fare è selezionare i votanti guardando al livello di istruzione. Dato che può essere indicativo ma non assoluto (poiché uno stupido che frequenta una buona università molto probabilmente diventerà uno stupido istruito), oltre che potenzialmente di discriminatorio.
Come si è visto dalle ultime elezioni americane la Clinton è andata forte tra le persone con un PhD (dottorato di ricerca), mentre tra i laureati i votanti erano quasi equamente spartiti.

Qualcosa che non torna comunque c’è. Tutto il risentimento di molta gente per il famoso establishment, per il sistema politico che si incanala verso scelte drastiche, di rottura, molte volte dettate dalla paura di un mondo che sta mutando, non può e non deve rimanere inascoltato. Queste istanze ci dicono qualcosa, ci parlano della scarsa fiducia nella politica e nel suo sistema rappresentativo e non si può certo rispondere estromettendo direttamente parte dell’elettorato

Un bel articolo del New Yorker (A case against democracy) trattante questi temi a un certo punto si chiede: «But is democracy really failing, or is it just trying to say something?» La democrazia sta davvero fallendo o sta solo tentando di dirci qualcosa?

E se sì cosa ci sta dicendo?

Possiamo provare a capirlo solo se crediamo davvero che l’unica possibilità, perché una democrazia funzioni, sia che questa si basi su informazione e consapevolezza. E l’informazione è proprio ciò che è più in crisi oggi. Da una parte le difficoltà, economiche e di credibilità dei giornali, visti come parte dell’élite, dei quali non ci si può né ci si deve fidare, ma da osteggiare. Dall’altra contribuisce alla creazione di un’opinione pubblica poco e male informata il proliferare di bufale, notizie false o imprecise sui social network. Notizie che saranno certamente, come dice Mark Zuckerberg, una minima parte del traffico di Facebook, ma corrono molto più veloce della verità e arrivano a molte più persone, quasi autoalimentandosi. Se mettiamo in conto anche il fatto che si social siano la fonte unica o quasi di approvvigionamento di notizie di sempre più persone siamo di fronte a un cortocircuito.

Quindi sarebbe una buona e auspicabile proposta quella di un test di cultura e di educazione civica (in italia sostenuta da intellettuali come Massimo Gramellini) dietro il cui superamento ottenere il voto, ma l’educazione civica non si fa da sola. Bisogna istruire i cittadini se si vogliono cittadini consapevoli e bisogna informarli correttamente se li si vuole obiettivi. Luca Sofri, direttore del Post, che da anni si occupa di notizie fasulle e disinformazione ricorda che già Parise diceva che non si ha democrazia senza pedagogia. Ce lo si augura. E, in Italia almeno, vedere insegnata veramente l’educazione civica a scuola sarebbe un primo passo tangibile.

Tommaso Meo

[immagine tratta da Google Immagini]

La questione del suffragio universale

In questo ultimo periodo caratterizzato da referendum e votazioni mi sono sorpreso da ciò che questi fatti producevano al mio interno: la messa in discussione della valenza del suffragio universale.
Inizialmente pensavo fosse causato dal mio orrore mentre ascoltavo i resoconti delle affluenze così basse, delle interviste e degli autorevoli pareri di esperti. Successivamente, però, mi sono reso conto che – analizzato logicamente dal punto di vista teorico – forse una discussione attorno alla sua necessità debba essere intavolata, almeno per essere sicuri di accettarlo consapevolmente e non per comune abitudine.

Il suffragio universale è uno dei capisaldi della democrazia, introdotto in Europa nel corso dell’Ottocento – nonostante per un periodo di tempo brevissimo sia stato adottato anche nella Francia post-rivoluzionaria. Esso esprime gli ideali democratici in maniera massima: ognuno vale uno, cioè ognuno è uguale, ogni opinione ha lo stesso peso, ogni desiderio ha la stessa importanza di ogni altro. Non ci sono restrizioni: non c’è ceto, etnia, censo, genere, orientamento sessuale che tenga.
Concentriamo il nostro sguardo sull’unica discriminante: è necessario aver raggiunto la maggiore età per poter esercitare questo diritto. Quindi: per votare, è necessario avere un’età minima.
Ora mi chiedo: e perché non si è presa in considerazione anche un’età massima?
La questione è molto meno banale di quello che sembri, basti osservare cosa è successo nel Regno Unito recentemente: la parte “vecchia” della popolazione ha imposto il Leave alla nuova generazione, che aveva votato compatta per il Remain (75%). Non sto esprimendo giudizi su chi avesse ragione e chi torto, sto semplicemente analizzando un fatto: chi non vedrà i risultati del proprio voto ha imposto il futuro a chi, invece, subirà le conseguenze (positive o negative che siano) di questa votazione.
Stesso discorso per quanto riguarda, invece, due non-restrizioni: il grado di istruzione e il bagaglio di informazioni. Queste due variabili, infatti, condizionano pesantemente le nostre scelte. Guardando sempre alla “Brexit” per comodità temporale, la differenza tra zone rurali e grandi città come Londra è molto evidente.
Con ciò, di nuovo, non sto dicendo che una delle due sia nella ragione ed una nel torto, sto analizzando semplicemente dei dati.

Il problema non è di facile soluzione, perché ha a che fare con il Tutto, nel suo rapporto con la molteplicità.
Inoltre, il suffragio universale, mi sembra che presupponga se stesso nella sua accettazione: una ipotetica votazione che abbia come oggetto l’adozione o meno del suffragio universale come metodo di voto deve per forza di cose essere già aperta a tutti, e quindi esso si troverebbe già ad essere il metodo di votazione.

Un inizio di soluzione può essere intravisto alla base del sistema.
La questione non è la diversità di opinione a cui il suffragio universale dà voce; anzi: essa è ciò che permette l’essere di uno stato democratico. L’anello debole della catena è la volontà subdola di creare o trasformare opinioni negli/degli altri, di allarmare, di terrorizzare, di deviare l’attenzione verso capri espiatori. Ciò fa gravemente ammalare la validità del suffragio universale, che diventa una semplice facciata: un nome per coprire gli intenti demagoghi e populisti e un mezzo per realizzarli.
La cura, a mio modo di vedere, prevede una medicina politica ed un per la società.
La prima dà voce a come sia necessario avere la capacità critica di scegliere quali decisioni debbano essere espresse dal collettivo e quali dalla rappresentanza di esso. Con il nostro voto, infatti, scegliamo i nostri rappresentati, ai quali diamo la nostra fiducia. E una delle sezioni all’interno di questa fiducia è la speranza che scelgano per noi il meglio, a fronte di una capacità politica che noi non possediamo. Questo determina delle scelte in cui la nostra voce di popolo non conta, perché è appunto espressa dalla rappresentanza, o comunque essa tenta di raggiungere i migliori risultati possibili per la collettività.
La seconda ha a che vedere con la buona informazione.
Può essere un’utopia, in un mondo dominato dalla Rete; in cui ogni notizia è praticamente istantanea e priva di filtri, in cui si fa a gara a chi pubblica per primo una notizia, in cui i dettagli non contano: ciò che importa è il titolo (al quale una buona parte del pubblico si ferma senza andare oltre).
Ma una buona informazione è uno – se non il – presupposto perché il suffragio universale sia espressione del popolo e non di opinioni condizionate.

Massimiliano Mattiuzzo

[Immagine tratta da Google Immagini]