Filosofia bambina

Mi sono ritrovata a lavorare in una scuola steineriana, quasi senza sapere come, o cosa fosse.
Catapultata in uno dei gioielli delle Fiandre, un paesino da cartolina, dove la gente è cortese anche quando non ha nessuna voglia di esserlo, il mio ruolo era quello di semplice assistente, e di non dare troppo a vedere di soffrire il freddo. Circondata da centinaia di bambini, intenta a schivare le biciclette e a incrementare le risate, un giorno mi venne assegnato un compito inaspettato: dati i miei studi in filosofia, mi chiesero di elaborare una lezione di filosofia greca per una classe di ragazzi di undici anni. Mentre la direttrice della scuola formulava la richiesta, nella mia mente emersero diverse certezze in tutta la loro naturalezza: anzitutto, non avrei mai saputo come realizzare qualcosa di simile; immediatamente dopo, sapevo che cosa avrei fatto.

Straniera ed estranea, oggetto di curiosità e diffidenza, sapevo che l’unico argomento possibile era proprio quello dell’altro non solo come diverso, ma come escluso. Decisi così, in un lampo improvviso, perché per potere insegnare bisogna scegliere un luogo, che è un po’ casa, e a cui si sente di appartenere.

Scelsi uno degli eroi greci per eccellenza, Odisseo, eternamente perduto, gettai poche linee su un foglio, come una mappa, e poi, mi diedi da fare sul come. Non sapevo bene cosa insegnare; non sapevo se qualcuno volesse davvero ascoltarmi, o verso quale luogo ci saremmo condotti a vicenda. Quindi, vi era solo un modo per iniziare: di fronte a venti ragazzini, svogliati e timidamente incuriositi, ammisi la mia ignoranza, che non avevo lezioni da impartire, non avevo verità da diffondere, che io e loro stavamo per dare vita a un esperimento, e che il risultato sarebbe stato inaspettato. La mia non era una lezione, era un viaggio, ed eravamo fortunati ad avere una cartina. Socrate sarebbe stato la mia guida immaginaria, e attraverso la mia curiosità, loro avrebbero tirato fuori certezze e perplessità.

I ragazzini mi guardavano incuriositi, non erano ben sicuri di capire. Arrancammo, io e loro, il mio olandese balbettava, le loro orecchie non erano avvezze all’inglese, e a volte ridacchiavano. Eravamo proprio preclusi gli uni agli altri, compagni perfetti per il nostro esperimento. Continuavo a porre domande, e il silenzio iniziò a tremare. Alcuni cominciavano a rispondere, a volte per impressionare il maestro che male si mescolava fra noi, a volte perché erano già saggi, e proprio non riuscivano a non dirti la verità. Guardando il pavimento, mi dissero che in nessun altro tempo il mondo fu così avido come il nostro, e Odisseo sarebbe stato lasciato per strada, e non sarebbe mai tornato a casa. La scuola li aveva protetti troppo bene, così avevano iniziato a guardare il mondo in vetrina, e a constatarlo. Mi sembravano già anziani, con queste sicurezze sugli occhi e sulla bocca, senza il bisogno di chiedere perché.

Suonò la campana, il tempo era scaduto, e io me ne andai con l’amaro in bocca, chiedendomi se non sia mai accaduto anche a Socrate; pensai di no, perché lui avrebbe avuto tutto il tempo, senza l’interruzione di una campanella.
Arrivai così a una nuova consapevolezza: la filosofia ha bisogno di un nuovo compito, che prima, nei suoi tempi idilliaci, ha trascurato. Essa può ancora guidare, ma adesso deve anche ispirare, per impedire che i ragazzini siano savi così tanto presto, affinché si sorprendano di sapere più di quanto pensano, ma non ancora tutto. La filosofia deve tornare bambina, non per guardare il mondo con ingenuità, ma per credere che si possa ancora salvare, e che Odisseo, in ogni tempo e in ogni luogo, avrebbe comunque ricevuto tutte quelle mani tese, per ritrovare la strada di casa.

 

Fabiana Castellino

Fabiana Castellino è nata nel 1990 in Sicilia.
Si è laureata in Scienze filosofiche con lode, all’Università di RomaTre, con una tesi su Arthur Schopenhauer.
Ha maturato diverse esperienze nell’educazione dei bambini, prima con disabilità, e adesso svolge un progetto di volontariato europeo presso una scuola Steineriana in Belgio.
La lettura e la scrittura le sono state compagne sin da bambina, e l’hanno sempre guidata nelle sue scelte, professionali e di vita.

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

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Scuola e l’armonia fra conoscenza e conoscente

La scuola rappresenta uno dei malesseri più intrinseci della nostra epoca, perché sta per avverarsi un cambiamento di prospettiva non ancora così evidente. La scuola non è un’istituzione, ma una strada, che conduce al mondo, al centro di sé. Viviamo in un momento storico per nulla rettilineo, ma che ruota attorno a se stesso, e non riesce a guardarsi, a ritrovare la via su cui dirigersi.

Tuttavia, esistono scuole alternative che propongono un nuovo punto di vista sull’educazione, e una di queste è la scuola steineriana. Fondatore dell’antroposofia, la pedagogia del filosofo austriaco Rudolf Steiner prende in considerazione non tanto la dimensione psicofisica del bambino in sé, quanto lo sviluppo della stessa. Steiner elabora un sistema che intende inglobare l’intera crescita del bambino, adattando l’apprendimento ai suoi stati di cambiamento, e non viceversa.

L’insegnamento non è puro inserimento di nozioni, ma la conoscenza deve essere adeguata alle potenzialità del bambino. Ogni argomento non è solo narrato dal maestro, bensì sviscerato dalla creatività della classe, che vi dedicherà disegni, storie, rappresentazioni teatrali, manufatti. La conoscenza non va inculcata, ma bisogna attendere il momento giusto perché possa essere accolta, ed esperita. L’educazione è un percorso, accidentato e imprevedibile, in cui il bambino è il viandante e necessita di punti di riferimento.

Della scuola steineriana, bisogna considerare tre elementi fondamentali.

Il gioco libero
Soprattutto i bambini più piccoli hanno spazi di tempo dedicati al gioco libero, in cui hanno a disposizione diversi giochi od oggetti, e con essi la possibilità di usarli in totale libertà, senza l’intervento dell’adulto. L’obiettivo è quello di stimolare la creatività del bambino, permettergli di fare esperienza, di valutare il pericolo. Tuttavia, a questa virtuosa caratteristica segue il corollario, per cui il bambino deve giocare da solo. Non deve subire alcuna influenza, per far sì che da solo sviluppi la sua creatività, ma ne può conseguire che i bambini abbiano difficoltà nelle relazioni, e che sia difficile imporre una disciplina.

L’importanza della noia
Il momento della noia si configura come un’occasione, in cui il bambino sfrutta tutte le sue energie, per trovare un rimedio a tale stato negativo. Inoltre, in particolari momenti della crescita, la noia rappresenta il momento di passaggio, grazie al quale il maestro capisce che il bambino è saturo di ciò che ha appreso, ed è maturo per accogliere il nuovo. Se, tuttavia, tale metodo si sposa meglio con le indoli più docili, non sempre si rivela adeguato per i caratteri più ribelli. Un bambino iperattivo, per esempio, non riesce sempre a colmare il vuoto della noia, così da giungere a uno stato di frustrazione, che lo porterà allo sfogo sui compagni, o a dedicarsi ad attività estreme.

Non vi sono differenze di genere o culturali
Sia i maschi che le femmine imparano a cucire, a lavorare il legno o in giardino. Se tutti i bambini possono ascoltare le favole, o imparare a contare, allora una bambina può usare chiodi e martello, o un bambino cucire una borsa da sé.
La scuola steineriana tende a sopraelevarsi sulle differenze culturali, poiché non ha uno specifico indirizzo religioso o politico. La religione non è insegnata in quanto dottrina, ma, conformemente al metodo, si apprendono i suoi fondamenti al momento opportuno, posti sullo stesso piano della mitologia norrena o greca. Ogni scuola è modellata secondo la cultura del paese in cui è stata fondata, e nessun membro ne è escluso. L’obiettivo della scuola steineriana non è quello di formare delle menti colte, ma di accompagnare la crescita dello studente, nel modo più armonioso possibile.

La scuola steineriana, lungi dall’essere perfetta, può comunque essere una fonte di ispirazione, per elaborare un nuovo metodo pedagogico, che faccia tesoro dei suoi insegnamenti, e che meglio si adatti alle esigenze della nostra epoca.

Vi sono, inoltre, due considerazioni da non dimenticare. La scuola steineriana si basa su un pensiero filosofico, ovvero critico, che ha assunto il problema dell’assimilazione del sapere e ha creato un metodo, affinché la conoscenza e il conoscente combacino senza farsi violenza. Si tratta dell’esempio più lampante di come la filosofia si realizzi nella pratica, e ne diventi un pilastro portante.

Infine, bisogna ricordare che la scuola, qualunque essa sia, non può insegnare la cultura, bensì introdurre a essa. La cultura è un’esperienza intrapersonale, fra noi stessi e quell’io inaspettato, che si scopre fra le pagine di un libro. Per quanto ci si sforzi, resta spesso inenarrabile.

La scuola deve tracciare, invece, una strada fra i mali del mondo, per indicare il bene dietro di essi, e permettere che il viandante li riconosca dentro di sé1.

Fabiana Castellino

Fabiana Castellino è nata nel 1990 in Sicilia.
Si è laureata in Scienze filosofiche con lode, all’Università di RomaTre, con una tesi su Arthur Schopenhauer.
Ha maturato diverse esperienze nell’educazione dei bambini, prima con disabilità, e adesso svolge un progetto di volontariato europeo presso una scuola Steineriana in Belgio.
La lettura e la scrittura le sono state compagne sin da bambina, e l’hanno sempre guidata nelle sue scelte, professionali e di vita.

NOTE:

1. In questa sede non è stato possibile spiegare nel dettaglio le caratteristiche della scuola steineriana. Per chi volesse conoscere più a fondo la filosofia di Steiner, e le scuole steineriane in Italia si consigliano i seguenti siti www.rudolfsteiner.it; www.rsarchive.org., e infine il video su youtube Waldorf-100 The film

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

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