Il bivio esistenziale: le due strade di Guido Gozzano

L’una luminosa, ricca, autentica; l’altra posata, priva di brio, grigia: sono queste le due strade esistenziali descritte nell’omonima poesia di Guido Gozzano, personificate da due figure, metafora del cammino di ogni singolo individuo. Grazia e la Signora, entrambe donne: l’una molto giovane, l’altra ormai in età avanzata «da troppo tempo bella, non più bella tra poco»1, come la definisce il poeta, privata di quella vitalità tipica dell’adolescenza, che fa apparire il mondo vivace e colorato, ricco di gioia.

Sembrano così diverse all’apparenza: Grazia ha «una bicicletta accesa d’un gran mazzo di rose», dei «biondissimi capelli» e una «bocca vermiglia», la Signora è «triste», passiva, nostalgica in molti suoi atteggiamenti, eppure «la vita una allacciò all’altra» afferma il poeta, il destino vuole che entrambe si incontrino, si sfiorino sebbene per poco tempo.

Grazia a cavallo della propria bicicletta, dinamica, vitale incontra dopo molto tempo la Signora che quasi stenta a riconoscerla, tanto è cresciuta e diventata donna. Ma l’incontro dura poco, poi la giovane riparte per la propria strada.

Cosa significa? Cosa simboleggiano queste due figure che occupano in fondo l’intera scena poetica?

Si tratta di due immagini simboliche, che personificano due condizioni esistenziali: l’una autentica, forse più facilmente assimilabile alla giovinezza spensierata, quando, come afferma Leopardi «solazzo e riso» sono della «novella età dolce famiglia»; l’altra inautentica, matura, sicura, ma priva di quella brillantezza che dovrebbe caratterizzarla. Due modi di vivere, dunque, paragonabili ad un bivio, dove una scelta esclude l’altra.

Non a caso il poeta che, per costrizione sociale o per condizione personale, si sente più simile alla Signora, vede partire per sempre Grazia, di lei conserva solamente l’eco della sua voce e la promessa di un futuro ritorno che non giunge. «Grazia è scomparsa. Vola – dove? – la bicicletta»2 afferma infatti in chiusura Gozzano, di lei non è rimasta traccia tangibile: la felicità se ne è andata con la scelta di una strada diversa.

L’immagine portante attorno a cui è costruita questa poesia, apparentemente spensierata e redatta come un ritornello, è dunque un tema filosofico tra i più significativi e profondi: l’uomo e le proprie scelte, i bivi esistenziali che si presentano come biforcazioni antitetiche, in quanto ogni persona può prendere una sola strada.

Ciò porta a una serie di conseguenze di non poco valore: l’abbandonare alcune possibilità rispetto ad altre, il subentrare della nostalgia o del rimpianto alla vista di chi ha effettuato altre scelte, la rinuncia di vite parallele alla propria. È ciò che si trova a sperimentare la Signora e il poeta stesso che afferma «che valse la luce mattutina raggiante sulla china tutte le strade false?/cuore che non fioristi, è vano che t’affretti verso miraggi schietti in orti meno tristi3. Entrambi hanno rinunciato alla felicità, per abbracciare una vita di doveri e sicurezza, che manca di emozioni spontanee e intense. Da qui quel senso di rimpianto, che solo chi ha fatto questa scelta può percepire, difronte a una persona – Grazia – che invece incarna un’altra possibilità, forse più precaria, frivola per certi aspetti, ma piena di gioia.

È un tema che si ritrova fin dalle origini nella scena filosofica: si pensi anche solo a Parmenide che mostrava come due erano le strade percorribili: l’una “la via della verità”, dello svelamento e l’altra “la via dell’opinione”, fallace, ingannevole, via che porta necessariamente all’errore.

In fondo questa antitesi tra strade e vie diverse è un il fil rouge di tanta riflessione filosofico-letteraria che si trova ad affrontare i dilemmi dell’uomo diviso tra varie scelte esistenziali, senza una risposta su quale sia la migliore per sé.

Gozzano tuttavia mostra un punto di vista, una soluzione, sia pure poco rassicurante, che rispecchia la propria condizione: ovvero quella di un uomo troppo preso da una vita impostata, piena di doveri. Ciò non significa che egli non dia possibilità nelle scelte, ma in un certo senso ammonisce il lettore a fare attenzione a quali sono le vie calpestate, perché spesso queste hanno un unico senso di marcia.

Un bozzetto colorato ma allo stesso tempo ricco di indagine filosofica, quello presentato dunque dal poeta, che lascia il lettore con alcune profonde domande: quanto distante è la felicità dalla nostra vita? Quanto influenziamo il destino con le nostre scelte? Dove si trova la vera felicità?

Forse, dice Gozzano, basta osservare meglio e non lasciarsi sfuggire quella donna «dolcesorridente» quando sfiora la nostra strada con la sua veloce bicicletta.

 

Anna Tieppo

 

NOTE
1. G. Gozzano, Poesie e prose, a cura di Luca Lenzini, Milano, Feltrinelli, 2011, p.104.
2. Ivi, p. 107.
3. Ivi, p. 105.

 

[immagine tratta da Google immagini]

 

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Elogio a Partenope

In estate a Venezia si crea quella cappa di umidità che ti si attacca addosso, sui vestiti, sulla pelle, e anche un po’ sui pensieri. Appare e se ne va, poi torna in pieno inverno per qualche attimo fugace, per sconvolgere il freddo a cui aveva involontariamente ceduto il passo. Nella canicola si riconoscevano persone e cose vaganti, si arrampicavano sui ponti al ritmo dettato dagli scalini, molti si facevano le foto con alle spalle il canale più famoso d’Italia. Superato il grande arco di acciaio, cemento e vetro, si entrava sul lato della stazione in quel momento semideserta. 

Treni fermi, allineati in attesa di un annuncio. 

Capitreno: tre, schierati a triangolo equilatero, all’ombra del primo porticato; discutevano del più e del meno, quasi sempre turni, sindacati, ritardi, scioperi.

Turisti: pochi, si facevano aria con ventagli improvvisati, cercavano di estorcere un biglietto alla macchinetta elettronica, quella che non si fa problemi a prendersi le ferie quando vuole mandando sullo schermo un avviso di indisponibilità momentanea, un momento indefinito.

Il tabellone con gli orari e le destinazioni: lui nero, perché il nero fa elegante; gli orari e le destinazioni in arancione, perché l’arancione fa contrasto al nero anche sotto il sole.

Una donna era seduta alla panchina del binario 3 dove arrivava e partiva il lungo serpente rosso per Napoli.

“Aspetti qualcuno?”

 “Il treno per tornare a casa”

“Non hai visto il tabellone? È in ritardo di centosedici minuti, si sono pure scusati per il disagio”

“Accidenti – ma l’imprecazione era un’altra – non ci avevo fatto caso”

“Napoli vero?”

“Sì”

“Il tuo accento sai, un po’ ti ha tradita”

“Anche il treno mi ha tradita”

“Già, ma se posso chiedere, una donna che torna da sola a Napoli, non sarà pericoloso?”

Mi guardò scostandosi leggermente i capelli dal viso.

“Dovevo essere ammogliata?”

“No, lo dicevo per quello che si sente dire in giro”

“E cosa si dice?”

“Che c’è la criminalità, che non si può andare in giro la sera, che ti rubano tutto appena arrivi”

“Ci mancano le sparatorie, gli inseguimenti e la terza guerra mondiale”

Sorridemmo entrambi.

Lei per aver sentito una sciocchezza, io per aver capito di averla detta.

“Ma tu ci mai stato a Napoli?”

“A dire il vero no”

“Quindi basi le tue opinioni sul sentito dire”

“In effetti… però potresti raccontarmela tu”

“Dovresti vederla, le parole non rendono bene l’idea”

Ci andai.

Alla fine misi da parte le dicerie, tappai anche gli occhi per non indovinare il labiale e ci andai. Presi quel treno, qualche tempo dopo s’intende, senza ritardo e senza lunghe attese assieme a strani personaggi annoverabili tra i seccatori di professione. Entrai in quel labirinto, perché la prima figura che mi venne in mente appena vidi Napoli fu un labirinto.

Napoli è un labirinto a ordine sparso su più piani.

Comincia, finisce, ricomincia, si interrompe, riprende altrove, ora si sviluppa verso ovest, poi inclina impercettibilmente il capo e cammina a nord-est. È un mosaico di tante cose; palazzi, case, genti, persino di pavimentazioni.

E le strade?

Le strade sono innumerevoli, molto lunghe e disposte quasi a griglia, sono griglie disegnate a seconda del tempo, dell’umore, dell’urbanista, degli abitanti stessi e dei secoli. Seguono il percorso dei palazzi, si aprono in piazze e piazzette, in alcuni punti formano fazzoletti a trapezio e spuntano panchine, un piccolo quadrato verde con un paio di alberi divenuti ormai d’asfalto. Portano ovunque e non smarriscono nessuno, ci si perde per poi ritrovarsi, ci si allontana con la consapevolezza di tornare ancora più vicini da dove si era partiti. 

Strade e vicoli, dai nomi altisonanti, dai vecchi rettangoli di pietra con la scritta ormai invisibile, con il selciato sconnesso dai crateri, dai sampietrini scomparsi.

La gente si arrangia, la battuta può salvare da una giornata di pioggia interiore. Parlano e impari i loro gesti solo se hai abbastanza curiosità per farlo. L’ Eh napoletano è come il get inglese: lo puoi mettere ovunque. Eh = sì; sono d’accordo; va bene; mi fa piacere vederti; sono a disposizione; è giusto ciò che dici; ti sto ascoltando; finalmente hai capito!

La gente di Napoli è come le sue vie.

I monumenti, le chiese, il silenzio e il frastuono.

Napoli è un contrasto, non va capito perché un contrasto non si può capire, al massimo lo si coglie e non si scarta nulla per non perdere la visione dell’insieme.

È una donna.

Un elogio dedicato a chi non c’è mai stato.

A chi pensava di non andarci mai.

Alessandro Basso

[Immagine di Alessandro Basso]