Due ali controvento

Si ricordava la prima volta che l’aveva vista, paonazza ancora per lo sforzo di venire al mondo, un viso rotondo, due occhi azzurri e quella macchia di capelli biondi, quasi bianchi.

Se ne era innamorata subito.

Anzi, no. Se ne era innamorata ancora prima.

Aveva iniziato a innamorarsene quando la sua mamma le aveva detto che avrebbe avuto un altro bambino, oltre a lei, e che questo bambino le avrebbe fatto il regalo di non sentirsi mai sola nella vita.

Se ne era innamorata un po’ di più quando le dissero che sarebbe stata femmina. A quel punto si era proprio sciolta. Finalmente qualcuno come lei. Finalmente qualcuno che la potesse capire. Finalmente qualcuno con cui avrebbe potuto giocare giorno e notte, qualcuno con cui avrebbe potuto cospirare quando i genitori le negavano qualcosa, qualcuno con cui piangere e ridere e litigare.

Sarebbero state semplicemente loro due.

Contro il mondo, contro tutti, controvento.

E aveva iniziato a fare lunghi discorsi con quella pancia che cresceva a vista d’occhio ma sempre troppo lentamente per lei che non vedeva l’ora che nascesse. Parlava tanto con quell’esserino dentro a quel pancione; parlava tanto, lei, che una gran chiacchierona proprio non era. Ma si era definitivamente innamorata quando l’aveva vista. E ancor di più quando l’aveva potuta toccare.

L’amore vero è cresciuto con gli anni. Prendendola per mano e difendendola quando poteva. Giocando e litigando giorno dopo giorno. Piangendo e ridendo insieme. Consolandola e facendosi consolare. Ascoltandola per ore e ore e facendole ascoltare i suoi silenzi. Parlando a lungo, regolarmente, con la naturalezza che porta l’essere cresciuti insieme; e magari parlare di niente, perché tanto si sapeva già tutto, senza mai lasciarsi ingannare dalle piccole bugie dell’altra e riuscendo a riconoscerne, come per istinto, i veri sentimenti. Criticandosi, senza mai offendersi. Combattendo insieme nelle battaglie quotidiane. Intessendo i fili della loro esistenza.

E sono cresciute, mano nella mano, a volte più vicine, a volte più lontane, indissolubilmente legate. Sempre e comunque loro due, nonostante tutto, contro il mondo, contro tutti, controvento.

Si ricordava la prima volta che l’aveva vista. Guardandola ora stenterebbe a riconoscerla. Capelli rossi, viso tutt’altro che rotondo e occhi color nocciola che al sole assumono una sfumatura ambrata, quasi felini, in contrasto con la sua dolcezza. Da bambina chiacchierona a ragazzina timida a donna ironica e sagace. La credeva delicata ed era una roccia. Si ritrova a fianco una vera e propria Donna, di quelle con la D maiuscola. Quello che non è cambiato è che ancora oggi a guardarla se ne innamora. Sempre un po’ di più.

Quello che le aveva detto sua madre era vero: aveva trovato una compagna per la vita, per camminare insieme, semplicemente loro due, contro il mondo, contro tutti, controvento per affrontare le burrasche della vita, certe che ognuna sarebbe stata il punto fermo dell’altra.

Giordana De Anna

[immagine tratta da Google Immagini]

La musica che guarisce

La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori. Johann Sebastian Bach

Succede che quando qualcosa ti viene imposto finisci per odiarlo. Succede anche che quando qualcosa ti viene imposto non ti accorgi di amarlo e di quanto questo amore ti faccia sentire bene. È successo questo a Margherita e al suo pianoforte.

Undici mesi fa la vita di Margherita è cambiata. Undici mesi fa a sua sorella è stato diagnosticato un tumore al polmone con metastasi ossee. Margherita si è ritrovata a guardare sua sorella fare cicli di chemioterapia e radioterapia, trasfusioni, tac e risonanze magnetiche di controllo. Margherita si è ritrovata a guardare i suoi genitori disperarsi, pregare e sperare, mentre lei rimaneva in un angolo, quasi invisibile. Margherita undici mesi fa è stata travolta dal buio, un vuoto totale in cui non riusciva a capire più chi era. Undici mesi fa si è ritrovata a camminare sempre in punta di piedi per non disturbare, a non mostrarsi mai triste e, in un certo qual modo, a non provare più niente. Undici mesi fa suonare il pianoforte e la musica erano solo un qualcosa che le toglievano il tempo di stare con gli amici. Ora, il pianoforte, è diventato il suo migliore amico, il suo confidente. Ora, la musica, è diventata la sua voce.

Margherita suona per non ascoltare il silenzio assordante che la circonda. Margherita suona perché suonare le ha insegnato a non pensare. Margherita suona perché lasciare le dita andare su quegli ottantotto tasti le permette di lasciare libero il suo dolore. Lasciare le dita andare su quegli ottantotto tasti permette al gelo che prova, e a cui si costringe, di diventare lentamente primavera. Margherita suonando riesce a dare sfogo alla tormenta che cova dentro di lei senza che questa la frantumi. E in questi undici mesi Margherita ha suonato, suonato, suonato… per raccontare a se stessa quello che le parole non riuscivano a spiegare. Parlava attraverso la musica di Chopin, il “poeta del pianoforte”. Margherita ha trovato nella sua musica uno specchio fedele dell’animo, una confessione intima dedicata a coloro a cui non è necessario dire tutto, ma si può anche solo suggerire. Il suo pezzo preferito era diventato lo Studio Op. 25 No.11. Una composizione emotivamente intensa che le faceva pensare a una bufera, con il turbine di vento che trascina tutto con sé. La rabbia. Il dolore. I sensi di colpa. La confusione. Tutti i suoi sentimenti più nascosti in un unico brano. Lo suonava e si scopriva, una volta eseguito, le guance bagnate dalle lacrime. Quando invece suonava il suo Notturno op. 48 No.1 le sembrava di raccontare di lei, di quello che era diventata: una persona introversa e piena di paure che ha voglia di scoppiare e dire tutto ciò che pensa, vomitando la rabbia e la tristezza che si è ritrovata nel cuore. Intimo e grandioso al tempo stesso, un notturno unico. Un ampio respiro iniziale che porta a un crescendo di angoscia, passione e tormento interiore fino a svanire, consumato, proprio come lei. Suonare il Preludio Op.28 No. 4, malinconico e dolce al tempo stesso, la lasciava vagare, la faceva entrare in un mondo magico per trovare un attimo di sollievo. La solitudine. La delicatezza. L’anima melanconica.

Margherita in questi ultimi undici mesi ha trovato nel pianoforte e nella musica il suo modo di sopravvivere, perché anche se non era lei quella malata e a rischio di vita, una parte di lei è morta undici mesi fa. Margherita in questi ultimi undici mesi ha trovato nel pianoforte e nella musica uno strumento per esprimersi e trasmettere tutto quello che aveva dentro, sotto l’involucro di ghiaccio che si era costruita. Lasciare che tutti i suoi sentimenti avessero luogo, nella possibilità di non venirne travolta ma di poterli controllare nelle sue dita pur vivendoli l’ha aiutata a sopportare il peso di tutti quei sentimenti per poter continuare a vivere, trasformando il suo dolore in musica, raccontando il suo dolore attraverso le note.

L’uso della musica come terapia è vecchio quanto la musica stessa. La musica, ascoltata o messa in atto, o più in generale il suono può essere veicolo di autoterapia o essere usato come terapia da parte di uno specialista. La musica è uno strumento per esprimere le proprie emozioni, i propri sentimenti e i propri pensieri. La musica produce effetti sul nostro corpo, coinvolge la mente e origina un’esperienza emozionale. L’ascolto o la messa in atto di un brano non è mai identico a se stesso, ma è un continuo divenire e rispecchiarsi nel proprio sentire, è la manifestazione della complessità della persona stessa. La musica ha la chiave per aprire le nostre porte più intime quando le nostre emozioni ricercano la strada per emergere. Usando le parole di Tolstoj

“La musica è la stenografia dell’emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tante difficoltà e invece sono direttamente trasmesse nella musica ed in questo sta il suo potere e il suo significato”.

Questo articolo è anche una mia dichiarazione d’amore. Amore per la musica, per il pianoforte, per Chopin. Amore per la scrittura. Amore per le ali che riusciamo a costruirci sulle nostre debolezze. Non so spiegare come mi sento quando suono, scrivo o ho a che fare con tutto ciò che riguarda la psiche. Posso solo dire che è quel genere d’amore che ti fa sentire perfettamente imperfetta e di cui non ne hai mai abbastanza. Un articolo pieno d’amore per suggerire di ricercare quell’Amore, quella Passione che fa stare bene, nonostante la vita, nonostante tutto. Perché, anche se a volte manco di senso pratico, non manco mai di cuore.

 Giordana De Anna

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