Cronache di ordinaria migrazione

<p>Lawrence, ,Jacob</p>

“C’è un’invasione”, “Ci rubano il lavoro”, “Dormono in hotel di lusso”, “Arrivano e non se ne vanno più”, “Sono incivili e non rispettano le nostre leggi”, “Con gli immigrati aumenta la criminalità”: queste sono solo alcune delle false credenze che aleggiano nell’immaginario di una buona parte della società italiana.

Centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini, in fuga da conflitti, violazioni dei diritti umani, hanno attraversato il Mediterraneo in cerca di un luogo sicuro, di una vita migliore e di un po’ di pace. Un flusso di persone che, in assenza di canali sicuri, ha viaggiato nell’illegalità. Persone che identifichiamo sotto la categoria ‘immigrati’.
Umberto Eco apportò una distinzione tra immigrazione e migrazione.
Si parla di ‘immigrazione’ quando alcuni individui si trasferiscono da un paese all’altro. È un fenomeno che ha riguardato la modernità dalle sue origini ed è da essa imprescindibile. Inoltre, i fenomeni di immigrazione possono essere controllati politicamente, limitati e accettati.
Dall’altra parte troviamo le cosiddette ‘migrazioni’, le quali sono paragonabili a fenomeni naturali: sono incontrollabili.
Oggi, in un clima di mobilità internazionale, è possibile distinguere l’immigrazione dalla migrazione?
Non lo possiamo sapere, ma quel che è certo è che parlare di ‘emergenza immigrazione’ risulta errato.
Gli arrivi del 2016 sono in linea con quelli dell’anno precedente. Non un’emergenza, ma un flusso di carattere ormai strutturale di migranti.

L’emergenza reale inizia il giorno dopo.
Sono 160.000 le persone ancorate ai sistemi di accoglienza; di cui 123.000 restano per mesi in centri ‘straordinari’, i ‘non-luoghi’ dove i migranti passano dall’essere profughi a fantasmi.
Oggi il 60 per cento delle richieste d’asilo viene rifiutata. Questo vuol dire che 6 migranti su 10 diventano ‘nessuno’.
Perché questa drammatica goffaggine nell’affrontare tale situazione?
I governi, anziché promuovere la solidarietà tra gli stati membri dell’Unione Europea, hanno investito le loro risorse per tutelare i confini nazionali.
Una delle rappresentazioni di questi fallimenti è l’approccio hotspot mascherato dalle parole chiave ‘controllo’ e ‘condivisione delle responsabilità’. Il suo obiettivo è quello di associare maggiori controlli sui rifugiati e migranti all’arrivo e distribuire una parte dei richiedenti asilo in altri stati membri.
Per raggiungere tale fine, le autorità italiane si sono spinte ai limiti di ciò che è ammissibile secondo il diritto internazionale dei diritti umani.
Detenzione prolungata, l’uso della forza fisica, trattamenti disumani e degradanti sono le modalità che spesso vengono utilizzate.
L’approccio hotspot prevede, inoltre, uno screening anticipato e rapido dello status delle persone sbarcate, separando i richiedenti asilo da coloro ritenuti ‘migranti irregolari’.
Ancora oggi, tuttavia, la componente di solidarietà del suddetto piano ha sembianze utopiche.

Eppure la solidarietà è l’unica via di uscita per svincolarsi da questo impasse.
Per Bauman «i problemi globali si risolvono con soluzioni globali». La vera cura va oltre il singolo Paese, per quanto grande e potente che sia. E va oltre anche una ricca assemblea di nazioni come l’Unione Europea.
Infine, in un mondo in cui «i confini non vengono delineati per gestire le differenze, ma sono queste ultime che vengono create perché sono stati delineati i confini»1, è doveroso cambiare la nostra mentalità.
Occorre abbandonare una volta per tutte la separazione, le barriere e l’alienamento che ci siamo autoimposti in questi ultimi anni creando un alto muro chiamato ‘noi’ e ‘loro’.

Jessica Genova

NOTE:
1. F. Barth, Ethnic Groups and Boundaries. The Social Organization of Culture Difference, Oslo Universitetsforlaget, 1969.

[Immagine tratta da Google Immagini]

Si stava meglio quando si stava peggio.

“Si stava meglio quando si stava peggio” quante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase? Sembra assurdo ma in questi giorni di vacanza, mi ritrovo spesso a meditare sul significato di queste parole.

Proviamo, per un momento, a liberare la mente da ogni pensiero e sforziamoci di immaginarci in un contesto di guerra. Bombe che cadono dal cielo come stesse piovendo, spari in lontananza, gente che corre senza un ordine, semplicemente vogliono salvare la propria vita. È in questi contesti, secondo me, che si scopre la doppia natura dell’uomo: l’essere violento e l’essere pacifico e talvolta solidale.

A questo proposito vi suggerisco un libro ‘I giusti nel tempo del male’ di Svetlana Broz, la nipote di Tito. In questo testo sono raccontate novanta storie di persone buone che con varie modalità hanno saputo salvare vite umane durante la guerra che ha infiammato la ex-Jugoslavia tra il 1992-1995. Tra le pagine di questo libro, scoprirete quanto l’uomo possa essere solidale.

Ora ritorniamo al presente, ritorniamo a voi davanti ad un PC magari con la pancia piena, dopo un’ottima mangiata. Accendete la TV e vi mostrano almeno tre ore al giorno gli immigrati che creano confusione, cittadini disperati e politici che alzano la voce perché vogliono avere ragione.

Vi starete chiedendo quale sia il collegamento possibile tra la prima e la seconda immagine che vi ho presentato, se continuerete a leggere capirete.

Quello che intendo sottolineare è che l’Uomo negli stati di emergenza può agire in due modi: con la forza o con l’intelligenza. L’emergenza, di qualsiasi natura essa sia, la si può affrontare reprimendo forzatamente il problema oppure utilizzando il cuore ed il cervello.

Di fronte a persone che pagano con la vita il viaggio verso un futuro migliore, noi tutti non possiamo stare fermi, o utilizzare questa vicenda per lucrare voti, piuttosto cerchiamo di adoperarci perché ogni essere umano possa avere condizioni di vita migliori.

Direte voi: facile scriverlo in un foglio bianco.

Vi rispondo io: oggi abbiamo tanti mezzi e tanti modi per aiutare le associazioni, i volontari e tutte quelle persone di buona volontà che tendono una mano ai meno abbienti o a chi approda in queste ore nella bellissima Lampedusa o in altri posti.

Oggigiorno abbiamo molte più cose, talvolta anche inutili, e non riusciamo più a vedere le difficoltà di chi vive peggio di noi, perché desideriamo qualcosa di nuovo, solo ed esclusivamente per noi stessi.

Probabilmente siamo narcotizzati da un eccessivo e compulsivo consumismo, questo spinge l’uomo a diventare sempre più egoista e narcisista. Ci si chiude sempre di più in se stessi e si perde il senso di vivere all’interno di una comunità.

È proprio vero, probabilmente, si viveva meglio quando si stava peggio. Si stava meglio quando si era più poveri di cose ma più ricchi nello spirito.

Davide Tonon