Film selezionati per voi: aprile 2018!

A voi amanti del cinema, ecco i consigli del mese firmati dai nostri esperti in materia. Ve li introduciamo con una citazione di Nanni Moretti tratta dal film classico recensito…

Silvia: Speriamo che nostro figlio non diventi un attore!
Nanni: Silvia, ma che discorsi fai… speriamo che non diventi un attore… noi gli impediremo di fare l’attore!

Buona visione a tutti e buona fortuna agli aspiranti attori che ci leggono!

 

FILM IN USCITA

chiave-di-sophia-prigioniero-coreanoIl prigioniero coreano – Kim Ki-Duk

«Dove c’è una forte luce c’è sempre una grande ombra»: questa la risposta emblematica data a Nam Chul-Woo, povero pescatore nordcoreano che si chiede in cosa consista la democrazia. Un film esplicitamente politico l’ultimo di Kim Ki-Duk che torna alle proprie origini per l’attenzione prestata agli emarginati e per la durezza delle situazioni portate sullo schermo. Nam Chul-Woo ha nella sua barca l’unica proprietà ma un giorno mentre si sta occupando delle reti gli si blocca il motore in prossimità del 38° parallelo, al confine tra le due Coree, così la corrente del fiume lo trascina verso la Corea del Sud. Qui, preso sotto controllo e trattato come una spia, il pescatore, che crede nel duro regime di Kim Jong, si trova a contatto con l’inferno capitalistico per le strade di Seoul, dove può girare controllato a distanza e notare i segni deteriori della società, quali la prostituzione. USCITA PREVISTA: 12 aprile 2018

chiave-di-sophia-amore-doppioDoppio amore – François Ozon

L’altro, inteso come la donna e il doppio, è il fulcro dell’ultima pellicola di François Ozon, thriller psicologico e étude de femme. Chloé, giovane donna fragile, intraprende un percorso psicoterapeutico ma Paul, lo psichiatra che la ascolta senza mai dire nulla, interrompe le sedute perché la seduzione che Chloé esercita su di lui è incompatibile con la deontologia professionale. La donna ricambia però il sentimento e inizia così la liaison traslocando con il suo gatto a casa di Paul, che le nasconde il suo lato oscuro: un gemello omozigote, Louis, che svolge la medesima professione in un altro quartiere di Parigi. Fatale e intrigata Chloé prende un appuntamento, iniziando la sua progressiva caduta agli inferi. USCITA PREVISTA: 19 aprile 2018

chiave-di-sophia-la_casa_sul_mare_-_manifestoLa casa sul mare – Robert Guédiguian

Assorto e appassionante racconto di crisi, La casa sul mare è un aggraziato e disilluso addio in un tableau assolato, a Méjan, cala marina tra Marsiglia e Carry, dove tre fratelli si riuniscono per vegliare il padre, colpito da un ictus. Angèle, attrice, Joseph, professore, e Armand, ristoratore di anime, si misurano con la morte di un padre e delle utopie rivoluzionarie di una nazione che ha smarrito lo slancio e l’azione. L’irruzione di tre bimbi, naufraghi sulle sponde del Mediterraneo – doppio speculare dei tre protagonisti – li sconvolge segnando un nuovo inizio. USCITA PREVISTA: 12 aprile 2018

 

UN FILM D’ANIMAZIONE

chiave-di-sophia-sherlock-gnomesSherlock Gnomes  John Stevenson
Dopo i 194 milioni di dollari incassati da Gnomeo e Giulietta, a fronte di un budget realizzativo di soli 36 milioni, non è certo una sorpresa che la Rocket Pictures di Elton John abbia deciso di produrre questo divertente sequel dedicato al mondo degli gnomi. Collegandosi ai protagonisti del primo film, Sherlock Gnomes è un piccolo ma riuscito prodotto di intrattenimento per tutta la famiglia grazie a un efficace mix di mistero, risate e simpatia. Ideale per una serata dedicata ai bambini. USCITA PREVISTA: 19 APRILE 2018

 

UN CLASSICO DEL CINEMA

chiave-di-sophia-aprileAprile – Nanni Moretti
Il mese e la situazione politica in cui ci troviamo, non possono far altro che richiamare alla mente uno dei grandi classici della filmografia di Nanni Moretti. Considerata ingiustamente da molti come un’opera minore, tra le tante girate dal regista capitolino, “Aprile” è una satira attualissima sul cambiamento politico vissuto dall’Italia nel 1994 e sulle ossessioni dello stesso Moretti che, oltre a fare il regista, si diverte a raccontare le sue manie personali davanti alla macchina da presa. La sequenza iniziale della prima elezione di Berlusconi ha fatto storia, il resto è un ottimo ritratto personale e politico di un’Italia in cui (forse) ancora oggi viviamo.

 

UN FESTIVAL CINEMATOGRAFICO

chiave-di-sophia-le-voci-dellinchiestaLe voci dell’inchiesta @ Pordenone
Nonostante aprile sia per antonomasia il mese del Far East Film Festival di Udine (la più importante rassegna italiana dedicata al cinema dell’estremo Oriente), da mercoledì 11 a domenica 15 il Friuli ospiterà un evento altrettanto importante, incentrato sul cinema d’autore. A Pordenone è infatti di scena l’undicesima edizione de “Le voci dell’inchiesta”, festival del cinema del reale nato con l’intento di presentare in anteprima italiana film in grado di esplorare il genere del giornalismo d’inchiesta. Negli ultimi anni il focus del festival si è sempre più spostato verso temi d’attualità, contaminando il genere giornalistico con il cinema del reale. Una rassegna imperdibile di documentari, quasi tutti in anteprima nazionale o europea, impreziosita dalla presenza di importanti ospiti internazionali provenienti dal mondo del cinema e del giornalismo. Tutte le proiezioni saranno aperte al pubblico, biglietti e abbonamenti disponibili online o alle casse di Cinemazero, in Piazza Maestri del Lavoro a Pordenone.

 

Rossella Farnese, Alvise Wollner

 

banner-pubblicitario_la-chiave-di-sophia_rivista

Un viaggio circolare per la storia?

Er ist wieder da (in inglese Look who is back) è una novella satirica tedesca scritta da Timur Vermes del 2012 e adattata poi al grande schermo nel 2015. La storia immagina un viaggio nel tempo di un inconsapevole Adolf Hitler, che confuso si risveglia nel 2011 a Berlino. Sia la commedia che il film hanno diviso la critica e suscitato un acceso dibattito in Germania, dove l’argomento è ancora un tabù in termini di satira. Senza entrare nel merito, è indubbio che la novella abbia una sua morale. Infatti nell’ultima scena rivolgendosi al co-protagonista, che tenta di ucciderlo, Hitler dice che «la storia si ripete». Quando, dopo avergli sparato e credendo di averlo ucciso, Hitler riappare alle spalle del co-protagonista, il dittatore gli spiega che «non riuscirà a liberarsi di lui».

Quest’ultima frase è un chiaro invito al lettore-spettatore a riflettere: le idee non si possono uccidere. Che rilevanza ha dunque nel 2022, a qualche anno di distanza dall’uscita del film e del libro, questa morale?

Abbiamo lasciato il Novecento promettendoci “mai più”: mai più guerre, mai più orrori, mai più genocidi. Abbiamo istituito le ‘giornate della memoria’: la Giornata della Memoria per le Vittime dell’Olocausto (27 Gennaio), Giornata della Memoria per il Genocidio Armeno (24 Aprile) e Giornata della Memoria per il massacro delle Foibe (10 Febbraio), tra le più note. Il secondo decennio degli anni duemila però sembra volerci ricordare che la memoria e il ricordo non bastano a mantenere la promessa.

Guardando impotente l’evoluzione politica delle nostre società, mi sono chiesta spesso se effettivamente la storia si ripeta, se non sia altro che un viaggio circolare dell’umanità. Non ho una risposta definitiva, ma quello che è certo è che certi eventi accadono come reazione ad altri eventi e, per quanto scontato possa sembrare, non sempre ce ne accorgiamo.

Moltissimi articoli sono stati scritti di recente sul ritorno del populismo in Europa. Il termine populismo identifica un atteggiamento ideologico attraverso il quale principi e programmi politici vengono trasmessi, che esalta in maniera demagogica il ruolo del popolo1. Dunque è il populismo il problema? In parte. Quello sui cui si dovrebbe riflettere di più è un fenomeno definito come polarizzazione sociale. Polarizzazione è un termine della fisica che identifica un processo per il quale si vengono a creare due polarità contrapposte, ovvero la concentrazione separata di due forze di valore opposto in uno stesso corpo. Se estendiamo il termine alla sociologia, polarizzazione identifica la concentrazione di valori ed idee opposti in seno alla società, dunque la tendenza della popolazione a schierarsi per uno dei due poli. In questo senso, il populismo a sostegno delle estremità degli schieramenti favorisce ed alimenta la polarizzazione delle società.

Come è successo? Siamo entrati nel secondo decennio degli anni Duemila in piena crisi economica, con conseguenze già evidenti sui consumatori e dunque un clima di insicurezza generalizzato. Le cose non sono migliorate negli anni successivi: tra fine 2010 e inizio 2011 prende avvio la Primavera Araba, una serie di proteste che ha interessato i paesi del Medio Oriente e Nord Africa. Le proteste non sono riuscite nel loro intento democratico e in Siria la protesta si è trasformata in una vera e propria guerra civile: ciò ha avuto una conseguenza significativa sui flussi migratori. Migliaia di persone sono entrate in Europa per fuggire a guerra e persecuzioni, aggiungendosi ai migranti economici che almeno dagli anni ’90 del Novecento attraversano il Mediterraneo in fuga dalla povertà. In un clima di sofferenza già esistente, questi flussi hanno inasprito le tensioni all’interno della società. Il colpo finale l’hanno dato gli attacchi terroristici su suolo europeo a partire dal 2015: la paura costante nella vita quotidiana di prendere i mezzi pubblici, viaggiare, recarsi in qualsiasi luogo affollato, ha sancito lo spostamento definitivo di intere porzioni di votanti verso retoriche semplicistiche, ma che promettono di recuperare la sicurezza perduta. Abbiamo così una polarizzazione a tutto tondo: cittadini europei che cadono nella propaganda del reclutamento jihadista (e in misura minore di altri terrorismi) da un lato, e tendenze populistiche di estrema destra dall’altro. Due polarità contrapposte che non solo si alimentano a vicenda, ma hanno anche le stesse radici.

La sfida che attende noi cittadini è capire veramente questi meccanismi di polarizzazione; la sfida che attende i nostri policy-makers è quella di fermarla, tenendo bene a mente che le idee non si uccidono e dunque la regola vincente è dotare le persone degli strumenti critici necessari per non cadere nella propaganda terrorista da un lato e nel populismo di destra dall’altro. La speranza è che fra dieci anni potremo dire che alla fine il viaggio non è stato circolare e che ad un passo dal chiudere il cerchio, la storia ha invece deviato il suo corso verso un nuovo inizio.

 

Francesca Capano

Laureata in Relazioni Internazionali in Italia, ha successivamente approfondito il suo interesse per la sicurezza internazionale con un Master a Londra. Attualmente vive a Bruxelles, dove si occupa principalmente di prevenzione della radicalizzazione e migrazione in ambito europeo. Segue principalmente la politica internazionale, senza perdere di vista le sue ripercussioni interne a cui affianca spesso una prospettiva sociologica.

NOTE:
1. Populismo, Enciclopedia Treccani Online.

[L’immagine in copertina è un fotogramma del film]

copertina-abbonamento2021-ott

Je suis Charlie, moi non plus

Il terremoto che ha colpito il centro Italia i giorni scorsi non ha mancato di attirare gli usuali sciacalli mediatici, e non si è certo tirata indietro la controversa rivista francese Charlie Hebdo, fino a poco fa considerata da molti italiani il simbolo della libertà di pensiero e di espressione. Stavolta, però, la reazione al disegno firmato Felix è stato di indignazione quasi unanime e, salvo una schiera di strenui difensori che insiste a leggere nella vignetta una “fine satira sociale e politica” penalizzata da “giochi di parole intraducibili dal francese”, i corpi di morti e feriti trattati con la solita, dissacrante ironia ha provocato stavolta un’alzata di scudi generale, anche a livello istituzionale.

Curioso, visto e considerato come anche la vignetta che ironizzava sull’attacco al Bataclan o quella sulla strage di Nizza erano state accolte come esempi di “autoironia”. Il pubblico sdegno, che non si era scomodato neanche per i vergognosi disegni sul piccolo Aylan Kurdi, interviene solo quando nel bersaglio dei vignettisti finisce in prima persona chi legge. Forse, finalmente, si è in grado di capire oggi quali sentimenti suscitino normalmente i disegni “satirici” della rivista francese, gli stessi che avevano fatto commentare perfino a Papa Francesco: «Se il dottor Gasbarri, che è un mio grande amico, dice una parolaccia contro la mia mamma, gli aspetta un pugno [sic]. È normale».

Anche il regista premio Oscar Hayao Miyazaki, non certo un leader religioso, aveva dichiarato che a suo avviso la satira dovrebbe occuparsi di politica, possibilmente la propria, mentre quella a danno di credenze e culture altrui non ha ragione di esistere; la redazione rispose con un raffinatissimo «Cabu, qui détestait le manga, et qui a passé sa vie à caricaturer les hommes politiques, te dit merde!».

Sia Bergoglio che Miyazaki hanno messo in luce quella che è la pietra della discordia delle polemiche di ieri e di oggi (e che si traducono sempre e comunque in pubblicità per il giornale), un dibattito intorno alla definizione stessa di “satira”. Basta che una cosa sia scioccante per essere considerata satira, come molti hanno sostenuto in questi giorni? Allora Charlie Hebdo è un campione del genere, così come lo sono di diritto anche gli snuff movie o i reality sugli incidenti stradali. La satira deve veicolare un messaggio, farsi portavoce di una critica mirata a un dato sistema ideologico o sociopolitico? Ecco allora che le opinioni divergono.

Una vignetta su Benedetto XVI o Papa Francesco che mette in ridicolo parole o atteggiamenti può essere satirica, una che raffigura la Trinità impegnata in sesso di gruppo no; un disegno che mette in ridicolo al-Baghdadi può essere satirico, uno che ritrae il Profeta Muhammad in posa per un servizio fotografico porno no. Esiste un confine neanche troppo sottile tra il deridere una persona per le sue convinzioni e ridicolizzare le convinzioni stesse. Nel caso delle religioni, poi, il discorso si fa ancora più delicato, perché si va a toccare una sfera estremamente intima della vita personale; una fede non è un’ideologia politica, una regola di condotta morale, un sistema di credenze: rientra piuttosto nella categoria delle relazioni personali, nel caso specifico una relazione tra il credente e Dio. Il paragone usato da Bergoglio nel 2015 tocca precisamente il cuore della questione: si può parlare ancora di satira quando non si cerca di criticare o correggere, ma semplicemente di indignare, offendere, scioccare, senza alcun riguardo per la sensibilità altrui e senza curarsi minimamente di ciò che per altri è il sacer?

Se la risposta è negativa, allora non è possibile non indignarsi per ogni singola provocazione da parte di Charlie Hebdo e colleghi, ma piuttosto che fornire pubblicità gratuita con dibattiti infiniti, sarebbe bene seppellire la fonte del malcontento sotto una coltre di indifferente silenzio. Se la risposta invece è positiva, e la libertà non deve avere come limite neanche quella altrui, allora si lasci passare tutto: l’idea di rispetto della vita umana rimanda direttamente al sacro, ed eliminato questo, è solo ipocrisia indignarsi per uno sbeffeggiamento di troppo alle vittime di qualsivoglia tragedia.

Giacomo Mininni

[Immagine tratta da Google Immagini]

Quale filosofia dietro al nuovo fenomeno web Nicola Canal?

Il nuovo fenomeno social si chiama Nicola Canal meglio conosciuto come Il Canal. Originario del Trevigiano, Nicola frequenta l’Accademia di Arte Drammatica a Udine lanciandosi poi nel mondo dello spettacolo. Attualmente quasi trentenne lavora per tutt’altro settore, ma porta avanti la sua passione grazie a simpatici video che egli pubblica puntualmente sui suoi canali web. La sua produzione video? Nicola si è fatto conoscere grazie a delle esilaranti telefonate ad alcuni dei più famosi centralini italiani (dall’Expo a Cepu, da Miss Italia alla Volkswagen), ma ha saputo andare anche ben oltre, coinvolgendo direttamente tutti i suoi fan, e creando per loro un vero spazio di svago (per esempio il concorso Selfie Caigo). I suoi video, montati con abile maestra, mettono in evidenza la sua creatività e le sue indiscusse capacità di recitazione.

Abbiamo deciso di rivolgergli qualche domanda, convinti che dietro al suo lato comico si nascondesse una personalità molto più profonda di quanto non volesse dare a vedere. Se all’apparenza i suoi video possono sembrare superficiali e volti al solo divertimento, in realtà in essi si cela un’analisi accurata e critica della realtà nella quale viviamo.
Nelle sue parole abbiamo percepito allo stesso tempo sicurezza di sé ed umiltà, qualità che non fanno altro che accrescere l’apprezzamento che già nutrivamo verso di lui e verso l’immagine che si è costruito attraverso i social.
Nicola può essere un vero esempio sociologico, non c’è che dire, ma alla base di tutta la sua persona vi sono una buona dose di riflessività e consapevolezza.

Ma ora, spazio alle chiacchiere: a voi la lettura di questo botta-risposta!

 

La maggior parte dei tuoi fan attuali ti ha conosciuto grazie ai tuoi primi video. Al giorno d’oggi caricare un video su YouTube è alla portata di tutti. A te come è nata l’idea di provarci?

Guarda. È’ nato tutto quando non ho più voluto provarci. Ho studiato recitazione, ma quando ho firmato un buon contratto di lavoro ho anche “abbandonato i miei sogni”. Ho cominciato allora a giocare con video in dialetto veneto per gli amici di Facebook. Un giorno ho visto 2500 richieste di amicizia: qualcuno aveva scaricato il mio video e lo aveva fatto girare su WhatsApp. Così è nato tutto!

 

Senza volerlo, quindi! Beh, da allora hai ottenuto un seguito piuttosto notevole! Perché hai intrapreso gli studi di recitazione? C’era qualcosa in particolare che ti affascinava di questa disciplina?

Mi piaceva l’idea di dare un po’ di tecnica a questa voglia di fare il “mona”!

 

Mi pare di avere capito che malgrado i tuoi studi, questa non sia poi diventata la tua professione. Capita con sempre più frequenza. L’impegno e la passione che stai riversando nella tua pagina Facebook Canal-Il Canal (e non solo) sono una sorta di rivincita?

No, non la sento come una rivincita. Non devo rifarmi di nulla. Non ho perso tempo. Non avanzo nulla di che. Mi piace questa cosa per quello che è.

 

Quindi ciò che conta per te è il far sorridere e divertire le persone? Non è un compito facile: la comicità non è di tutti! Contano di più l’impegno e la ricerca, o la pura spontaneità?

Diciamo che conta fare una cosa che piaccia. E che abbia un senso per poi continuare a farla. Contano tutte le cose, quelle che hai elencato e molte altre: passione, entusiasmo ed ironia ad esempio.

 

Cosa pensi riguardo ai programmi televisivi basati sulla comicità (penso a Zelig, Colorado, ecc.)? Ti sembra che la loro forma di comicità sia efficace?

A me non fanno ridere anzi mi imbarazzano molto. Ma anch’io potrei non piacere a loro.

 

Te l’ho chiesto perché personalmente trovo che il divertimento che propongono sia sempre più scadente. Mi piace invece il tuo modo di fare, forse perché lo sento più vicino alla mia quotidianità. Riesci a divertire con assoluta semplicità e senza volgarità. Inoltre ti esprimi spesso in dialetto: credo che questa sia stata una caratteristica che ti ha portato fortuna. Noi veneti siamo particolarmente affezionati al nostro modo di parlare, così come alle nostre espressioni e ai nostri modi di dire.

Io ritengo ovviamente la lingua italiana importantissima ma non posso prescindere dal fatto che il mio corpo è più in sintonia col dialetto veneto. Io sono più sincero se parlo Veneto.

 

A questo proposito mi fa piacere ricordare l’iniziativa da te promossa in sostegno alla riviera del Brenta. [Nicola, grazie ad una vendita online di oggetti e gadget con su scritte alcune massime della parlata veneta, ha contribuito ad una raccolta fondi in favore della Riviera del Brenta, che nell’estate 2015 è stata colpita da un tornado]. Ti sei davvero impegnato di persona per la nostra zona! In qualche modo ti si potrebbe definire come un “filosofo de noialtri”. Sei infatti un attento osservatore della realtà! Riesci a proporre in tono ironico i vari scandali della realtà (si veda il video in cui telefoni al servizio clienti della Volkswagen), smascheri con simpatia le nostre abitudini (si vedano i motti “Pi sorz, manco stroz” e “Manco IPhone, pi subiot”), infondi un alone di dubbio sui nostri pregiudizi.. Ma ti incarichi anche di contribuire di persona a progetti ed iniziative per migliorare nel concreto il nostro presente. Come ti sta addosso questa mia “definizione”? Cosa pensi della filosofia? L’hai mai studiata?

Ho fatto il liceo quindi l’ho studiata, ma al tempo non ne capivo l’utilità. Diciamo che ho fatto filosofia col teatro! O meglio, facendo teatro ho scoperto quanto era importante filosofia. Per esempio ogni volta che interpretavo un personaggio le domande che mi ponevo erano semplici ma complesse allo stesso tempo, legate sì al personaggio, ma questo a volte si confondeva con Nicola stesso. Mi chiedevo “Chi sono, cosa faccio, da dove arrivo?”. Ho capito che interrogarsi è indispensabile!

 

Credo che buona parte del tuo seguito sia costituito da giovani e ragazzi. Avresti qualcosa di particolare da dire loro?

Sai che non credo? Credo mi seguano soprattutto i più grandi e la cosa mi fa molto piacere! Ai giovani che dire? Dicessero qualcosa loro a me! Io non voglio spiegare niente a nessuno. Ma se qualcuno trova messaggi carini nei miei video ben venga! Forse l’unica cosa che mi sento di dire è quella di uccidere la vergogna, che per me è la cosa più brutta che ci sia. La rabbia può trasformarsi, ma la vergogna è solo un limite enorme.

 

Ti riferisci a qualcosa in particolare?

No, a tutto! Partendo dall’accento. Io in realtà non mi sono mai vergognato, ma sento molta gente che dice “Si sente molto?”, come se fosse una cosa di cui vergognarsi! Pensa te!! Oppure la gente si vergogna di dire “Non ho soldi!”. Perché? Non capisco! Nei miei video cerco questo credo. Queste cose ci rendono deboli. Se ho cinque euro in tasca ma non lo devo nascondere a nessuno sono un po’ più ricco. Vedi come alcuni hanno vissuto il fallimento e la crisi. Il vero fattore di turbamento non era la tragedia economica a cui si andava incontro, ma il sentimento di vergogna che si provava a causa del fallimento.

 

Inizialmente avevo capito il contrario, cioè che tu dicessi in qualche modo “Vergogniamoci di più”. Che diciamocelo, in certi casi, non sarebbe neanche sbagliato. Forse se provassimo più vergogna e fossimo meno sicuri della nostra invincibilità, certe cose potrebbero non accadere.

Questo anche è vero. Hai assolutamente ragione. Ma hai capito come intendevo io? Paradossalmente i miei insegnanti e ai casting mi chiedevano di nascondere la cosa che mi ha portato fortuna: il Veneto.

 

Quindi ti consigliavano di mascherare la cadenza e di parlare in italiano?

Non palesemente. Però l’accento veneto rispetto ad altri, per esempio romano, siciliano, pugliese, è visto meno vincente. Il personaggio veneto nei film è sempre quello meno intelligente.

 

Certo, è piuttosto evidente questa cosa, ma non ne ho mai capito il motivo. È a questo che mi riferivo quando ti dicevo che mi piace il modo in cui proponi la tua comicità: perché la sento più vicina rispetto ad altre! Infine vorrei chiederti: come reagisci di fronte a chi ti attacca con pesantezza? Ho visto che tendi sempre a rispondere in modo ironico e che nelle tue risposte non c’è mai stata ombra di cattiveria.

Che piacere che tu lo abbia notato! Beh sono forte dei commenti positivi! Se ne ho cinque buoni, quello cattivo diventa insignificante. Ovviamente ma… in linea di massima ho sempre riso alle cattiverie. Non so perché giuro! Mi viene spontaneo davvero, non faccio il superiore, non tratto con sufficienza. La cattiveria mi fa ridere perché immagino lo sforzo, la fatica e l’impegno che ci stanno dietro, e questa cosa mi fa ridere. Vedere la faccia di uno che si carica per dire una cattiveria: quel consumo di energia è ridicolo.

 

Sai cosa mi fai pensare? Che è possibile divertire gli altri soltanto se si ha una personalità sorridente e positiva. Credo la tua sia proprio così!

 

Federica Bonisiol

 

copabb2019_ott

«JE SUIS CHARLIE» A quasi 10 mesi dalla strage cosa abbiamo dimenticato?

Parigi, 7 gennaio 2015.
Rue Nicolas Appert, numero 10.
Sono le 11.30 del mattino, è in corso la runione di redazione.
Raffiche di arma da fuoco. Silenzio. Morte.
Due uomini armati di AK47 escono dalla redazione, il volto celato da passamontagna.
Scappano in tutta fretta ma incontrano una pattuglia di polizia e poi una seconda.
Altri scontri a fuoco. Ancora Morte.
Riescono di nuovo a fuggire ma poco dopo sono costretti ad abbandonare la macchina a causa di un incidente e si impossessano di un’altra auto
Miracolosamente, nella foga uno dei due perde la propria carta di identità.

Wittgenstein ci insegnava: «su ciò di cui non si può parlare è necessario tacere», e penso che nei giorni successivi all’attentato al giornale satirico francese egli avrebbe ribadito con forza il suo concetto.
Qual è il motivo che ci porta a strumentalizzare così facilmente una strage, a condividerne i video come pazzi sui social, ad alzare anche noi la voce al grido «Je suis Charlie» seguito da un molto meno pacifico «morte ai musulmani»? Perché semplicemente non esprimiamo il nostro cordoglio in silenzio, magari spegnendo televisori, computer e cellulari, meditando singolarmente su quanto accaduto?
Ma com’è che ora “nous sommes tous Charlie”?
Fino a qualche giorno prima, l’irriverenza della redazione aveva dato fastidio a chiunque: destra, sinistra, cattolici, ebrei e musulmani. Certo, a nessuno era venuto in mente di uccidere qualcuno, ma maledizioni, offese e minacce non erano certo mancate – basta pensare alle molotov lanciate contro la sede nel 2011.
Che dire dei giornalisti – e non solo – che di colpo si scoprono amanti della satira?
Che dire della frase che a partire dal 7 gennaio ha avuto tanta fortuna in rete: «non tutti i musulmani sono terroristi, eppure tutti i terroristi sono musulmani»?
Che dire di Mario Borghezio, che ha passeggiato per Milano attaccando copertine di Charlie Hebdo su ogni vetrina di Kebab?

Ma ci siamo chiesti cosa ne pensano loro – i musulmani – del gesto estremo compiuto da queste tre persone (sempre che solo di tre persone si tratti)?
Ecco degli estratti:
Dalil Boubakeur, Presidente del Consiglio Francese per il Culto Musulmano: «Ci inchiniamo davanti a tutte le vittime di questo dramma orribile».
Nabil al-Arabi, Segretario della Lega Araba: «l’Islam è contro ogni violenza».
Mohammed Mraizika, Segretario generale dell’Unione delle moschee di Francia: «Nulla, assolutamente nulla, può giustificare o scusare questo crimine».
A loro si aggiungono Tareq Oubrou, Rettore della moschea di Bordeaux, e l’Imam della stessa città, che invitano i musulmani tutti a partecipare alle manifestazioni per «esprimere il loro disgusto».

Tirando le somme, è fin troppo facile cadere in semplicismi o anche solo farsi trascinare dalla corrente, ma in questi momenti più che mai è necessario riflettere in modo “filosofico” (che non a caso in queste situazioni può essere sinonimo di “ragionevole”) ed analizzare in modo razionale la questione.
Non si può negare che il tragico atto sia stato “negativo” – almeno in quanto è stata fatta e subita violenza in modo oggettivo-razionalista, uscendo quindi da un’ottica etico-moralista. Ora, l’indagine filosofica di L.V. Tarca (ad esempio nell’opera “La filosofia come stile di vita”) ci insegna che negare una negazione significa riprodurla, dato che in ogni caso nego qualcosa, anche se quel qualcosa si tratta a sua volta di una negazione.
Nell’atto pratico, proporre una “soluzione” che sia in qualche modo “negativa”, almeno nella misura in cui si contrappone/opera violenza, non può essere una soluzione.
Testimonianza di ciò possono essere le reazioni del mondo arabo di fronte alla pubblicazione del nuovo numero di Charlie Hebdo, volutamente provocatorio. Come afferma l’Huffington Post: «Dal Pakistan all’Algeria, fino alla Giordania e alla Siria è un venerdì della collera quello che si è celebrato nel mondo arabo. Sotto accusa sono le nuove vignette su Maometto pubblicate dal settimanale satirico francese Charlie Hebdo».
Le manifestazioni più violente si sono registrate in Pakistan, dove la polizia ha dovuto intervenire con i lacrimogeni; in Iran, a Gaza e soprattutto in Niger, dove sono state incendiate quarantacinque chiese, cinque hotels, trentasei ristoranti, un orfanotrofio, una scuola e un centro di cultura francese. (Fonte: Internazionale).

Come si può, quindi, rispondere in maniera positiva – nel senso del “puro positivo”, cioè quell’azione che differisce dalla negazione senza però riprodurla e quindi seguendo la teoria della “pura differenza? Un suggerimento di risposta ci può essere dato – paradossalmente? – da Izzed Elzir, Presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche italiane (UCOII) e Imam di Firenze: «il mio invito, adesso, di fronte a questo estremismo ed a questo terrorismo, è di rafforzare le energie per aumentare il dialogo ed il confronto».

  1. Severino, nella sua opera “Capitalismo senza futuro”, e gli articoli presenti del testo “Primum Philosophari”, a cura di L. V. Tarca e Laura Candiotto, ci mostrano come un’azione che voglia essere coerente con se medesima non può prescindere dall’analisi di mezzo e scopo: essi devono coincidere. Non si può ottenere un certo risultato se le nostre azioni si discostano da esso. D’altronde ciò ci era già stato mostrato ed insegnato da Gandhi: per ottenere la non-violenza è necessario sì predicarla ma soprattutto metterla in pratica.
    Ecco quindi il puro positivo: cercare il dialogo con chi ci ha “violentato”, perché altrimenti riprodurremo l’azione che abbiamo subito: combattendo la guerra faccio comunque guerra, combattendo un violento opero comunque violentemente, combattendo un ingiusto riproduco l’ingiustizia.

«L’omofobia, la xenofobia ed il razzismo NON sono satira. Anzitutto perché la satira ha come bersaglio il potere e, in generale, i carnefici, non le vittime. In secondo luogo, gay, neri, uomini con gli occhi a mandorla ecc… si nasce. Non è qualcosa che puoi scegliere. Credere o meno in una divinità, invece, è una scelta. In terzo luogo, il razzismo in Italia è reato (legge 654/1975) e la legge è il limite della libertà di espressione».

Questa la risposta di un navigatore della rete alla prospettiva di un ideale giornale satirico “Salvini League” dai toni xenofobi, omofobi ecc ipotizzato da un altro marinaio in risposta all’articolo apparso su Wired il 09/01/2015 intitolato “L’Italia senza satira e la strage di Charlie Hebdo” redatto da Marco Rizzo.

Ho evidenziato subito quale sia secondo me uno dei punti fondamentali dell’enorme minestrone di idee che ha iniziato la sua lenta cottura a seguito del terribile fatto del 7 Gennaio.
La legge è il limite della libertà di espressione, o, modificando leggermente la formula: il potere è il limite della libertà di espressione. Sembra una cosa da nulla – quasi scontata oserei dire – ma invece a mio modo di vedere è uno dei nodi nevralgici della questione.
Alla domanda: «Ti è consentito proporre teorie ed analizzare cause e conseguenze di ogni fatto?»; tu cosa rispondi?

Sì, ci verrebbe da dire, l’Occidente si vanta da secoli della libertà che scorre nelle sue vene, quasi traesse il suo sostentamento dalle idee delle persone e non dai finanziamenti alle guerre che gli fanno comodo o dai massacri di massa in nome di un altro liquido di colore nero ben più proteico della parola “libertà”.

Nei fatti la risposta è un secco e categorico «NO».

Ormai non ci è più nemmeno consentito chi/cosa piangere. Il filtro delle notizie non è in mano nostra, ma ci precede. E così è naturale che “siamo tutti Charlie” mentre in Nigeria, il giorno seguente all’attacco al giornale satirico francese, Boko Haram ed i suoi soldati compivano la loro più grande strage senza che la cosa ci toccasse minimamente; e qui si temono duemila vittime: donne, uomini e bambini che non avevano offeso nessun profeta.
Un esempio di come la libertà di pensiero abbia vita breve è il semplice titolo di un articolo apparso su “Le Figaro” – giornale conservatore parigino – in segiuto alla strage: «La théorie du complot est l’arme politique du faible », cioè: «la teoria del complotto è l’arma politica del debole». Non voglio entrare nel merito della questione complottista, ma, alla notizia che ciò che ha permesso l’identificazione e quindi successivamente la cattura (in questo caso purtroppo l’uccisione) dei presunti attentatori è stata la perdita delle carte di identità da parte di questi ultimi nella macchina con la quale stavano fuggendo, a me qualche dubbio sulla “versione ufficiale” era sorto.
(Per un approfondimento psicologico sulla questione può essere interessante l’analisi di Nadine Eggimann, psicologa dell’Accademia militare del Politecnico federale di Zurigo, anche se a mio modo di vedere è alquanto semplicistico).

Un altro bell’esempio del lavaggio di cervello mediatico è quello messo alla luce dal progetto “Tra le righe” di Venezia: «Il giorno dopo l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo, i nostri giornali ci offrono una carrellata di eloquenti prime pagine. Nulla di nuovo. Come era prevedibile, questa tragica vicenda ha portato anche i media a scadere in una facile generalizzazione. “Macellai islamici”, “Strage islamica contro la libertà”, queste sono alcune delle prime pagine che ci propone la stampa nazionale».

Cos’è, quindi, che abbiamo dimenticato?
Ci siamo dimenticati di indignarci. Non tanto per il fatto in sé, sfido chiunque a non condannare l’attentato, quanto piuttosto per come abbiamo reagito.
Il pensiero e la ragione sono i nostri più grandi alleati dato che anche in catene siamo – potenzialmente – massimamente liberi. Nostro diritto, e dovere, è quello di ragionare, di reagire agli stimoli in maniera ponderata, di non farci dominare dai sentimenti o da ciò che viene espresso dagli altri.

Massimiliano Mattiuzzo

[immagine tratta da Google Immagini]