Serie tv e differenti prospettive sulla guerra

Scorrendo le diverse serie TV presenti sulle maggiori piattaforme che oggi offrono anche cinema e intrattenimento, si scoprono dei gioielli la cui visione è spesso appannaggio di pochi esploratori. Tra questi, si scoprono mini serie televisive affascinanti e meno di nicchia di quanto potrebbero pensare i più. È il caso di Band of Brothers e The Pacific, entrambe con la produzione esecutiva di Tom Hanks e Steven Spielberg. Entrambe con una componente storica e realistica molto forte. La prima è tratta dal libro Band of Brothers di Stephen Ambrose, da cui prende il titolo il film, ed è strutturata sulla base di testimonianze di chi, quell’atroce avventura, la visse. 

La seconda, invece, è principalmente tratta dalle memorie di due Marines, Eugene Sledge e Robert Leckie, autori rispettivamente di With the Old Breed e Helmet for My Pillow, le cui esistenze, insieme a una terza, sono al cuore delle vicende narrate.

Confrontando le due serie emergono modalità differenti di vivere la guerra. In Band of Brothers non abbiamo dei protagonisti che occupano una posizione preminente rispetto agli altri personaggi. A ben guardare, non ci sono personaggi principali o secondari. Piuttosto una regina che trionfa tra la fame e il gelo: la fratellanza. Fratellanza che si crea e si rafforza come dita nodose tra i soldati della compagnia Easy. A fianco del maggiore Dick Winters, infatti, ruota un gruppo di soldati le cui difficoltà, asprezze quotidiane e paure emergono equamente e con pari interesse in chi le mostra allo spettatore. Non si tratta di un approccio monumentalista né eroicocentrico: non troviamo esaltazione del singolo, bensì occhi puntati sulle relazioni interpersonali ed i legami che vengono a crearsi.  

Al contrario, in The Pacific gli autori hanno scelto di incentrare la storia su tre specifici Marines: il soldato di prima classe Robert Leckie, il caporale Eugene “Sledgehammer” Sledge e il sergente di artiglieria John Basilone, mentre i restanti personaggi sono un contorno non ben definito e poco caratterizzato che funge “da spalla narrativa” alle vicende dei tre protagonisti.

Trovo apprezzabile come la guerra sia qui letta da un lato maggiormente introspettivo e riflessivo. Di conseguenza, dare maggiore risalto a tre singoli protagonisti è funzionale ad amplificare questo aspetto. Non solo. In questa ottica, ognuno dei tre protagonisti è portavoce di una diversa concezione di vivere e giustificare la guerra. Da un lato abbiamo il sergente John Basilone, Marine purosangue: in più momenti della serie gli autori lasciano trasparire come per lui il corpo dei Marine vada oltre ogni altro principio che non siano Dio e la famiglia. Per Basilone non serve una giustificazione alla guerra, lui è un Marine e la sua Patria è stata attaccata. Il soldato Robert Leckie, invece, viene sempre mostrato come riluttante alla guerra, intento a porsi interrogativi sul suo significato, sull’auspicata fine e la sua giustificazione, esprimendo sempre la mai celata volontà di voler tornare a casa al più presto. Tuttavia, il personaggio più complesso ed il cui aspetto emotivo è messo più in risalto è il caporale Sledge. In quest’ultimo l’evoluzione e, poi, involuzione morale è evidente.

Per lui la guerra rappresenterà un mutamento di convinzioni e avrà un ruolo devastante. Ansioso di poter essere reclutato, quando fa il suo ingresso sul campo viene mostrato come un ragazzo di sani principi morali; presto però perderà la capacità di distinguere tra giusto e sbagliato. Agirà come coloro che il ragazzo di sani principi avrebbe disprezzato. Tornato a casa, non indosserà mai più la divisa.

Vi è un altro aspetto interessante. Se in Band of Brothers la vita dei soldati era incentrata, quasi esclusivamente, sulle vicende al fronte, in The Pacific gli autori dedicano ampia parte della storia alle vicende vissute in patria: il sistema di propaganda per la vendita dei War Bond, il reclutamento di giovani soldati, le vite affettive di questi, il modo in cui la guerra verrà vissuta dalle rispettive famiglie e, infine, il ritorno in patria.

Un ritorno molto toccante. Giovani soldati, poco più che maggiorenni, fanno ritorno a una casa mai mutata con profonde ferite spirituali e senza avere alcuna esperienza idonea per reperire un adeguato lavoro. Basti pensare alle pungenti parole di Sledge: “ho imparato ad uccidere i giapponesi e so farlo molto bene”. Non sanno fare altro che uccidere.

Si potrebbe dire: una guerra meno sentita, quella in Europa, ed una, invece, che ha toccato al cuore gli Stati Uniti nel Pacifico.

Da entrambe le serie emerge la guerra che dilania. La guerra che dispera. La guerra che distrugge. La guerra che disumanizza. Eppure, non manca la riflessione, propriamente umana, il pensiero critico ed il moto di propensione verso l’altro. Un moto volto al costruire, al sopravvivere insieme e non al distruggere.

 

Sonia Cominassi

 

[immagine tratta dalla copertina della serie TV Band of Brothers]

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“Ready Player One” è un viaggio ai confini della realtà

Chiunque sia entrato in un cinema almeno una volta negli ultimi quarant’anni, non può non essersi imbattuto anche solo in uno dei trentadue lungometraggi diretti da Steven Spielberg. Il regista americano è parte integrante di quella schiera di autori le cui opere sono entrate di diritto nell’immaginario collettivo di milioni di persone. Al di là dei gusti personali che, di volta in volta, possono farci amare o meno i suoi film, Spielberg ha il pregio di voler continuare a sperimentare le nuove vie del cinema nonostante abbia raggiunto la soglia dei 72 anni d’età. Il suo nuovo gioiello si chiama “Ready Player One” ed è un viaggio fantasmagorico che anticipa il futuro guardando al passato.

Tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore statunitense Ernest Cline, “Ready Player One” racconta di un’avventurosa caccia al tesoro per la conquista di Oasis, uno sterminato universo virtuale in cui, nel 2045, gli abitanti della Terra si rifugiano per sfuggire alla desolazione e ai problemi della vita reale. I temi chiave su cui si basa il nuovo film di Spielberg sono essenzialmente due: il primo è quello della rilettura del passato per imparare a comprendere il futuro che ci attende. Il secondo riguarda l’eterna diatriba sui possibili sviluppi della realtà virtuale e sull’importanza di continuare a instaurare rapporti autentici e reali in un mondo sempre più dominato dalla tecnologia. Il primo dei due nodi tematici appena citati, viene sciolto da Spielberg attraverso l’utilizzo smodato del citazionismo che raggiunge l’apice nella seconda delle tre prove per la conquista di Oasis. Il tema della realtà virtuale contrapposta al reale è invece la parte più debole della storia, dal momento che non riesce mai a sfociare in un ragionamento approfondito sull’importanza del carattere umano, contrapposto al progresso della realtà virtuale.

Nel pensiero filosofico contemporaneo, la problematica della realtà esterna ha assunto una valenza prevalentemente gnoseologica. La riflessione neopositivistica, per esempio in Carnap, ha invece etichettato i contenuti e le soluzioni proposte in passato come risposte a uno pseudoproblema, in quanto non suscettibile di verifica sperimentale. Nella riflessione successiva al neopositivismo il problema della realtà è stato variamente discusso all’interno del rinnovato dibattito sul realismo, illustrando come la contrapposizione con una dimensione virtuale stia assumendo sempre più rilevanza nella nostra quotidianità. Il fatto che questi temi restino solamente accennati in “Ready Player One” costituisce il vero punto debole di un film che merita comunque di essere visto per lo spettacolo che offre agli occhi dello spettatore. Una colossale visione futurista che non può non lasciare a bocca aperta anche chi di cinema non se ne intende. “Ready Player One” è l’immagine di una realtà alla deriva che ci ricorda quanto sia necessario tenere a mente le parole del drammaturgo George Bernard Shaw, il quale sosteneva che «senza l’arte, la crudezza della realtà renderebbe il nostro mondo del tutto intollerabile».

A questo link potete trovare il trailer del film, al cinema da mercoledì 28 marzo.

 

Alvise Wollner

 

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Film selezionati per voi: febbraio 2018!

«Tre film al giorno, tre libri alla settimana, dei dischi di buona musica basteranno a fare la mia felicità».

Sulla scia delle parole di François Truffaut, ecco a voi la nostra selezione cinematografica per il mese di febbraio: appuntamenti imperdibili con grandi registi, come Steven Spielberg e Clint Eastwood, e con pellicole da Oscar come The Shape of Water, premiato con il Leone d’oro al Miglior film all’ultima edizione del Festival del cinema di Venezia. Ma non solo: vi proponiamo anche un documentario nientemeno che su Caravaggio, un film d’animazione e un grande classico. Buona visione!

 

FILM IN USCITA

la-forma-dellacqua-la-chiave-di-sophiaLa Forma dell’acqua – Guillermo de Toro

U.S.A., 1962. Elisa, affetta da mutismo, è un’addetta alle pulizie in un laboratorio scientifico di Baltimora ed è legata da profonda amicizia a Zelda, collega afroamericana che lotta per affermare i propri diritti nel matrimonio e nella società, e a Giles, vicino di casa omosessuale discriminato. In un mondo alienato, alienante e dall’apparenza rassicurante, Elisa, condannata al silenzio e alla solitudine, vive una fantasmagorica storia d’amore con una creatura anfibia che sopravvive in cattività in laboratorio, un mostro intelligente e sensibile. Un film, quasi un lento incubo, sospeso tra acqua, aria e nevrosi terrestri, quali la guerra fredda e la paura del diverso. USCITA PREVISTA: 15 febbraio 2018

the-post-la-chiave-di-sophiaThe post – Steven Spielberg

Thriller politico, manifesto della trasparenza e della libertà di stampa, The Post racconta la storia della pubblicazione dei cosiddetti Pentagon Papers, documenti top secret del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, avvenuta agli inizi degli anni Settanta sul The Washington Post. Kay Graham – interpretata da Meryl Streep – prima donna alla guida della prestigiosa testata e Ben Bradlee – interpretato da Tom Hanks – direttore del giornale mettono a rischio la loro carriera nell’intento di portare pubblicamente alla luce ciò che quattro presidenti hanno insabbiato e nascosto. USCITA PREVISTA: 1 febbraio 2018

ore-1517-attacco-al-treno-la-chiave-di-sophiaOre 15.17 Attacco al treno – Clint Eastwood

Il 21 agosto 2015 i media divulgano la notizia di un tentato attacco terroristico di matrice islamica sul treno Thalys 9364 diretto a Parigi sventato da tre coraggiosi giovani americani. Nella sua nuova pellicola Clint Eastwood ripercorre le vite dei tre amici, Anthony Sadler, Spencer Stone e Alek Skarlatos, basandosi sulla loro stessa autobiografia The 15:17 to Paris: The True Story of a Terrorist, a Train, and Three American Heroes. USCITA PREVISTA: 8 febbraio 2018

 

UN FILM D’ANIMAZIONE

i-primitivi la chiave di sophiaI primitivi – Nick Park

Inizia all’alba dei tempi, tra creature preistoriche e natura incontaminata, il cartone animato più interessante del mese di febbraio. “I primitivi” racconta la storia di un uomo delle caverne che riesce a unire le forze dei suoi compagni di tribù per combattere le mire di un nemico cattivo durante il passaggio storico dall’età della pietra a quella del bronzo. Storia, azione e divertimento si mescolano in maniera efficace in questa pellicola con le voci di una serie di illustri doppiatori italiani come Riccardo Scamarcio, Paola Cortellesi e Salvatore Esposito (il Genny Savastano di “Gomorra”). Un film leggero ma con interessanti spunti didattici e un messaggio ricco di valori condivisibili, ideale per una serata in famiglia. USCITA PREVISTA: 8 FEBBRAIO

UN DOCUMENTARIO

caravaggio la chiave di sophiaCaravaggio: l’anima e il sangue – Jesus Garces Lambert

Dopo il grande successo riscosso nel 2017 dalle pellicole dedicate ai grandi maestri dell’arte, anche quest’anno al cinema si rinnova l’appuntamento con la pittura sul grande schermo. A febbraio il protagonista assoluto sarà Michelangelo Merisi, noto come Caravaggio, la cui arte è stata immortalata dal francese Jesus Garces Lambert. Un’approfondita ricerca documentale negli archivi che custodiscono traccia del passaggio dell’artista, conduce lo spettatore in una ricostruzione sulle tracce e i guai di Caravaggio, alla scoperta delle sue opere. Quaranta i dipinti analizzati nel film che, grazie all’impiego di evolute elaborazioni grafiche, di macro estremizzate e di lavorazioni di luce ed ombra, prendono quasi vita e corpo, si confondono con la realtà dando una percezione quasi tattile. A impreziosire il tutto è la voce narrante di Manuel Agnelli, leader della band Afterhours, al suo debutto nel genere documentario. Un film da non perdere, in sala solo per tre giorni: il 19, 20 e 21 febbraio.

UN CLASSICO DEL CINEMA

diritto-di-cronaca la chiave di sophiaDiritto di cronaca – Sydney Pollack

Nel mese in cui esce al cinema l’atteso “The Post” di Steven Spielberg, è giusto riscoprire un interessante film del 1981 che ha ispirato, per molti aspetti, la nuova pellicola con Tom Hanks e Meryl Streep. In “Diritto di cronaca” la morte di un sindacalista a Miami scatena sia le indagini della polizia sia quelle di una giovane giornalista locale. Finito in un vicolo cieco, l’investigatore Rosen decide di sfruttare l’intraprendenza della reporter per venire al bandolo dell’intricata matassa, ma riuscirà soltanto a mettere nei guai un onest’uomo imparentato con la mala. Il problema della libertà di stampa e del diritto di informare a tutti i costi sono alla base della storia, forse non tra le più riuscite del compianto Sydney Pollack, che si muove sempre alla ricerca di una scomoda verità. Nel lungo filone di film dedicati al giornalismo “Diritto di cronaca” rimane un titolo da vedere almeno una volta per capire quanto il mondo del giornalismo abbia da sempre affascinato la settima arte.

 

Rossella Farnese, Alvise Wollner

 

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