Imparare a sperare. La sinistra italiana a lezione da Ernst Bloch

Alla stagnante sinistra italiana, e non solo a quella del nostro paese in realtà, farebbe davvero bene legge il Principio Speranza di Ernst Bloch. Riconosco che le più di 1500 pagine dell’opera possano spaventare anche i più audaci, perciò cercherò di offrire un breve riassunto della tesi principale, così da evidenziare la sua importanza in questo delicato momento storico.
Il filosofo tedesco descrive la condizione ontologica umana come oscurità dell’attimo vissuto: l’uomo è ciò caratterizzato da uno stato di indefinitezza e incompiutezza, avverte che “qualcosa manca”, ma non riesce a dare un nome a questo vuoto. Perciò si spinge sempre in avanti, anticipa il futuro, colma il vuoto con l’immaginazione. I due principali sentimenti di anticipazione sono la paura e la speranza e Bloch decide di costruire la sua filosofia sul secondo, anche perché la capacità di reagire a una condizione di oppressione sperando in un orizzonte più luminoso è propria solo dell’uomo.

Bloch accumula quindi utopie provenienti da letteratura, arte e religione, sottolineando come ogni visione politica (lui si rivolge soprattutto al marxismo, visto che proviene da quella corrente di pensiero) necessiti della visione di un mondo migliore per avere lo slancio per superare la realtà oggettiva.
A differenza di Bloch la sinistra italiana ha evidentemente preferito un discorso basato sulla paura. Poiché incapace di sviluppare una propria immagine di futuro, nell’ultima campagna elettorale si è impegnata a evidenziare come quella dei cosiddetti partiti populisti manchi di coperture economiche. Da quando poi il “governo del cambiamento” è salito al potere, la sinistra sembra essere capace solo di ripetere che tale cambiamento porterà alla rovina economica e a un regresso culturale e morale, senza però indicare una via alternativa.
Anche condividendo l’idea che il cambiamento proposto dai populisti conduca a un imbarbarimento, bisogna ammettere che essi hanno saputo aprire nuove vie in una realtà sclerotizzata, percepita come insopportabile nella sua soffocante immutabilità. Contro al tatcheriano “there is no alternative”, i populisti di tutta Europa hanno riscoperto fin dal loro nome le categorie di Possibilità (Podemos in Spagna) e Alternativa (Alternative für Deutschland in Germania).

La sinistra, italiana e non, non può pensare di rispondere a queste proposte soltanto evocando la paura di un cambiamento in peggio, anche perché persone insoddisfatte, spesso disperate, sfidano anche la paura pur di trascendere lo stato presente. Spesso si sente ripetere che la soluzione sia tornare a “far sognare” l’elettorato, ma Bloch rifiuterebbe questo gioco da illusionisti fatto di mirabolanti e vuote promesse elettorati. Il punto è che le persone già sognano un futuro migliore, una realtà diversa in cui i loro bisogni siano realizzati. Invece di svilire questa speranza come ingenuità, la sinistra dovrebbe cercare di trasformarla in docta spes, in utopia concreta, che si radica nella realtà, ne coglie le tendenze di trasformazione e le convoglia in una spinta in avanti.

«La speranza fondata, cioè mediata con ciò che è realmente possibile, è così lontana dal fuoco fatuo, da rappresentare appunto la porta almeno semiaperta, che sembra aprirsi su oggetti propizi, in un mondo che non è divenuto e che non è una prigione».

 

Lorenzo Gineprini

 

[Photo credits: Kristopher Roller via Unsplash.com]

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Cos’è l’AfD, chi l’ha votata e come sta reagendo la Germania

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Uno studente italiano migrato in Germania cerca di spiegare meglio l’AfD, il partito tedesco di estrema destra protagonista del momento.

 

La stampa italiana, sull’onda di quella tedesca, ha dato una narrazione quasi unilaterale di queste elezioni in Germania, sottolineando il grande risultato dell’AfD (Alternative für Deutschland), che ha ottenuto il 12,6% ed è quindi cresciuta dell’8% rispetto alle ultime elezioni. Per una sorta di tacito accordo poi tutti i giornali italiani hanno iniziato a connotare l’AfD come “ultradestra”. Suppongo che il termine dovrebbe evocare qualcosa di enorme e mostruoso, ma in realtà non significa quasi niente. Se ve li immaginate come dei cloni della Lega di Matteo Salvini vi sbagliate. Il leader del partito Alice Weidel ha un dottorato in economia, è lesbica con una compagna di colore e due bambini; non proprio un ritratto simile a Salvini insomma. Tuttavia lo stesso partito ha come figura di spicco anche Alexander Gauland (che invece ricorda Salvini anche fisicamente, solo un po’ più anziano e avvinazzato), il quale subito dopo la vittoria ha aizzato la folla al poco rassicurante grido di “Wir werden sie jaggen” ovvero “le (alla Merkel) daremo la caccia”.

Due figure che rappresentano bene le due anime del partito. Da un lato il volto più arrabbiato e popolare, che raccoglie i voti delle classi povere ad Est, dall’altra la faccia più rassicurante che intercetta l’insoddisfatta borghesia del Sud. Per capire meglio la Germania e il suo voto forse occorre comprendere meglio queste due classi. L’Est è stato il più grosso bacino di voti dell’AfD, con una media del 22,5% dei voti. Se lo si somma al 17,4% della Linke, partito di sinistra radicale, si nota che quasi il 40% della popolazione ha dato un voto di protesta contro il governo: evidentemente quell’immagine della Germania ricca e felice che ci viene proposta non è vera ovunque.

Diversa è la situazione a Sud, dove i voti sono stati meno (intorno al 12%) e sono arrivati per lo più da ex elettori della CDU. La borghesia benestante (e non troppo colta) delle cittadine della Bavaria e del Baden-Württemberg non ha digerito la politica migratoria della Merkel, che ha fatto entrare troppe persone senza imporre sufficienti controlli e regole di integrazione. In realtà in questi paesini l’immigrazione si è vista più alla tv che sentita sulla propria pelle, ma notizie come quelle delle violenze di Colonia la notte di Capodanno sono state sufficienti. Se la Lega in Italia tende ad indicare nell’immigrazione la causa della povertà e della mancanza di aiuto dello Stato, l’AfD, agendo in un paese più ricco, usa una strategia diversa, mirata a difendere i valori tradizionali (qua potete vedere un esempio di una loro pubblicità, che fa abbastanza ridere se non si pensasse che ha avuto così successo).

afd-manifesti_la-chiave-di-sophiaNell’ordine i manifesti recitano: “Nuovi tedeschi? Facciamoceli da soli”, “Burka? Io preferisco il Burgunder” (vino tedesco, ndr), “L’Islam?” Non si adatta alla nostra cucina”.

La vera vittoria dell’AfD comunque non è nei numeri; perché il 12,6% consente di essere un’opposizione con una voce forte, ma non di cambiare gli equilibri del paese. La vera vittoria è la completa monopolizzazione del dibattito pubblico. Giornali e tv parlano solo più di come affrontare in parlamento l’AfD. Un settimanale serio e di qualità come die Zeit su internet fa ironia da terza media sulla notizia che il Guardian indica nei suoi grafici l’AfD con il colore marrone invece dell’abituale blu. La Merkel nel suo primo discorso dopo il voto ha già subito annunciato che bisogna riconquistare i voti dell’AfD e imporre controlli più forti sull’immigrazione. Insomma la Germania è confusa e impaurita e questo non potrà che portarla più a destra, là dove l’AfD vuole. Peccato perché in realtà di queste elezioni si potrebbero fare anche delle letture alternative a quella che incorona l’AfD: il quarto mandato di fila di Angela Merkel, che cala ma si conferma in un momento di crisi mondiale in cui una flessione era inevitabile, il voto degli under 25, che è andato molto più ai Verdi che all’AfD…

Lorenzo Gineprini

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

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Il pensiero di destra e di sinistra oggi

«Sia che si rivolga al cielo per trovare valori assoluti capaci di sconfiggere il mondo laico e liberale, sia che invochi un capo in grado in grado di far vivere le ebbrezze della acclamazione priva di regole certe, la nuova destra sembra ancora troppo sensibile ai richiami di antichi miti e attratta dai sentieri già da tempo interrotti».

Così Michele Prospero chiudeva il suo saggio intitolato Il pensiero politico della destra (1996). In queste parole risuona una tendenza speculativa tipicamente moderna (e modernista) secondo la quale vi sarebbero dei movimenti del pensiero che sono stati sconfitti dalla Storia e dai Fatti. Aiutati dal cosiddetto politicamente corretto, il Tempo e gli Eventi avrebbero sancito la disfatta – per esempio – del pensiero reazionario e conservatore di destra, ma anche di quello rivoluzionario di sinistra. La tipicità di questa tendenza – che ha attratto a sé anche il pensiero comune – è quella di additare come ormai impensabile l’opposizione a ciò che il movimento storico ha imposto come egemone. Si pensi a come il senso comune voglia il marxismo per sempre battuto dal capitalismo di matrice tecnocratica instauratosi come ordine mondiale.

La status quo non ha alternative, se non quella sciocca e impossibile di riavvolgere le lancette del tempo e di ritornare a ciò che era: questa la prospettiva dello pseudopensiero modernista. Sia il pensiero di destra che quello di sinistra che abbiano la velleità di porre in discussione le conquiste del mondo contemporaneo vengono infatti sistematicamente respinti e bollati come reietti. Gli obiettivi raggiunti dal liberalismo e dalla democrazia generalizzata sono quindi dei dati, immuni da qualsiasi toglimento. L’autoproclamatosi pensiero liberale (e liberista) cavalca quello che è divenuto un destino: la società odierna. Come si evince dalle parole di Prospero, l’antichità del mito e l’esser-sorpassato di alcuni indirizzi di pensiero già bastano ad emarginarli dalla verità. La metamorfosi è compiuta: ciò che la Storia decreta come vincitore si qualifica come il Fato. Questa dinamica è più che mai evidente oggi, in un mondo in cui tutto il pianeta abbraccia il modus agendi occidentale.

La disamina del pensiero dominante ci porta ad elencarne alcuni capisaldi. In primis, indichiamo come punto focale del modernismo una certa tipologia di fatalismo materialista: “i meccanismi del sistema non sono modificabili, possono senz’altro essere riformati, ma non certo rivoluzionati” recita il credo liberal. Un messaggio minimalista che anche tutti i partiti tradizionalmente avversi al capitalismo, alla democrazia parlamentare e alla modernità hanno – forse inconsapevolmente – adottato. All’indirizzo sempre più riformista degli schieramenti politici rivoluzionari ha contribuito anche l’uso, ineluttabile, di strumenti intrinsecamente legati al liberalismo capitalistico (uno su tutti, la pubblicità).

A ciò si accompagna la tendenza a guardare con sospetto ogni tipo di personalismo o di decisionismo politico, preferendo le lungaggini burocratiche e gli infiniti pronunciamenti di partiti, enti e organizzazioni senza identità.

Altro elemento fondamentale del dominio culturale odierno riguarda la ‘conquista’ della laicità: una civiltà che si è liberata di Dio è considerata più evoluta e più libera rispetto alle retrograde aree del pianeta che ancora conservano, dal punto di vista confessionale, radicamento e tradizione. A ciò si aggiunge una singolare concezione del tempo: il futuro non può che rappresentare una liberazione rispetto al passato oscurantista e illiberale, e garantirà alla dignità umana maggiori – se non totali – garanzie. Tutto questo però a patto che lo sviluppo rispetti e aderisca al dogma dell’uguaglianza assoluta, in una sorta di superdemocrazia.

Tutto ciò si traduce nella più concreta impossibilità di pensare un’alternativa: mezzi e fini offerti dal capitalismo e dalla democrazia parlamentare sono gli unici ammessi. È possibile vivere e comportarsi solo rispettando le regole del gioco, che paiono calate da un’altezza non più raggiungibile dallo sguardo. Il mezzo televisivo, ad esempio, con i suoi tempi dettati dalla pubblicità e dal linguaggio-slogan, non può che far aderire qualsiasi messaggio alla causa neoliberale.

Risuona con tono di profezia, anche se completamente trasfigurata rispetto al suo senso originario, la settima proposizione del Tractatus di Wittgenstein: «su ciò, di cui non si parlare, si deve tacere». Un silenzio che fa ricadere nell’ombra la possibilità di una fuoriuscita dalla situazione attuale.

Forse il ‘salto’ e il ‘passo indietro’, di cui Heidegger parla in quelle due sue conferenze raccolte in Identità e differenza, possono costituire un’indicazione sull’atteggiamento per un possibile superamento dello stato di cose attuale, stagnante sia per le ‘destre’ che per le ‘sinistre’ di tutto il mondo.

Roberto Silvestrin

[Illustrazione in copertina realizzata da Wren McDonald, www.newyorker.com]

Politica, follia e altre brutte storie

Sì, No, Remain, Leave, la politica e la vita sembrano ormai in balia di una logica binaria che si addice più alle macchine che alle persone, i referendum e la continua pretesa di oclocrazia, una parolaccia greca che indica semplicemente il far scegliere e il demandare qualsiasi decisione al popolo sembrano aver catalizzato questo atteggiamento. Ma quella stessa logica si insinua molto più profondamente nel dibattito pubblico di tutti i giorni.

Prendete ad esempio la questione dei flussi migratori:

  • Destro-fascio:

A1) prenditeli a casa tua!

B2) se usassimo le risorse per gli italiani tutto andrebbe meglio

C3) ci rubano il lavoro e non portano risorse in un periodo di crisi finendo per impoverire ulteriormente le fasce più deboli della popolazione “autoctona” (ammesso che questo termine abbia un senso). Portano malattie e malavita!

  • Sinistro-buonista:

A4) ma allora cosa dobbiamo fare lasciarli morire?

B5) gli immigrati ci pagano le pensioni!

C6) gli immigrati fanno i lavori che noi non vogliamo più fare e sono un elemento di sviluppo per il paese in cui si trasferiscono

In alcuni enunciati ci sono fonti di verità, ma la contrapposizione sterile che esclude la ragione ci fa dimenticare le cose più importanti, cioè che stiamo parlando di vite umane, in questo forse credo che la posizione di sinistra ideologicamente sia più condivisibile salvo non voler spezzare qualsiasi legame di fratellanza con il genere umano e concludere quindi che ci sono vite di serie A e di serie B.

A4) nella sua formulazione grezza in fondo non dice nulla di sbagliato, la vita umana è un valore, peccato che posta così finisca per essere solo un sasso argomentativo da tirare in testa a chiunque provi a problematizzare le cose e quindi a renderle concrete come ad esempio chi fa notare che sì la vita umana è un valore e va preservata, ma che conta anche la qualità della vita e quindi le politiche legate all’accoglienza e alla gestione di flussi migratori che hanno impatti economici e sociali. La mancata ottemperanza della presa in carico in maniera seria dei problemi implicherà dar più forza alle posizioni A1), B2) e ci C3) fino a derive sempre più estremiste. Come risolve il Sinistro il problema, un solo enunciato: “zitto fascista!”. Ci sarebbe da chiedersi come mai tra le fasce più deboli della popolazione siano spuntati, anche in zone storicamente di sinistra, orde di neofascisti mascherati, non sarebbe più semplice accendere il cervello e dire che non sempre le persone quando votano di “pancia” per posizioni estreme non per forza sono ideologicamente fasciste, naziste o simili, ma semplicemente stanno esprimendo un malessere? Andatevi a guardare i voti delle periferie.

Salvare vite umane ha senso, ma dobbiamo preoccuparci anche della qualità della loro vita, invece pensiamo che basti tirarli di qua della costa e stoccarli (uso il termine provocatorio) da qualche parte mettendo delle risorse un po’ a pioggia in maniera assistenzialistica e provare a vedere cosa succede. Dove l’integrazione, quella vera, è demandata ad associazioni di volontari spessi squattrinati e mal organizzati.

Vi racconto questo interessante episodio che chiamerò “I Cento Panini e la Ben Pensante”:

Una volta il giovane che chiameremo Cento Panini ebbe la bella idea di scrivere su Facebook per dire che l’aspetto delle risorse economiche è importante e non va sottovalutato la seguente frase:

“Se ho cento panini e devo sfamare duecento persone posso dividerli a metà, se le persone sono quattrocento posso farne un quarto a testa, ma se le persone diventano un milione con un atomo di panino a testa moriamo tutti di fame. A risorse finite non si può immaginare una divisione infinita.”

Che cosa accadde? La nostra temeraria ben pensante che al posto di leggere l’appello del povero Cento Panini che invocava semplicemente l’aiuto dell’Europa nella questione dei flussi migratori e il fatto che l’Italia non fosse lasciata da sola si lanciò in rocamboleschi attacchi per dimostrare che il povero Cento Panini non era altro che un tremendo fascista e chi più ne ha più ne metta.

Quando la razionalità e la ragione abdicano alla tifoseria politica ecco che esplode la follia. Così sono i social, ma a noi piace dividerci, adoriamo massacrarci dividendoci in fazioni, gruppetti e tutto a discapito della qualità della vita nostra e degli altri. Aneliamo vessilli sotto i quali nasconderci, perché come scrive bene Canetti in un bellissimo libro disperdendoci nella massa siamo tutti responsabili e non lo è nessuno, siamo tutti decisori, ma in fondo ignavi quando ci schieriamo senza aver correttamente ragionato. La nostra protagonista Ben Pensante, che mal pensava, ha preferito trovare un oggetto su cui sfogare frustrazioni che forse provenivano da altrove che provare a cogliere il senso (giusto o ingiusto) del povero Cento Panini che di sicuro non voleva mettere in dubbio l’accoglienza e la vita come un valore, ma richiamava solo alla concretezza delle cose.

“LA NOTTE DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI”

Gli intellettuali hanno poco da indignarsi per l’ascesa del populismo di Donald Trump e del Movimento 5 Stelle essi non sono la cura, ma il sintomo definitivo che il male è dilagato, che la politica non ha saputo dare risposte e quindi le persone che stanno male si abbandonano inevitabilmente a una protesta cieca senza proposta, perché ormai l’orizzonte di qualsiasi risposta possibile gli sembra ormai irraggiungibile, distante, vuoto. Il loro grido di dolore si leva oltre l’ovatta del tempo per generazioni ricordandoci tutti i fallimenti, tutte le ingiustizie e tutte le risposte mancate dove non c’è mai, MAI, nessuno che osi dire “Scusate, ho sbagliato” o se lo fa lo fa con una leggerezza tale da risultare incomprensibile anche ai propri simili.

Ho usato l’esempio dei flussi migratori per descrivere qualsiasi presa di posizione aprioristica, qualsiasi atteggiamento negativo nei confronti del prossimo e delle sue scelte. Capita centinaia di volte nei social media vedere vegani contro onnivori, vegetariani contro carnivori e un tutti contro tutti malsano, sbagliato. Gente che fa una grigliata e si sente in dovere di “trollare” allegramente sulla propria bacheca gente che semplicemente ha fatto una scelta diversa. E mi chiedo, ma l’umanità è veramente questa roba qui?

Siamo davvero diventati questa rumorosa massa litigiosa sempre pronta a scannarsi come nei viaggi di Gulliver per decidere se le uova vadano rotte dalla parte inferiore o superiore?

Qualche tempo fa ho dovuto sopportare, mio malgrado e facendoci i conti, di non esser stimato né rispettato da una persona che tutto sommato a modo mio ritengo pure interessante, avrei potuto provare a raccontarle la mia storia da dove vengo, addurre mille giustificazioni, magari raccontarmi, come fanno certi politici, che forse è semplicemente la gente che non capisce, ma le nostre azioni pesano molto più delle nostre intenzioni e alla fine traspare solo ciò che mostriamo. Avrei potuto raccontare l’infanzia difficile, paure, insicurezze, ma come la somma di tutte queste cose avrebbe anche solo intaccato il fatto che ho reiteratamente calpestato i suoi sentimenti? Alle volte semplicemente tediandola, altre infastidendola? Alla fin fine nessuno di noi si accorge mai quanto in basso può cadere e nella nostra vita quotidiana lo facciamo continuamente, i social aiutano, una cosa scritta dietro uno schermo sembra meno grave di molte altre cose. Alla fin fine tutto si riduce con la formula “Eh, ma io stavo scherzando”, credo che quasi tutte le cazzate del mondo siano nate con uno scherzo. Ci sono molti modi di ridere, si può ridere con qualcuno o di qualcuno, la differenza è abissale.

Questo mio appello a provare ad essere meglio di come siamo, ad accendere il cervello cadrà probabilmente nel rumore che ci circonda e forse avrete già chiuso questo palloso articolo per tornare a qualche social “scazzottata”, ma per chi è arrivato fin qui vuole solo essere un appello a provare a essere migliori e nessun giorno è mai troppo tardi per iniziare, basta sceglierlo. Usiamo il cervello, usiamolo tutti meglio.

Matteo Montagner 

Mancinismo, la malattia dimenticata

«Su 1029 operai e soldati ho rilevato una proporzione di mancini del 4% tra gli uomini e dall’8 al 5% tra le donne. Tra i pazzi le proporzioni non sono molto diverse. D’altro canto, studiando un certo numero di criminali, la quota di mancinismo riscontrata risulta più che triplicata tra gli uomini (13%), e quasi quintuplicata tra le donne (22%). Tuttavia, alcuni tipi di criminali, come, per esempio, i truffatori, fanno registrare percentuali molto superiori (33%), mentre assassini e stupratori fanno registrare percentuali del 9-10%»

Cesare Lombroso, articolo per la rivista North American Review, 1903.

Questa volta esordiamo così, con uno stralcio di articolo scritto dal celebre padre dell’antropologia criminale, su un tema ormai dimenticato ma che tuttavia si nasconde tra gli anfratti più oscuri della nostra società: il mancinismo, ovvero l’abitudine di adoperare la mano sinistra per compiere gesti quotidiani come scrivere, pettinarsi o afferrare oggetti.

Mi sono chiesto se fosse giusto gettare una secchiata d’acqua gelata sopra le coscienze decadute del nostro tempo e sopra l’abitudine che rende “normale” ciò che per molti secoli − va detto: in modo altalenante − è stato ritenuto malato, distorto, contrario, deviato.

Fortunatamente esiste una moralità superiore che mi spinge a denunciare l’indifferenza che ci circonda attraverso le opinioni di un solo uomo di scienza, che tuttavia possono anche essere messe in discussione, e dato che la scienza spesso non giunge a toccare i sentimenti degli uomini, ricorrerò alla religione cristiana per avvalorare la mia tesi, per dare cioè voce ad un fondamento assolutamente imprescindibile dalla nostra italianità.

«La mente del sapiente si dirige a destra e quella dello stolto a sinistra» (Ecclesiaste X,2)
«Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio» ( Marco: 16,19)

In mezzo a questi due passi, uno biblico l’altro evangelico, è bene ricordare che la mano sinistra fu considerata a lungo il prolungamento di quella del diavolo.
Eva colse il frutto proibito con la mano sinistra e sempre con la mano sinistra Adamo la afferrò per compiere il peccato originale. Gestas, il ladrone che fu crocifisso alla sinistra di Gesù, rifiutò il perdono deridendo il Figlio di Dio, mentre Disma, quello posto a destra, divenne il ‘Buon Ladrone’ addirittura Santo per la Chiesa cattolica e per quella ortodossa.
In altre religioni, la mano sinistra è impura, proibita e inevitabilmente secondaria o inferiore rispetto alla prima.

Non bastassero le ammonizioni cristiane sull’uso nefasto dell’arto sinistro, entrano in gioco fattori di origine popolare e folklorica.
Alcuni anni fa conobbi un ragazzo pugliese e mi spiegò che versare il vino con la mano sinistra era sinonimo di tradimento.

Tradimento confermato dalla tradizione dei convenevoli: forse, quando stringiamo la mano di un’altra persona in segno di saluto, non sappiamo che dietro si cela un linguaggio guerriero piuttosto antico secondo il quale esprimiamo fiducia e allo stesso tempo ci dimostriamo amichevoli, sinceri; al contrario la mano sinistra avrebbe un secondo fine, è la serpe che trae d’inganno il malcapitato ingenuo e permette al malvagio di afferrare la spada − normalmente alla destra − per ferire o uccidere.

Ma diamo un’occhiata anche all’etimologia legata al termine mancino: “azione sleale o insidiosa, compiuta con astuzia e in modo imprevedibile”.
“Persona infida, disonesta”.
Deriva dal latino mancus: “mutilato, storpio”.
Sinistro invece è sinonimo di incidente, sventura, sciagura.

Dopo aver raccolto prove di carattere scientifico-antropologico, religioso, tradizionale ed etimologico, riporto un esempio pratico di come il mancinismo fosse scoraggiato.

Per farlo bisogna entrare in una scuola primaria di circa ottant’anni fa, quando gli insegnanti usavano metodi sbrigativi per insegnare ai pargoli a far di conto e a scrivere. Il più delle volte ci si fermava alla terza elementare, ma in quei tre anni chi era mancino diventava destrimano grazie al delicato e discreto metodo del braccio sinistro legato alla sedia.

Le usanze secolari scemarono via via nel tempo, specialmente con l’avanzare di nuove frontiere nella ricerca psicologica e comportamentale; in pochi anni furono scardinate le certezze che reggevano la volta razionale e spirituale della società equilibrata.
Ci hanno convinti dell’assoluta parità tra un mancino e un destrimano, hanno parlato di scelta, altri di naturalità; insomma, hanno negato la devianza mentale e soprattutto la tesi religiosa legata ad essa, dicendo persino che i testi sacri andavano interpretati e non presi alla lettera.

La gente si è quindi assuefatta all’interno della visione bucolica e negazionista di chi brama spiegare logicamente le cose? Ha smesso di credere a regole considerate immobili dalla notte dei tempi? Se i mancini sono sostanzialmente deviati, perché hanno i nostri stessi diritti? Se alla base della nostra amatissima Italia ci sono radici cristiane, perché permettiamo al diavolo di aggirarsi tra noi?

Attendendo la risposta a queste domande che probabilmente non arriverà mai, qualcuno di voi si sarà già adeguatamente indignato − magari proprio perché mancino − leggendo la progressiva degenerazione delle mie argomentazioni antiquate e attualmente ridicole.
Ma il mio intento era proprio quello di trascinarvi in un breve tratto d’oblio non così distante da una realtà quotidiana nota per riesumare, esattamente allo stesso modo con cui l’ho fatto io, tematiche per la difesa di antichi retaggi… cercando di oscurare i diritti che le persone dovrebbero poter godere indipendentemente dalle scelte di vita.

Scelte che assecondano solamente la propria natura, sia essa incline a preferire la mano sinistra alla destra, la solitudine alla compagnia, il modo di provare piacere guardando una donna o un uomo adulto e consenziente.

Quando sentirete dire che una cosa è malata e innaturale solo perché non conforme alle scelte compiute da molti, ricordatevi dei mancini, e cercate di capire se vale davvero la pena ritornare a passeggiare nell’oblio.

Alessandro Basso

[immagine tratta da Google Immagini]

Cos’è la Destra / Cos’è la Sinistra

Nel 1994 un certo Giorgio Gaber cantava Destra-Sinistra, una canzone tra il serio ed il faceto per ironizzare sull’ingenua facilità di distinguere i due emisferi politici, in un’epoca in cui la differenza è difficilissima da scovare.

Tutti noi ce la prendiamo con la storia 
ma io dico che la colpa è nostra 
è evidente che la gente è poco seria 
quando parla di sinistra o destra. 
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra… 

Nel 2014 un nuovo Giorgio Gaber potrebbe benissimo riscrivere una canzone simile: dove sta, oggi, la differenza tra la destra e la sinistra politiche?

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