Entrare in crisi. Quel cammino dall’io al noi

Da qualche giorno si sente nuovamente parlare, nel panorama politico italiano, di una “crisi di governo”, la cui importanza dipende fortemente dal punto di vista secondo cui ciascuno, sulla base delle proprie idee e dei propri valori, osserva la realtà in cui ci si trova.

Ma cosa si intende, propriamente, con il concetto di crisi? Solitamente l’etimologia di questa parola viene ricondotta al termine greco krisis, dal verbo krino, con cui si indica il saper distinguere, prendere una scelta o, più in generale, una situazione di cambiamento.

Spesso temiamo la crisi, specie a livello personale, perché ci rimanda ad una percezione di instabilità, di sconvolgimento che implica il passaggio da ciò che è a ciò che sarà. Psicologicamente parlando, alcuni autori, delineando lo sviluppo psico-cognitivo della persona, sono soliti indicare la crescita come un continuo passaggio tra età stabili ed età critiche, dove si apprende e si consolida tutto il percorso personale.

Se nessuno è esule dallo sperimentare una crisi, tanti invece risultano inadatti ad accompagnare e sostenere colui che la vive. Alcuni per mancanza di strumenti professionali – in situazioni di particolare fragilità -, altri per personalità o per carattere, molti poiché pretendono di dover necessariamente fare, agire, intervenire, quando spesso il modo migliore per restare accanto a chi è in crisi è semplicemente esserci. Magari anche in silenzio, puntando tutto su quella presenza che non sempre ha bisogno di parole per esprimersi.

La crisi a volte capita, a volte è voluta, premeditata, provocata. A volte la subiamo, altre volte la inneschiamo e, in questo caso, forse bisognerebbe fare particolare attenzione, pensando prima agli eventuali effetti che essa possa provocare, poiché se da un lato essa racchiude in se stessa sempre l’opportunità di crescere, di prendere decisioni che ci rendano migliori, dall’altro lato se non si riesce a gestirla può trasformarsi in una sorta di boomerang che, tornando indietro, può soltanto provocare molti danni.

Karl Popper, ad esempio, nella propria visione epistemologica, ha sostenuto che la validità di una teoria scientifica dipende da quanto essa possa essere falsificabile, confutabile. Quanto più essa viene messa in discussione, analizzata, verificata di continuo, tanto più essa si avvicinerà ad assumere una validità quasi assoluta. Per Popper, la crisi è non solo necessaria, ma addirittura indispensabile per determinare quanto la teoria sia valida e, di conseguenza, poter segnare il confine tra il metafisico e lo scientifico. Parafrasando le idee di Popper e tentando di applicare lo stesso principio alla realtà, ogni vera crisi può allora essere anche l’occasione di rendere sempre più autentico ciò che essa stessa coinvolge, che sia un individuo, una comunità, una teoria, un concetto.

A livello sociale e politico, il concetto di “crisi di governo” indica certamente una situazione di cambiamento in quello che è da sempre indicato come il punto fermo di ogni Stato durante una determinata legislatura. Il ruolo cruciale che determina tale tipologia di crisi è fortemente legato al venir meno di quella che è la fiducia tra gli organi di Stato ed i relativi membri. Anche nei rapporti umani accade. In coppia, tra amici, in famiglia, se manca la fiducia inevitabilmente si incorre in una forma di crisi che può facilmente determinare una rottura nella relazione. Una ferita, la cui profondità è direttamente proporzionale all’affetto messo in questione.

Cosa accomuna tutte queste tipologie di crisi? La soluzione. Perché nessuna crisi può essere affrontata e risolta in quell’individualismo che ci caratterizza negli ultimi tempi, in quella solitudine che il lockdown rende sempre più arida. La crisi ha bisogno del noi per salvare l’io. E se questo vale a livello personale, relazionale, professionale, vale anche a livello politico e sociale.

Ci farà bene allora ideare una sorta di teleologia della crisi, ovvero la ricerca del fine, dello scopo, di ogni evento critico. Da dove parte questa crisi? Dove può condurmi?

Che ben venga l’atteggiamento critico, di indagine, di ricerca, di riflessione andando in profondità di ciò che accade. Ma attenzione a non cadere in quella che i filosofi definirebbero la doxa, l’opinione distaccata che ha come unico interesse quello di gettare sentenze, di dare soluzioni del tutto improvvisate e inadeguate, specie quando si pretende di invadere con forza l’intimità personale e la sofferenza degli individui. Perché la fine ed il fine di ogni crisi dipendono molto da come essa viene affrontata. Se alla fase iniziale di smarrimento ed immobilismo non segue un sano discernimento, nonché una scelta, una decisione, un passo per uscire dall’ipotetico stallo, si sarà probabilmente persa l’occasione di crescere. Di diventare una persona migliore, una comunità migliore, uno Stato migliore.

 

Agnese Giannino

 

[Photo credit unsplash.com]

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Tre riflessioni sul tempo in un viaggio aereo

Il tempo scorre. Che banalità, direte voi. Ma è proprio da questo verbo, scorrere, che inizia una prima considerazione, legata al movimento e in senso più ampio al viaggio. Scorrere deriva dal latino excŭrrĕre – correre fuori, correre via. Il tempo dunque corre via e non possiamo fermarlo, come il flusso dell’acqua. Già nel V secolo a.C. Eraclito scriveva ne Sulla natura «panta rhei os potamòs», sottolineando anche come non si possa discendere due volte nel medesimo fiume.

Il viaggio ci fa scorrere da un punto A a un punto B, e il tempo soggettivo – a differenza di quello oggettivo – in mezzo non è mai lo stesso, tanto meno se parliamo di uno spostamento aereo. Qualsiasi sia la meta finale, entrare in cabina ci conduce in una vera e propria capsula del tempo, dove lo spazio è il nostro alveo e il tempo è il fluido che ci muove. Ed è quando le ruote del carrello si staccano dalla pista inizia un viaggio nel viaggio.

 

  1. Tra passato e futuro

Non è questa la sede per indagare se il tempo sia una realtà oppure una mera illusione, ma una cosa possiamo dirla con sicurezza: mai come all’interno di un aereo perdiamo il riferimento delle due forme a propri della sensibilità umana tanto care a Kant. Pensare che quando a Torino Caselle sono le 16 all’aeroporto di Perth sono le 22, è come scattare una fotografia dello stesso identico tempo, che assume solo nomi e numeri diversi. Una volta in aria, ci muoviamo tra passato e futuro comodamente seduti sul nostro sedile, in attesa di atterrare nel presente, qualsiasi sia l’ora e il giorno.

 

  1. La paura di cadere

L’abbiamo sperimentato tutti: quando ci divertiamo il tempo si comprime, quando ci annoiamo si dilata. Che cosa succede in aereo? Anche in questo caso, tutto dipende dal nostro stato d’animo e da quanto siamo disposti a essere semplici osservatori del tempo che scorre, senza possibilità alcuna di poter incidere con il nostro libero arbitrio. Siamo trascinati dagli eventi, inermi, come una zattera senza remi, fino alla foce.

A differenza di altri mezzi di trasporto, l’aereo ci impone di affidarci completamente all’esperienza e al buon senso di un comandante. Non possiamo tirare un freno come sulla metro o in treno, non possiamo buttarci a mare o dentro una scialuppa come in nave. Ecco perché è sbagliato parlare di paura di volare: è paura di precipitare e non salvarsi, o meglio ancora di non aver la libertà di agire.

Come ci ricorda la filosofia zen: «Se il problema ha una soluzione, preoccuparsene è inutile, alla fine il problema sarà risolto. Se il problema non ha soluzione, non c’è motivo di preoccuparsi, perché non può essere risolto.» Non possiamo opporci allo scorrere del tempo una volta chiusi in aereo, dunque perché avere paura?

 

  1. Ora del ritorno

Quando si viaggia verso casa il tempo sembra scorrere più velocemente. Certo, tranne che per Ulisse. Ad ogni modo, questo succede perché abbiamo aspettative che già conosciamo. Anche all’interno di un aereo – che percettivamente ci offre un’esperienza sempre simile ad ogni volo – sappiamo esattamente cosa (e chi) ci aspetta una volta atterrati. Le nostre radici.

 

Quando salirete sul prossimo aereo, fateci caso. E portatevi una buona lettura, magari proprio su Il tempo. La sostanza di cui è fatta la vita di Stefan Klein, edizioni Bollati Boringhieri.

Buon viaggio.

 

Alice Avallone

Alice ha studiato lettere moderne e si è specializzata in pubblicità. Lavora come digital strategist per aziende, enti e agenzie: il suo compito è trovare idee e contenuti creativi per coinvolgere le persone sulla Rete. È creatrice della rivista di viaggio Nuok e di un inventario creativo di ars combinatoria ispirato al filosofo Raimondo Lullo. Dal due anni insegna e coordina il College Digital della Scuola Holden di Torino.

[Photo credit: Chris Brignola]

Universale inganno e verità

 «Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario»1.

Questa breve citazione tratta da la Fattoria degli Animali – capolavoro di George Orwell – può essere lo spunto per una riflessione che vada ad analizzare il rapporto che intercorre tra società contemporanea e ideologia. Non solo, ci permette anche di comprendere come il nostro cinismo nei confronti della realtà sia inconcludente.

Procediamo con ordine, partendo da ciò che apparentemente sembra scontato, cioè dal significato dell’espressione inganno universale. Con il termine inganno comunemente intendiamo una modificazione della realtà dei fatti, la scelta poi di definirlo universale ci fa capire come esso non si limiti ad un solo aspetto della nostra vita ma che al contrario permei la nostra esistenza in tutte le sue sfumature, anche delle più inaspettate. Ma ne siamo consapevoli?

È il filosofo sloveno Slavoj Žižek a fornirci un chiaro esempio di come costantemente il reale venga distorto. Ci presenta una situazione di cui spesso siamo spettatori passivi; ossia la visione di sketch pubblicitari che mostrano la sofferenza di alcuni bambini costretti a vivere in condizioni di miseria. Per migliorare il loro stato, siamo chiamati a versare del denaro a determinate associazioni e questa è la soluzione che le istituzioni ci presentano come definitiva: agisci e risolverai il problema. Proprio in questo, secondo Žižek, consiste l’inganno: non siamo spinti ad indagare sulle cause scatenanti il fenomeno ma veniamo convinti del fatto che la soluzione sia già stata trovata e consista in una nostra donazione di denaro, comportandoci secondo il mantra non pensare, agisci.

Se vogliamo un altro esempio che ci possa mostrare di quanto sia capillare l’inganno che viene tessuto attorno a noi, basta richiamare alla mente un qualsiasi slogan di una qualunque pubblicità; per esempio, quello attuale della Burger King recita A modo tuo. Se ci soffermiamo a riflettere, possiamo renderci conto – senza chissà quale sforzo intellettuale – di come queste affermazioni non poggino i loro piedi sul terreno del reale, e che se le spogliamo ci rendiamo conto che esse non nascondono un significato: sono proposizioni vuote.

A questo punto è interessante notare come il concetto di inganno universale sia affine a quello di ideologia. Questa viene definita da Marx nel Capitale attraverso una frase lapidaria: «Non sanno di far ciò, eppure lo fanno»2. Peter Sloterdijk nella sua Critica alla ragion cinica ha ripreso quest’affermazione e l’ha attualizzata, mostrando come oggigiorno siamo consapevoli dell’infondatezza delle nostre azioni − sappiamo benissimo che la nostra donazione non è la risoluzione al problema della povertà nel mondo, o che Burger King non preparerà dei panini a modo nostro − ma ci comportiamo come se lo ignorassimo ed assumiamo una posizione di indifferenza cinica. La definizione contemporanea di ideologia proposta da Sloterdijk rovescia in qualche modo la frase marxiana e la trasforma nella proposizione «Sanno quello che stanno facendo eppure continuano a farlo»3.

Torniamo ora all’affermazione di Orwell da cui siamo partiti. È impossibile negare di trovarci in una situazione di universale inganno, di essere imbrigliati nell’ideologia – particolarmente nella sua accezione contemporanea del termine –, perciò cosa significa, alla luce di ciò, dire la verità? Può continuare a significare fare un resoconto oggettivo dei eventi? A questo proposito Žižek scrive:

«La distanza cinica è solo uno dei modi di renderci ciechi di fronte al potere che struttura la fantasia ideologica: anche se non ci prendiamo sul serio, anche se manteniamo una distanza ironica da quel che facciamo, continuiamo pur sempre a farlo»4.

Ecco che in luce di ciò, la verità non può limitarsi ad un mero raccontare dei fatti o assumerli: comporta un rovesciamento della logica corrente. Credere che la mera consapevolezza di una situazione da sola sia in grado di cambiare una qualsiasi situazione, è una comodità che ci viene offerta in cui ci adagiamo. La verità è piuttosto in grado di attuare una rottura con i paradigmi che siamo soliti usare, è un volgere diversamente lo sguardo sulla realtà. Se infatti ci limitiamo ad una fredda esposizione dei fatti, non elimineremo l’inganno che nasconde il reale ma lo assumeremo e basta, lasciandolo continuare ad esistere.

Mi preme concludere usando le suggestive parole che Ugo Guarino ha impresso sui muri del Padiglione L dell’ex Opp di San Giovanni a Trieste e che vedo ogni volta in cui esco dalla palestra in cui mi alleno, ossia: «La verità è rivoluzionaria».

Lisa Bin

NOTE:
1. George Orwell, La fattoria degli animali, 1945.
2. Karl Marx, Il capitale, cit., vol. I, p.109.
3. Slavoj Žižek, L’oggetto sublime dell’ideologia, cit., p.53.
4. Slavoj Žižek, L’oggetto sublime dell’ideologia, cit, p. 57.

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

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