Per scrivere bene, in versi come in prosa, niente eguaglia l’avere davvero qualcosa da dire.
Paul Brulat
Giuliano Pasini, nato a Zocca, nel cuore dell’Appennino emiliano, da quasi quindici anni vive a Treviso, dove si occupa di comunicazione e scrive.
Il suo primo romanzo è Venti corpi nella neve, ambientato a Case Rosse, un minuscolo borgo nell’Appennino tosco-emiliano e sede del commissariato più piccolo d’Italia, diretto da Roberto Serra. Non succede mai nulla fino alla notte del Capodanno del 1995, quando una telefonata sveglia l’agente Manzini in piena notte: ci sono tre cadaveri al Prà grand, uccisi senza pietà. Per il commissario comincerà un’indagine che lo porterà a rivivere il passato del luogo in cui si è rifugiato e ad affrontare i demoni che albergano in lui.
Nel 2013 torna Roberto Serra con Io sono lo straniero. Il commissario ha lasciato Case Rosse per rifugiarsi sulle colline del prosecco, a Termine: quattro case, tre strade, una chiesa, un cimitero e intorno solo vigneti. La vita di Roberto scorre lenta fino a quando, un giorno d’inverno dove incontra Francesca, una ragazza eccentrica e disperata che vuole convincerlo ad indagare su una giovane sparita nel nulla. Inizialmente il commissario non ne vuole sapere, godendosi la serenità ritrovata fra i vigneti, ma davanti a lui si delinea una scia di scomparse misteriose: tutte donne, tutte giovanissime, tutte straniere. Invisibili per la procura, per la polizia, per la gente. Roberto non può più scappare ed è costretto ad affrontare un’indagine che lo porterà a scrutare le acque nere dei laghi nascosti tra i vigneti, a scoprire che un passato irrisolto può allungare le sue dita fatali fino al nostro presente…
Il prossimo romanzo di Giuliano Pasini, terza avventura di Roberto Serra, vedrà la luce nel 2015.
Dal 2013 Pasini è presidente della giuria del Premio Letterario Massarosa, sommelier AIS per giustificare il suo amore per il vino ed ex maratoneta.

Il suo lavoro principale non è quello dello scrittore, giusto? Come ha iniziato a dedicarsi alla scrittura?
A me scrivere è sempre piaciuto moltissimo, ero uno di quei ragazzini che se dovevano dichiararsi ad una ragazza mandava una lettera, con esiti disastrosi. Nonostante quello ho continuato a scrivere, senza però trovare mai la costanza di mettere in fila le cose che scrivevo. Ho assistito qualche anno fa ad una presentazione di Loriano Macchiavelli, il padre di tutti noi che proviamo a fare i giallisti in Italia. Lui diceva che lo scrittore è un lavoro di ufficio: ci alza, alle 9 ci si siede alla scrivania fino alle 13, pausa pranzo e poi scrive di nuovo. Quando mi sono trasferito a Treviso, che per me è stata decisiva, avevo più tempo, non ero nella mia città di origine, non avevo il mio gruppo di amici. Allora mi sono chiesto come investo il tempo? Finalmente mi sono messo a scrivere una storia in fila. Dopo parecchio tempo sono arrivato a quello che poi è diventato Venti corpi nella neve, l’ho fatto leggere alla donna che nel frattempo è diventata mia moglie, mi ha detto che faceva schifo, io me la sono presa ma non ho divorziato perché mi sono reso conto che aveva ragione lei e c’ho lavorato ancora per molto tempo, fino a quando ho trovato il concorso IoScrittore del Gruppo editoriale Mauri Spagnol. Un concorso interessante perché si poteva inviare il proprio dattiloscritto con uno pseudonimo: gli altri concorrenti leggevano il tuo scritto e ricevevi giudizi senza che nessuno sapesse chi eri veramente. Io mi sono iscritto appunto per questo, ma sono arrivato alla fine del concorso e mi hanno pubblicato il libro in e-book con il titolo Giustizia dei martiri. La vendita, per quanto nel 2010 si parlasse ancora di numeri piccolissimi per gli e-book, è andata bene ma nessuna delle case editrici del Gruppo ha voluto pubblicare il cartaceo. Ho cercato io stesso un editore trovando Fanucci Editore che, nonostante abbia molto fiuto nel trovare talenti, nel gennaio 2012 mi ha pubblicato Venti corpi nella neve. Il libro è entrato in classifica la prima settimana ed è andato benissimo. Da questo punto c’è stata un’accelerazione enorme: Mondadori ha letto il libro, gli è piaciuto e mi ha chiesto di lavorare ad un progetto su due romanzi con lo stesso protagonista. A marzo del 2013 è uscito Io sono lo straniero e a marzo 2015 uscirà quello nuovo.
Si aspettava così tanto successo?
No, assolutamente. Soprattutto nel periodo in cui è uscito Venti corpi nella neve quando era stata pubblicata una recensione molto positiva sul Corriere della Sera, avevo preso il quotidiano e leggendo l’articolo pensavo parlasse di un mio omonimo. Amo moltissimo la lettura, quindi dall’altra parte mi sentivo completamente spaesato. È anche difficile pensarlo perché non faccio lo scrittore di mestiere: dal lunedì al venerdì svolgo il lavoro di ufficio e negli altri momenti cerco di immedesimarmi nel mio mondo. Per riuscire a completare gli altri romanzi dovevo scrivere tutti i giorni alle 5 del mattino e a volte è veramente difficile, quando sono le 7, uscire dal mondo finto dei personaggi (in particolare lo è stato per il terzo romanzo perché è un mondo che non ho mai vissuto, al contrario del primo e del secondo ambientati in luoghi in cui sono nato e vivo) per mettermi giacca e cravatta e andare in ufficio.
Le piacerebbe che la scrittura diventasse il suo unico lavoro?
Allo stesso modo in cui mi piacerebbe fare sei al SuperEnalotto!
Vuole parlare dei suoi romanzi?
Sono tutti gialli con un forte radicamento nella storia. A me piace moltissimo il giallo perché è un genere contenitore, ci puoi mettere qualsiasi cosa. L’importante è che si costruisca questo contenitore nel modo giusto, con tutti gli elementi, perché il lettore si deve ritrovare e se manca un elemento. O sei bravissimo, ma ne conosco pochi di autori in grado di togliere ad esempio la scoperta del colpevole lasciando un finale aperto, o la storia non funziona. Quindi all’interno del giallo si può inserire una storia cupa o leggera, con cattivi o meno, con riscatto o senza riscatto; davvero qualsiasi cosa. Il mio obiettivo è quello di scrivere dei libri che, oltre a far divertire con 200 pagine, dopo averli chiusi facciano pensare alla storia che c’è sotto, anche solo per un minuto. Nel mio primo romanzo parlo della storia della Resistenza, dell’assurdità della guerra, in quello che comporta e delle ferite che lascia aperte dopo cinquant’anni; nel secondo, invece, di quanto sia pericoloso instillare nella gente l’idea che ci siano delle persone superiori ad altre per puro diritto di nascita, perché nella storia dalle parole poi si passa ai fatti, com’è successo davvero e continua a succedere; nel terzo romanzo il tema forte sarà quello della malattia mentale, del chi è matto. In un mondo di matti, c’è qualcuno di sano? I malati mentali sono stati considerati per molti secoli messaggeri degli Dei, perché riuscivano a vedere cose che noi non vedevamo e che l’uomo normale non capiva. Invece successivamente da un certo punto molto recente della storia sono stati rinchiusi in uno spazio ben definito.

Ha qualche consiglio da dare ai giovani che aspirano a diventare scrittori?
Ho visto cos’è stato utile per me: la costanza. Avevo un’idea della scrittura che fosse la folgorazione sulla via di Damasco: ti viene un’idea e l’impulso irrefrenabile di metterlo sulla carta in quel momento e modo precisi altrimenti scappa, delle volte succede. Invece adesso è metodo, mestiere; avere la costanza ogni giorno di andare avanti. Io ho fatto tutti gli errori che un esordiente poteva fare. Per scrivere il primo romanzo ho impiegato cinque anni, per il secondo e il terzo due, perché inizialmente non avevo metodo, non facevo la scheda dei personaggi e non avevo nemmeno un’idea della trama, convinto che la scrittura fosse qualcosa di molto istintivo quando in realtà coinvolge molto di più la testa. Il mio consiglio è di prepararsi ad usare la testa per fare una cosa che comunque è tanto cuore. Ma testa, metodo e costanza sono essenziali. Il talento, credo, sia solo sudore e fatica.
Nella tradizione antica era l’oralità il mezzo di comunicazione preminente rispetto alla scrittura, oggi sembra che si abbia più ‘coraggio’ con la parola scritta. Secondo lei perché c’è stata questa lenta ma incessante inversione di marcia?
Sinceramente, come direbbe la mia professoressa di matematica delle superiori, è come paragonare mele e pere. Impossibile “pesare” scritto e orale paragonando civiltà in cui la capacità di scrittura era dominio di una ristrettissima élite e civiltà in cui è diventata la più popolare e democratica delle arti. Questo per tacere dell’impatto della tecnologia sulla vita dell’uomo. Siamo sicuri che se gli antichi greci avessero avuto Internet si sarebbero comportati diversamente da noi? Se invece ragioniamo in termini di funzione, mi spingerei a dire che la funzione dell’oralità della tradizione antica non era molto diversa dall’attuale funzione della parola scritta: portare notizie e conoscenze al pubblico più vasto possibile. Cambia solo il mezzo.
Uno dei limiti dello ‘scritto’ è quello che da solo non può scegliere i suoi interlocutori, non può difendersi da chi lo attacca e quindi ha sempre bisogno del soccorso del suo autore: è così anche per gli scrittori di gialli?
Diciamo che nei romanzi c’è abbastanza segmentazione: difficilmente un lettore acquista un giallo senza sapere che è un giallo, a meno che l’editore non abbia giocato sporco con titolo e copertina. Detto questo, l’autore non dovrebbe mai andare in soccorso della sua opera, è come spiegare una barzelletta: se dopo che l’hai raccontata, serve che tu fornisca l’interpretazione, significa che è venuta male. Così le storie che si scrivono.
Cosa pensa della Filosofia oggi? Per lei può essere uno strumento utile di riflessione per le nuove generazioni nel campo lavorativo e nella vita di tutti i giorni?
Ho fatto studi classici, per cui trovo utile tutto ciò che “apre la mente” delle persone. Per la vita di tutti i giorni, quindi, è uno strumento formidabile, ed appassionante per chi lo studia. Per ciò che concerne l’ambito lavorativo, però, la sfida dei laureati in filosofia è particolarmente difficile. Ovviamente oggi sono molto più richieste competenze tecniche e specializzate.
Con molte probabilità la nascita del genere giallo si può far coincidere con la pubblicazione, nel 1841, de I delitti di via Morgue di Edgar Allan Poe, in cui compare Auguste Dupin, la cui deduzione è talmente elevata da riuscire a risolvere i casi leggendo solamente i resoconti giornalistici. È sicuramente questo il personaggio a cui si rifà Arthur Conan Doyle nel creare il ben più famoso Sherlock Holmes, protagonista di Uno studio in rosso (1887), presumibilmente il primo romanzo giallo pubblicato. Da allora il genere ha conosciuto sempre più fortuna, numerosi sono gli autori che con esso hanno raggiunto fama mondiale: Agatha Christie, Georges Simenon, Raymond Chandler e Dashiell Hammett, fino ai giorni nostri e alle opere di James Ellroy, Ken Follett, Andrea Camilleri, per citarne solo alcuni. Ma la definizione giallo si utilizza solamente nella lingua italiana e ciò si deve alla collana Il Giallo Mondadori, ideata da Lorenzo Montano e pubblicata da Arnoldo Mondadori a partire dal 1929. Caratteristica di questa edizione sono, appunto, la copertina di colore giallo, che è diventata simbolo del genere stesso.
Il romanzo poliziesco ha prodotto peggiore letteratura che ogni altro genere di narrativa, salvo il romanzo d’amore, e probabilmente migliore letteratura che qualsiasi altra forma letteraria largamente accettata e apprezzata.
Così una volta scrisse Raymond Chandler e queste sue parole fanno pensare a quelle che spesso Giuliano Pasini si sente dire:
Tu, per essere un autore di gialli, non scrivi male.
Chandler morì nel 1959, ma questa frase fa capire come ancora oggi permangano gli stessi pregiudizi. Non tutta la letteratura ha ancora accettato il fatto che il giallo non sia un genere letterario subalterno, ma un filone più vivo che mai. Come ogni altro genere il poliziesco ha al suo interno opere eccellenti come pessimi esemplari. Ma poche correnti narrative hanno mostrato una vitalità pari a quella del racconto giallo. Un’inesauribile disponibilità a contaminarsi con altri generi, anche i più “alti”. E chi non è convinto di ciò dovrebbe pensare a due esempi del nostro recente passato: Sciascia e Gadda, che scelsero la forma del romanzo poliziesco per partorire dei capolavori della letteratura italiana.
La verità profonda, per fare qualunque cosa, per scrivere, per dipingere, sta nella semplicità. La vita è profonda nella sua semplicità.
Charles Bukowski
La verità profonda per fare qualunque cosa sta nella passione per quella determinata cosa che si intende realizzare: la passione muove la nostra vita e tutto permette di realizzare, come diceva Hegel
Niente nel mondo è stato fatto senza passione;
come ci ha dimostrato in questa intervista Giuliano Pasini che con costanza, determinazione e appunto passione ha realizzato il sogno di una vita.
Grazie Giuliano, è sempre un piacere parlare con lei!
Potete seguire i pensieri dell’autore sul suo blog personale www.giulianopasini.it.
Ilaria Berto
[Immagini a cura di Monica Conserotti]
Il romanzo giallo: intervista a Giuliano Pasini luglio 10th, 2017Ilaria Berto