Libri selezionati per voi: maggio 2018!

Puntuali come la primavera che ha dato nuova vita alle nostre campagne, ecco le nostre proposte di lettura per il mese di maggio. Se il caldo inaspettato dell’ultimo periodo vi fa fremere per la gita della domenica o addirittura per le vacanze estive, noi vi consigliamo di darvi alla lettura perché con una storia nei pensieri l’attesa sarà indubbiamente più lieta!

 

ROMANZI CONTEMPORANEI

chiave-di-sophia-auto-da-feAuto da fé – Elias Canetti

Si tratta del primo ed unico romanzo mai scritto dal Premio Nobel per la Letteratura Canetti. Anno 1935. Bandito dai nazisti, venne riscoperto e apprezzato solo negli anni Sessanta. Nelle due parti in cui si compone troviamo il sinologo Peter Kien che vive in una condizione di isolamento e di apparente sicurezza con miriadi di libri a formare una vera e propria fortezza. Ha così in odio la vita che solo la convinzione di essere un “carattere” lo sostiene. Ma un “carattere” è anche la sua governante Therese, la cui bassezza è rigorosa. Nell’essere agli antipodi, sono accumunati dal rifiuto di ammettere l’esistenza di qualcos’altro nel mondo.

chiave di sophia il-mondo-nuovo-ritorno-al-mondo-nuovo-libro-79433Il mondo nuovo – Aldous Huxley

Uno dei più famosi romanzi distopici esistenti, il libro più bello ed inquietante uscito dalla penna di Huxley che anticipa temi quali l’eugenetica, lo sviluppo delle tecnologie di riproduzione ed il controllo mentale. Ambientato nell’anno di Ford 632, corrispondente all’anno 2540 della nostra era, il romanzo descrive una società strettamente classista il cui motto è “Comunità, Identità, Stabilità” e dove la vita è un’esistenza in serie. Una società tecnologicamente avanzata, priva di povertà e guerra, che ha però sacrificato in un’ironia negativa ciò che rende umano l’umano.

 

UN CLASSICO

chiave-di-sophia-svevo-senilitaSenilità – Italo Svevo (1898)

La figura dell’inetto, sempre al centro del linguaggio sveviano, ritorna in un classico poco conosciuto che, all’epoca della pubblicazione, suscitò non pochi malumori. Emilio Brentani, alter-ego di Zeno Cosini,  è un giovane impiegato di una compagnia assicurativa, incapace di vivere un’esistenza piena, adagiato su una quotidianità mediocre e grigia. La scoperta di una relazione avventurosa sembra poter salvare il “giovane impiegatuccio”, ma ben presto si scopre vecchio dentro, privato dell’energia vitale e della forza di sperimentare il vero amore. Un romanzo dall’acuta caratterizzazione psicologica, focalizzato sul protagonista e sulle menzogne che egli si crea per non dover affrontare le difficoltà del reale. Consigliato a tutti coloro che amano lo sguardo introspettivo, ricco di auto-critica e auto-ironia, nei confronti di un presente e di una condizione a volte poco soddisfacente.

 

SAGGISTICA

chiave-di-sophia-sono-puri-i-loro-sogni_bussolaSono puri i loro sogni – Matteo Bussola

Una lettera semplice e diretta scritta da Matteo Bussola, padre di tre bambine, diretta agli altri suoi “colleghi” genitori. La sua testimonianza ed esperienza personale fanno luce sui cambiamenti e i disagi tipici di questo tempo per quanto riguarda il sistema educativo e chi ne è coinvolto. Alunni, insegnanti, genitori. Una triade che fin dal primo giorno di scuola porta una buona dose di difficoltà da affrontare con una consapevolezza nuova e con uno spirito da costruire secondo valori e priorità da riscoprire.

 

JUNIOR

chiave-di-sophia-da-mary-taglio-e-piegaDa Mary taglio e piega – Eoin Colfer

Il rapporto delle ragazze con i loro capelli non è sempre roseo. La povera Mary ce li ha un po’ ricci, un po’ lisci, un po’ neri, un po’ marroni. Così decide di prendere provvedimenti, trasformandosi nella parrucchiera di se stessa. Vi lascio immaginare i malanni che farà! Se siete curiosi non perdetevi questo libricino adatto tanto alle femminucce quanto ai maschietti, di sei e sette anni circa. Il piccolo formato del libro lo rende ideale per essere tenuto in mano proprio dai lettori più piccoli. Inoltre, questo libro è un testo ad alta leggibilità: lo possono leggere tutti i bambini, anche quelli che con la lettura hanno qualche difficoltà!

 

Sonia Cominassi, Anna Tieppo, Alvise Gasparini, Federica Bonisiol

 

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Il coraggio di seguire se stessi: “Va’ dove ti porta il cuore”

«Ogni volta in cui, crescendo, avrai  voglia di cambiare le cose sbagliate in cose giuste, ricordati che la prima rivoluzione da fare è quella dentro se stessi, la prima e la più importante. […] E quando poi davanti a te si apriranno tante strade e non saprai quale prendere, non imboccarne una a caso, ma siediti e aspetta. […] Stai ferma, in silenzio e ascolta il tuo cuore, quando poi ti parla, alzati e va’ dove lui ti porta»1.

Così l’anziana signora, protagonista del romanzo di Susanna Tamaro, scrive a conclusione della lunga lettera dedicata alla nipote lontana, una lettera che si fa portavoce di tutto il “non-detto” tra le due protagoniste, scritta con la profondità di chi ha vissuto intensamente, sopportando i pregiudizi e le convenzioni di un’epoca che mostra la propria rigida limitatezza. La nonna, a cui l’autrice dà voce, rende il lungo monologo una sorta di autobiografica descrizione, nella quale si mostra per quello che è, aprendo il proprio cuore alla giovane, rimanendo inerte agli occhi di chi ama, con il coraggio di chi si difende con la sola forza della sincerità del sentimento. Discussioni, litigi, rimorsi lasciano spazio alla più autentica confessione, dove le barriere tra due generazioni vengono superate dall’ immortalità del legame d’amore.

Il romanzo ruota dunque attorno al conflitto tra ragione e cuore, quel cuore tanto disprezzato e relegato a sinonimo di debolezza, deriso dai più perché invocato solo dagli uomini fragili e che la nonna erge invece ad ultimo baluardo di una vita vera. «Il cuore fa ormai pensare a qualcosa di ingenuo, dozzinale. […] è un termine che non usa più nessuno. […] Chi bada al cuore è uno stolto. E se le cose invece non fossero così, se fosse vero proprio il contrario?»2.

Il dubbio viene insinuato dall’anziana ormai al termine della propria esistenza, suscitando una serie di riflessioni correlate che portano a leggere i diversi personaggi, così come le diverse situazioni secondo il binomio ragione-sentimento.

Tale duplicità, caratterizzante l’uomo fin dalle sue più ancestrali origini, a ben vedere ha segnato la storia della letteratura e della filosofia: Catullo cercava di frenare i propri sentimenti non corrisposti sopportando con razionalità e «tenendo duro»3, Jane Austen parlava di “Sense and Sensibility”, Freud dell’eterna contesa tra pulsioni inconsce e la necessità di razionalizzarle, Nietzche di apollineo e dionisiaco, i due principi opposti: quello regolatore e quello caotico.

Si tratta dunque di due aspetti in eterno contrasto tra loro, talvolta integrati quali due facce della stessa medaglia, che in fondo costituiscono l’essenza di ognuno di noi. Quanto ci ascoltiamo in profondità e quanto invece ci lasciamo frenare dalla ragione dominatrice? Quanto riusciamo ad essere in intimo contatto con noi stessi e con i nostri sentimenti? Quanto accettiamo le nostre profonde esigenze e quanto ci lasciamo condizionare dal prossimo?

Oggi, in una realtà che non lascia il tempo di pensare, che ci avvolge e travolge nella necessità del “fare”, abbiamo perso il tempo di ascoltare e ascoltarci, di seguire davvero quello che vogliamo, senza paura di suscitare riprovazione.

Oggi più che in altre epoche storiche abbiamo in un certo senso dimenticato che tutto ciò che serve è dentro di noi e, soltanto con l’umile accettazione della nostra persona possiamo davvero scegliere secondo le nostre propensioni.

«La rinuncia di sé conduce al disprezzo, dal disprezzo alla rabbia il passo è breve»4 dice la protagonista, osservando come rifiutare sé per compiacere chi ci sta di fronte, così come dimenticare la propria intimità, produce un effetto devastante, portando al disagio esistenziale, all’odio e alla rabbia verso se stessi e verso chi imputiamo come responsabile della nostra infelicità. Rifugiandoci tra le alte mura del razionale dimentichiamo spesso di guardare oltre le finestre di queste mura, di apprezzare i diversificati colori che si presentano ai nostri occhi, per abbracciare quelli che più si conformano a noi.

Il coraggio, in controtendenza all’idea comune, sta nell’accettarsi, questo lascia trapelare la protagonista, non nel dimostrare “carattere”, laddove quest’ultimo diventa sinonimo di rigidità, di un pensiero totalitario che offusca la comprensione per seguire idee incontestabili e indiscutibili.

Un invito a non aver paura di se stessi, ad aver coraggio, un coraggio che si misura tutto in una intimità ritrovata, messaggio che dovrebbe essere accolto da tutti, nell’ordine di un’esistenza di comunione con il proprio io.

Anna Tieppo

NOTE
1. Susanna Tamaro, Va’ dove ti porta il cuore, Milano, Mondadori, 1994, p. 165.
2. Ivi, pp. 72-73
3. Catullo in Aa. Vv., Opera. L’età di Cesare, Varese, Paravia, 2003,  tomo 1b, p. 160.
4. Susanna Tamaro, Va’ dove ti porta il cuore, cit., p. 34.

[L’immagine, tratta da Google Immagini, raffigura un murales del popolare street artist Bansky]

 

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Libri selezionati per voi: giugno 2017!

Il mese di giugno regala a tutti noi un po’ di relax e di tranquillità in più: la fine della scuola, l’avvicinarsi delle ferie, le giornate che pian piano si allungano sempre più. Per molti sarà molto più facile ritagliarsi un po’ di tempo da trascorrere con un libro in mano e con gli occhi fissi sull’inchiostro nero delle sue pagine. Per noi è un piacere suggerirvi qualche testo da acquistare o prendere in prestito in biblioteca per farvi compagnia quando potrete stendervi sul divano, al parco o sotto l’ombrellone ma anche quando continuerete i vostri aller-retour in treno o metropolitana da perfetti pendolari. Non dimenticatevi di proporre qualche sana e divertente lettura anche ai vostri figli, nipoti o fratelli minori: la lunga pausa estiva è il periodo ideale per farli avvicinare al magico mondo dei libri!

Ecco a voi allora i nostri consigli di lettura per questo caldo e soleggiato mese, con la speranza che le nostre proposte riescano ad accontentare i gusti di tutti voi!

 

ROMANZI CONTEMPORANEI

novecento-la-chiave-di-sophia Novecento. Un monologo – Alessandro Baricco

Si narra che sul Virginian, un piroscafo che solcava l’oceano Atlantico nel periodo tra le due guerre, fosse nato qualcuno che non sarebbe mai sceso sulla terraferma. Un bambino che divenne un pianista così abile che, quando suonava, il pianoforte diventava un’estensione del suo corpo e della sua anima, riuscendo a creare musiche meravigliose e irripetibili per gli ospiti della nave. Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento il suo nome. Un nome pazzesco per un individuo dalla storia pazzesca.

amico-ritrovato-la-chiave-di-sophia L’amico ritrovato – Fred Uhlman

Come si costruisce un’amicizia? Quanto può durare? Cosa può spezzarla? Chi sono due buoni amici? Ognuna di queste domande è sottesa alla delicata storia raccontata da Uhlman che catapulta il lettore nella Germania dei primi anni Trenta, dove l’ideologia nazista si insinua nei rapporti umani rendendoli più fragili o minandoli nelle viscere. Questo vale anche per la particolare amicizia che si costruisce tra il taciturno e riservato Hans Schwarz e Konradin, conte di Hohenfels, di famiglia agiata e influente. Saranno proprio i diversi ideali e le diverse prospettive a separarli per molti anni.

 

UN CLASSICO

image_book-la-chiave-di-sophiaUltime lettere di Jacopo Ortis – Ugo Foscolo, 1802

Romanzo epistolare, unitario pur nell’inevitabile frammentarietà del genere, le Ultime lettere di Jacopo Ortis si configurano come un’appassionata confessione della vita del protagonista Jacopo, unico e indiscusso personaggio del racconto. Nella finzione romanzesca, Ortis scrive in prima persona profonde e intime lettere all’amico Lorenzo Alderani, rendendolo partecipe delle proprie giornate e degli eventi che lo toccano nel profondo. Scritto sapientemente, in una lingua dalla rara selezione lessicale, le Ultime lettere di Jacopo Ortis racchiudono i temi cari al Foscolo e alla poetica del romanticismo: dallo struggimento d’amore alla riflessione politica, dagli interrogativi esistenziali alle incertezze sul futuro, il tutto arricchito da insegnamenti universali sui consueti e perenni comportamenti del genere umano. Consigliato a tutti coloro che amano la buona lingua, il romanzo introduce il lettore in un mondo altro fatto di buone maniere, partecipazione politica, cultura e pensiero che induce inevitabilmente a riflettere su di noi e sul nostro presente.

 

SAGGISTICA

9781599869735-us-300Sulla Libertà (On Liberty)  John Stuart Mill

On Liberty di John Stuart Mill è un testo pubblicato nel 1689, il cui peso specifico ha segnato un momento ineludibile nel percorso della filosofia politica occidentale. A dispetto di quanto si potrebbe pensare guardando al titolo, questo testo non tratta della libertà di scelta o d’azione in senso generale (di cui Mill si occupa altrove) ma, più precisamente, della libertà civile e del rapporto che con quest’ultima ha il potere sovrano. Una delle preoccupazioni fondamentali di John Stuart Mill consiste nel focalizzare la necessità che il governo democratico abbia un limite: che la parte maggioritaria del popolo, che legittimamente esercita il potere, non possa sopraffare la minoranza. Qualora ciò accadesse, la libertà del singolo verrebbe violata dall’istituzione di una vera e propria ‘dittatura della maggioranza’. Per questa ragione il testo di John Stuart Mill è particolarmente consigliato a chi sia in cerca di una guida per orientarsi in un mondo che, fintamente plurale, tende a proporre una cultura appiattita e appiattente, totalitaria: guai a chi contraddica ai costumi e alle forme di vita maggiormente in voga o che osi criticare il marmoreo pensiero acriticamente qualunquista spacciato ai crocicchi di strade e aule scolastiche.

 

JUNIOR

6129243_346173-la-chiave-di-sophia Arrivano i Faccioni – Alessandro Gatti

Cercate una storia buffa e strampalata per divertirvi con la lettura? L’allegra famiglia Faccioni fa proprio per voi! Alle prese con il trasloco, genitori, bambini e nonni al seguito sono decisi a fare bella figura con i nuovi vicini di casa. Ma come potrete immaginare, i nostri protagonisti andranno incontro solo a imprevisti, pasticci e figuracce! Una storia veloce, adatta a tutti i bambini di 6 e 7 anni. Buon divertimento!

 

la chiave di sophia 9788807910210_quarta-jpg-600x800_q100_upscale Solo Flora – Stefania Bertola

Se avete voglia di una lettura carica di fantasia, questo libro può fare al caso vostro. Potrete scoprire il mondo dei DP (different people), abitato da fate, streghe, vampiri, gnomi, folletti. Ad essere catapultata nello strano paese di San Mirtillo, uno dei comuni DP presenti nel territorio italiano e pressoché sconosciuto ai NP (normal people) è la giovane protagonista Flora. All’età di 15 anni, in piena adolescenza, Flora non ha dubbi: il trasferimento in Australia della madre, biologa marina, non la riguarderà nemmeno per sogno. Per rimanere vicina al suo ragazzo, Flora preferirà il trasferimento a casa di Zia Limoncina, categoria “fata”, per la precisione. La nuova vita della ragazza sarà un miscuglio di spaesamento, timore per la propria incolumità, e inimmaginabili problemi di cuore. Una lettura leggera e veloce, consigliata per lo più alle ragazze, che sotto l’ombrellone ritroveranno nella surreale vicenda vissuta da Flora alcune domande che riempiono anche la loro adolescenza.

 

Giugno regala anche molti film in uscita nelle sale: trovate qui, come sempre, la nostra selezione.
Buona visione!

Sonia Cominassi, Anna Tieppo, Emanuele Lepore, Federica Bonisiol

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

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Il gioco del male – Angela Marsons

Nell’anno appena concluso il genere crime/thriller si è confermato tra quelli più letti in Italia. I romanzi che regalano brividi e tensione sembrano infatti aver conquistato un’ampia fetta di pubblico italiano. Il segreto credo vada ricercato nella capacità di questo genere di trasmettere emozioni forti, di stuzzicare l’intuito e l’intelletto del lettore, di presentarsi come un enigma da risolvere.

La serie che vede come protagonista la detective Kim Stone, nata dalla penna di Angela Marsons, si è rivelata in Inghilterra un vero caso editoriale. Passando per l’autopubblicazione e per il successo del passaparola, il primo libro dell’autrice − Urla nel silenzio, pubblicato in Italia da Newton Compton nel 2016 − è arrivato a vendere oltre un milione e mezzo di copie nel mondo e ad essere tradotto in diciassette Paesi. Si tratta di thriller con approfondimento psicologico, la cui protagonista si è fatta spazio nel cuore di tanti lettori, dimostrandosi un personaggio vincente e credibile. I thriller sono ambientati in Inghilterra, precisamente nella Black Country, la stessa regione di provenienza dell’autrice. In Urla nel silenzio, la zona è scossa da una serie di omicidi, collegati da un invisibile fil rouge. La detective, supportata dalla sua squadra investigativa, indaga per rintracciare il nesso che lega le vittime e per scoprire l’identità dell’assassino.
Le sue indagini la porteranno ben presto nel luogo in cui anni prima sorgeva un orfanotrofio. Un posto che avrà molto da raccontarle e dal quale emergeranno storie agghiaccianti.
La protagonista, Kim Stone, è una donna diretta, dura, testarda e poco incline al contatto umano, guida la sua squadra senza esitazioni, proprio come conduce sull’asfalto la sua Ninja nera.
Dietro un’apparenza di chiusura e distacco, nasconde un passato dolorosissimo, che rischia di sopraffarla con il suo pesante bagaglio. Bagaglio di dolore che nella seconda avventura, Il gioco del male, pubblicato ad ottobre dello scorso anno, si rivelerà un fardello quasi fatale per Kim, a dimostrazione che alcune questioni irrisolte con il passato sono come mostri pronti a divorarci. Basta che qualcuno riesca ad incidere la nostra corazza abbastanza a fondo da permetterne la fuoriuscita. E chi meglio di un pericoloso sociopatico avvezzo alla manipolazione della mente umana può farlo?

«Sebbene definire il “perché” fosse di capitale importanza nell’indagine su un crimine, per Kim non era mai stato il tassello più importante del puzzle. Era l’unico elemento che non riceveva alcun supporto dagli ausili scientifici. Stabilire il perché era il suo lavoro, ma comprenderlo era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. […]

Capire il perché di un’azione implicava la possibilità di empatia, comprensione e perfino perdono, per quanto il fatto commesso fosse orribile.

E, a giudicare dal suo passato, Kim non era una persona incline al perdono».

Andando a fondo nella psiche della protagonista, il lettore comprenderà lo spessore della sua personalità. Ciò che costituisce un ostacolo nel suo lavoro è anche quello che rende questa donna così speciale: le sue ferite, la sua infanzia in un quartiere degradato che non le ha impedito di diventare uno dei detective più validi e capaci, di sviluppare uno spiccato senso della giustizia, di sopravvivere al limbo di abiezione e sofferenza nel quale era stata condannata. Questo si cela dietro la maschera di freddezza e indifferenza dietro la quale la protagonista si trincera, e questa la base di profonda umanità che permette ai lettori di stabilire una sincera empatia con il personaggio.

Le tematiche affrontate sono forti: violenze, maltrattamenti e abusi, spesso trasferiti nella sfera dell’infanzia violata, casi che vengono filtrati dallo sguardo di una donna che sa bene cosa significhi subire quel dolore che scava nei bambini come fa un chiodo arrugginito nel tronco morbido di una pianta ancora giovane, che crescerà mantenendo quella profonda traccia. Una cicatrice che priva per sempre della spensieratezza, ma che permette a Kim Stone di vedere oltre, di sentire nel profondo ciò che le vittime provano.

La narrazione scivola veloce, coinvolgente, arricchita da dettagli e substrati psicologici, esposti con uno stile scorrevole e validi incastri temporali. Il lettore non può che sentirsi coinvolto, trascinato nelle indagini e nei pensieri di Kim Stone, subendo il fascino di personaggi tridimensionali e delle dinamiche che si rivelano centrali: i comportamenti umani, i processi mentali, la psicologia delle vittime e degli aguzzini, che la Marsons è così brava a rendere reali.

Una serie consigliata a chi è alla ricerca di una lettura coinvolgente. Mentre per chi fosse già in attesa del terzo volume, nel sito dell’autrice è possibile trovare curiosità sulla sua professione e interessanti consigli letterari.

Stefania Mangiardi

[Immagini tratte da Google Immagini]

Intervista a Dacia Maraini: l’arte come fondamento della vita

Nata da una famiglia di scrittori, Dacia Maraini è destinata a seguire la medesima strada. Circondata da libri, la sua voglia di leggere e scrivere è cresciuta naturalmente: una nonna inglese, gran viaggiatrice, scriveva di viaggi; un padre, autore di libri sull’Estremo Oriente, scriveva sempre in sua presenza. Un’infanzia travagliata, contrassegnata dalla guerra, dai campi di concentramento giapponesi, dove la povertà e la fame sono alla base del vissuto quotidiano. La famiglia, una volta tornata dal Giappone si stabilisce in Sicilia, dove Dacia conosce per la prima volta la Mafia, sulle quali esprimerà le proprie impressioni e ricordi nel libro Bagheria.

Le sue prime righe però appaiono sul giornalino della scuola Garibaldi di Palermo, dove con le due sorelle frequenta il liceo, prima di trasferirsi a Roma dal padre. Da quel momento la sua scrittura ha un  crescendo. Nella capitale, l’autrice percorre i suoi primi passi nel mondo della letteratura italiana, pubblicando il primo romanzo La vacanza dove affronta il tema della gioventù in fase adolescenziale. Negli anni successivi seguono numerosi altri romanzi, in cui vengono trattati differenti temi. È doveroso citare i più fortunati: La nave per Kobe, in cui viene rievocata la sua esperienza nei campi di concentramento giapponesi; il sopracitato Bagheria, dove per la prima volta Dacia decide, dopo anni di rinvii, di parlare della sua Sicilia; e La lunga vita di Marianna Ucrìa, romanzo che vinse il Premio Campiello e che tratta delle problematiche di una giovane nobildonna sordomuta nella Sicilia del primo Settecento.

Inizialmente collaboratrice di diverse riviste, quali Paragone, Nuovi Argomenti e il Mondo, decide di fondare assieme ad altri giovani la rivista letteraria Tempo di Letteratura. I suoi interessi però sono vari, così la vediamo occuparsi anche di teatro, fondando assieme ad altri scrittori il Teatro del Porcospino, e successivamente il Teatro della Maddalena, gestito e diretto solamente da donne, all’interno della quale scriverà la maggior parte dei testi teatrali rappresentati. Il suo interesse per il mondo femminile è talmente forte che decide di occuparsi di questo tema anche nei suoi libri, inizia così la sua lotta contro il femminicidio, contro le violenze e i soprusi verso le donne. Con maestria e affetto parla di grandi donne quali Chiara d’Assisi, Marianna Ucrìa ed anche di Mme Bovary, del suo rapporto d’amore-odio con il suo creatore, Gustave Flaubert.

Nella Roma della sua generazione, c’era la straordinaria possibilità di conoscere artisti di qualsiasi genere semplicemente bevendo un caffè al bar. Le arti in questi luoghi si scambiavano informazioni e si creava una sorta di commistione tra loro. In tutto questo reciproco scambio, cosa può dire di aver acquisito che abbia contribuito a modellare i suoi lavori?

Fino agli anni 70 c’è stato un sentimento della comunità degli artisti, i quali si incontravano, come ho più volte raccontato, nei caffè e nei ristoranti per conoscersi meglio, per solidarizzare, per parlare del più e del meno, senza nessuno scopo preciso che non fosse la gioia di sentirsi parte di un mondo povero ma pieno di idee e di progetti. A me ha insegnato che fra artisti è bene solidarizzare, non farsi la guerra e soprattutto non scivolare nella competitività che sembra regnare nei nostri giorni.

Al giorno d’oggi le persone vengono valutate dalla società a seconda di quanto possiedono e dalle conoscenze che hanno. Secondo lei, si può ancora credere nel diritto alla povertà come forma di liberazione interiore ma anche dai bisogni materiali, difeso da Chiara d’Assisi? E come potrebbe essere trasposto questo principio nella ‘modernità’?

La povertà è una parola ambigua, per molti significa miseria, per altri mancanza di benessere. Più che di povertà, parlerei di sobrietà, ovvero accontentarsi di quello che serve senza cercare il sovrappiù, senza pensare che la ricchezza dia felicità e serenità. Imitare Santa Chiara è impossibile. La sua era una povertà voluta fortemente, era un sacrificio severo, al limite dell’eroismo. Come ho detto, mi fermerei alla sobrietà e alla misura.

Il rapporto che aveva Flaubert con la sua Mme Bovary l’ha colpita talmente da portarla a scrivere un libro al riguardo. Egli insegue quel suo personaggio, tanto da identificarvisi e affermare «Mme Bovary c’est moi», ma ad un certo punto si accorge di essersi troppo immedesimato e ne prende le distanze con rabbia. Le è mai capitato di identificarsi in modo pericoloso ad uno dei suoi personaggi?

Sinceramente no. Mi sono spesso identificata con i miei personaggi, ma non me ne sono mai pentita. Il fatto è che Flaubert, con tutta la sua genialità, era prigioniero di una forma di misoginia che lo portava a disprezzare il personaggio che aveva troppo amato.

Quando creò il teatro delle donne, diede la possibilità a chi non aveva voce di farsi sentire. La parte creativa del Teatro della Maddalena venne appunto assegnata principalmente a donne. Da poche settimane si è conclusa la 73esima edizione del cinema di Venezia che ha ospitato tre registe italiane. Se pensa al presente, si può dire che le donne abbiano più spazio nel mondo teatrale e cinematografico, che non comprenda necessariamente la recitazione?

Di attrici ce ne sono sempre state. Quello che mancava quando abbiamo fondato la Maddalena era la presenza di drammaturghe e di registe. Allora esisteva solo Franca Valeri che scriveva per il teatro, ma non veniva presa sul serio, la consideravano una attrice comica e basta, mentre oggi le si riconosce anche un grande talento di autrice. Noi abbiamo fatto un teatro in cui si dava spazio alle donne perché si esprimessero in prima persona come registe e come drammaturghe. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Tante registe sono nate e cresciute nel mondo del cinema e del teatro. Non so quanto abbia contribuito il teatro della Maddalena alla moltiplicazione delle donne nel mondo dello spettacolo, ma certo qualcosa ha fatto in questo senso.

Suo padre, in Giappone, per dimostrare il suo valore si tagliò un dito e lo gettò in faccia agli aguzzini, riuscendo in tal modo ad avere una prigionia meno crudele per lei e la famiglia. Quale può essere considerato il suo gesto estremo? Quel momento in cui decise di prendere in mano la sua vita e di essere ciò che voleva, superando gli orrori della sua infanzia?

Mio padre conosceva molto bene la storia e la cultura giapponese tradizionale e questo gli ha permesso di agire entrando in profondità nella mentalità dei poliziotti guardiani del campo di concentramento. Il taglio del dito, chiamato yubikiri, appartiene alla tradizione samurai e crea nel nemico una obbligazione e inoltre è un atto di coraggio che impone al nemico un certo rispetto. Non a caso i poliziotti che non avevano mai risposto alla richiesta di più cibo per le bambine (tre figlie di sette, cinque e due anni), dopo lo yubikiri ci hanno portato una capretta che faceva due o trecento grammi di latte al giorno. Quel latte ci ha salvato la vita.

Lei è nata in una famiglia di scrittori, dunque prima di tutto lettori. In un’intervista affermò che ha imparato a scrivere proprio perché aveva letto molto: come mai le due cose sono così legate? Perché c’è questo rapporto indissolubile tra le due, che porta una persona a non poter scrivere se prima non è stato lettore?

In tutte le arti è così. Non basta il talento ma ci vuole conoscenza e preparazione. Pensi alla musica: nessuno penserebbe che, dotato di una buona voce ed essendo intonato, potrebbe andare a cantare l’Aida sul palcoscenico. Con la letteratura nasce l’equivoco di chi pensa: io parlo e quindi scrivo. Senza capire che come nelle altre arti, fra il parlare e lo scrivere c’è una grande differenza. Il talento è un fatto naturale, l’arte, come dice la parola stessa, è un artificio ed ha bisogno di conoscenza e preparazione.

Noi riteniamo che la filosofia sia la spinta, il motore di ogni nostra azione e quindi di ogni professione, essendo riflessione e ricerca di senso. Nel suo mestiere ritiene che la filosofia possa avere un ruolo importante?

Nel senso che dice lei, ovvero la filosofia intesa come motore di “ogni riflessione e ricerca di senso”, certo che è importante per la scrittura.  Ma direi che è qualcosa di più della pura filosofia, addirittura un modo di pensare, di riflettere e di interpretare la realtà che comprende tutta la cultura di un popolo.

 

Coscienti del fatto che non si possa riassumere l’essenza di un’autrice di così grande talento e forza interiore in queste poche righe, si può solo arguire che nella vita, sono proprio le esperienze più dolorose a plasmarci e farci diventare le persone che siamo. Dacia Maraini dall’esperienza del campo di concentramento non si è lasciata affondare come una nave nella tempesta, bensì il suo carattere si è temprato e in un certo modo rafforzato. Forte di questo doloroso evento e con un bagaglio culturale letterario degno di nota, ha saputo ricavarsi uno spazio nel mondo come pochi sarebbero stati in grado. Parte importante nella scena artistico-culturale italiana degli anni ’30, ha portato avanti con fermezza, agendo in prima persona, le sue idee per poter migliorare la condizione della donna nel suo paese, esprimendosi attraverso la poesia, la saggistica, il teatro e la narrativa. Un’autrice che ha un rapporto speciale con i suoi personaggi, che passano nella sua vita, alle volte congedandosi, altre volte soffermandosi. Sono proprio i personaggi che le fanno compagnia «prendendo un the», come sostenuto da lei stessa in un’intervista passata, che sono degni di essere raccontati, che chiedono in prima persona che la loro storia venga scritta. Grazie alle sue riflessioni possiamo concludere con l’idea che sia fondamentale la lettura alla base della scrittura, poiché chi legge diventa a sua volta scrittore, identificandosi nella storia e personalizzandola con il proprio vissuto. Ma soprattutto che la scrittura sia importante poiché, dato che il pensiero di per sé si dissolve, è importante poterlo fissare, poterlo divulgare.

Laura Cogo

Laura Cogo. Classe 1991, di origine padovana, dopo aver studiato lingue al liceo prosegue gli studi linguistici conseguendo la laurea triennale in Lingue, Letterature e Culture Moderne in terra natia. Segue poi il suo cuore iscrivendosi alla magistrale in Editoria e Giornalismo a Verona, concentrandosi sul curriculum editoriale, sperando di trovare il suo posto in mezzo ai libri. Cassiera e grafica a tempo perso, è inguaribilmente ossessionata dalla cucina, dai libri, dai cervi e da un bel bicchiere di vino.

[La fotografia-ritratto dell’autrice è realizzata da Giuseppe Moretti]

Nota: Questa intervista ci è stata rilasciata dall’autore in occasione di Pordenonelegge.

“Non buttiamoci giù”, di Nick Hornby

Se posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo? Certo che posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo. Cavolo, non sono mica deficiente. Posso spiegarlo perché non è un fatto inspiegabile: è stata una scelta logica, la conseguenza di un pensiero fatto e finito. E neanche di un pensiero troppo serio.

Cosa ci fanno quattro persone di età, estrazione sociale, stile di vita completamente differenti, sul tetto di un palazzo di Londra nella notte di Capodanno? Non si conoscono, non sanno niente l’uno dell’altro, eppure sono uniti da un intento comune: buttarsi di sotto. Ma quella notte i loro piani verranno stravolti e, inaspettatamente, proprio a partire da quel momento si cementerà una stramba alleanza.

Partendo da questo incipit originale, Hornby ci conduce alla scoperta delle storie personali dei quattro curiosi personaggi e delle circostanze che li hanno condotti fin lassù.
I nostri protagonisti non potrebbero essere più diversi: Martin, noto conduttore televisivo, ha perso il lavoro e la stima della sua famiglia dopo l’avventura di una sera con una ragazza che credeva maggiorenne; Maureen, timorosa e devota, ha un figlio disabile da mantenere e sostenere; Jesse, trasgressiva figlia di un politico rispettabile, vede nel suicidio un estremo gesto di ribellione; infine JJ, giovane musicista disilluso, che racconta di essere affetto da una grave malattia.

Ti ripetono tutta la vita che dopo la morte andrai in un posto meraviglioso. E l’unico gesto che puoi fare per arrivarci un po’ prima ti impedisce di andarci… Oh, capisco che è un po’ come non voler fare la coda. Ma se qualcuno salta la coda in posta, gli altri, gli altri borbottano. A volte protestano: “Scusi, sa, c’ero prima io!”. Non dicono: “Brucerai tra le fiamme dell’inferno per l’eternità”. Sarebbe un pochino esagerato!

Non buttiamoci giù, libro da quale nel 2014 è stato tratto un adattamento cinematografico, è un romanzo esilarante che tratta tematiche attuali e complesse con un umorismo tagliante che lascia spazio anche ai sentimenti.
La sua forza risiede sicuramente nei personaggi, ben delineati e caratterizzati anche dal modo di esprimersi che l’autore rende servendosi di un linguaggio cucito addosso a ciascuno, colloquiale, in alcuni casi volutamente ‘sgrammaticato’.
Nonostante la tematica centrale rimanga quella del suicidio, Hornby riesce ad evitare i toni cupi e a mantenere la narrazione vivace, servendosi anche di una certa dose di humor inglese.
Ho apprezzato molto il messaggio di fondo del romanzo, l’idea che delle singole, disperate, solitudini possano unirsi dando vita a qualcosa di diverso. Una rete di sostegno improvvisata, raffazzonata, rappezzata, e che pure sembra funzionale allo scopo. Perché a volte nella vita ciò che più conta è riuscire a cambiare punto di vista, ad accorgersi che non si è i soli a soffrire, a prendere coscienza di quante situazioni simili alla nostra ci siano. Ostacoli apparentemente insormontabili che affrontati attraverso la reciprocità, sviscerati, confrontati e perfino derisi, possono improvvisamente ridimensionarsi, guidando il nostro sguardo verso una nuova prospettiva.
Un libro che mi sento assolutamente di consigliare: vitale, divertente, commovente e ricco di spunti di riflessione.
Perché è più facile buttarsi nel vuoto che accettare le conseguenze di quello che hai fatto?

Stefania Mangiardi

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Umiltà e successo vanno d’accordo? Marc Levy ve lo dimostrerà!

Tra i moltissimi ospiti dell’edizione 2016 del festival Pordenonelegge, c’era Marc Levy, l’autore francese più venduto al mondo. L’incontro con i lettori, in occasione della presentazione dell’ultimo romanzo tradotto in italiano, Lei & Lui, ha avuto un’ottima partecipazione; il pubblico, come si potrebbe immaginare, comprendeva per la sua quasi totalità donne e ragazze, soltanto qua e là si intravedeva il volto di qualche uomo, probabilmente nel ruolo di accompagnatore di moglie o compagna.

Ciò che mi ha colpito maggiormente è il fatto che la sobria e composta location del Convento di San Francesco ha rispecchiato in maniera esemplare l’immagine che Marc Levy ha saputo dare di sé, tanto durante l’incontro, quanto dimostrandoci la sua disponibilità a rispondere ad alcune nostre domande. Marc Levy è un autentico autore di best seller: tutti i suoi romanzi riscuotono un così grande successo che il mediatore dell’incontro, Filippo La Porta, lo “accusa” di conoscere la ricetta del successo editoriale! I romanzi di Levy sono etichettabili come delle commedie sentimentali, tra le pagine delle quali spiccano i temi dell’amore, dell’amicizia, della vita, dell’ottimismo. Con quello che La Porta ha definito “Levy’s touch”, uno stile leggero e appassionato, Levy è in grado di raggiungere per lo più il lettore comune, il lettore che cerca un attimo di diletto, il lettore spensierato, ma non per questo meno serio.

Marc Levy è l’autore dei grandi numeri, certo, ma non manca di ricordare quanto lavoro ci sia dietro ad un libro. Impegno, ricerca, osservazione, capacità di dare spazio alla propria creatività, e soprattutto, umiltà. A sua detta è necessario rimanere con i piedi per terra, guardare a ciò che si fa, e non a se stessi, dedicarsi al proprio lavoro con spontaneità ed autenticità, e non con la volontà di pianificare il successo; è soltanto in questo modo, infatti, che la scrittura si manterrà terreno di libertà”.

Ma ora facciamo spazio alla nostra piccola intervista per voi lettori.

Durante l’incontro ha sottolineato più volte l’importanza dell’umiltà. Per cominciare vorrei chiederle: il fatto di avere svolto altre professioni in passato l’ha aiutata a conservare quest’importante qualità?

Indubbiamente il fatto di poter incontrare persone di orizzonti diversi permette di arricchirsi e di sviluppare la capacità di relativizzare. D’altronde anche il più grande attore del mondo risulta impotente di fronte all’infermiera che lo cura quando è ammalato. Quando si ha la fortuna di entrare a contatto con persone che svolgono mestieri ammirabili, si è a nostra volta più umili.

Scrivere è mai stato un sogno per lei?

Certo. È sempre stato un sogno, fin da quando ero bambino, ma non pensavo fosse realizzabile. Ho scritto il mio primo manoscritto all’età di 17 anni; non era affatto ben riuscito così lo gettai. Ma anche a quell’età continuavo ad avere il sogno di diventare scrittore, perché già la lettura per me era un sogno.

Come trova le idee per i suoi romanzi?

Non ho mai saputo rispondere a questa domanda. Le idee vengono dalle cose della vita, osservando le varie situazioni che abbiamo di fronte. È il miracolo di questo mestiere! Come viene un’idea? A volte dalla lettura di un articolo, a volte dal fatto che si è stati testimoni di una situazione, a volte semplicemente osservando qualcuno. Credo che il mestiere di scrittore richieda di sapere osservare ed ascoltare attentamente.

La nostra associazione e la nostra rivista trattano di filosofia. Quello che ha appena detto mi ha fatto pensare agli elementi che letteratura e filosofia possono avere in comune, per esempio lo spirito d’osservazione. C’è qualche traccia di filosofia nel suo lavoro?

Credo che dirselo da soli sia abbastanza pretenzioso. Credo che la filosofia, nel suo splendore, sia fonte di domande più che di risposte. Quindi sarebbe terribilmente pretenzioso affermare «ciò che scrivo è filosofia». Piuttosto, potrei dire che è il lettore colui che può trovare nelle mie frasi un elemento filosofico.

La lettura può aiutarci a riflettere sulla quotidianità?

Sì, ma non solo la lettura. Anche il cinema, per esempio, grazie ai suoi personaggi, con quali ci si può identificare. Un’importante funzione della letteratura o del cinema è quella di donare voglia d’essere. Quando ero adolescente e mi ponevo delle domande riguardo la mia identità, traevo voglia di vivere, voglia di adottare alcuni loro valori, di seguire la loro strada, da alcuni personaggi cinematografici.

Federica Bonisiol

Qui per l’intervista in lingua originale.

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Amabili resti – Alice Sebold

«Questi erano gli amabili resti, cresciuti intorno alla mia assenza, i legami, a volte esili, a volte stretti a caro prezzo, ma spesso meravigliosi, nati dopo che me n’ero andata. E cominciai a vedere le cose in un modo che mi lasciava concepire il mondo senza di me».
Susie Salmon è una ragazzina di quattordici anni con le aspirazioni e i sogni propri della sua età. Ma la sua giovane vita è destinata ad essere calpestata, straziata e recisa da un mostro, un insospettabile mostro che vive a pochi passi da casa sua, celato da una maschera di perbenismo.
Un mostro che il lettore individuerà ben presto e ben presto inizierà a disprezzare e odiare.
A raccontare la storia è la ragazzina uccisa, la voce narrante appartiene infatti alla stessa Susie che ci parlerà da un ‘Cielo’ tutto suo. Si tratta quindi di una prospettiva insolita che smarrisce e conforta allo stesso tempo. Dall’alto, Susie, osserva la vita continuare senza di lei, partecipa al dolore della sua famiglia e assiste agli strazianti momenti successivi alla sua scomparsa. Ma la sua attenzione non si focalizza solo sui suoi familiari distrutti dal dolore. Susie osserva anche il suo assassino, la freddezza delle sue simulazioni, la ripugnanza celata dietro ai suoi intenti, sostenendo a distanza l’intuito del padre che forse ha percepito prima degli altri un retroscena poco chiaro dietro quell’uomo apparentemente educato e tranquillo.
Amabili resti è un libro che non lascia indifferenti, impossibile trattenere le lacrime e non avvertire una morsa allo stomaco durante la narrazione. È un libro che scuote, destabilizza, ferisce. Un effetto per me amplificato dall’essere genitore, dall’essere madre di una bambina che mi auguro di saper proteggere da un mondo che sa essere spietato ben oltre l’umana immaginazione.
«Dentro la palla di neve sulla scrivania di mio padre c’era un pinguino con una sciarpa a righe bianche e rosse. Quando ero piccola papà mi metteva seduta sulle sue ginocchia e prendeva in mano la palla di neve. La capovolgeva perché la neve si raccogliesse tutta in cima, poi con un colpo secco la ribaltava. E insieme guardavamo la neve che fioccava leggera intorno al pinguino. Il pinguino è tutto solo, pensavo, e mi angustiavo per lui.
Lo dicevo a papà e lui rispondeva: “Non ti preoccupare, Susie, sta da re. È prigioniero di un mondo perfetto”».
 
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Per alcuni lunghissimi istanti, quelli in cui Susie racconta della violenza subita, ho pensato di non farcela, di non riuscire a proseguire nella lettura. Il suo dolore è diventato il mio, l’orrore salendo dallo stomaco alla gola mi si è appiccicato addosso come una seconda pelle.
Eppure temi come la violenza, la morte precoce, il dolore per la perdita, vengono trattati con un tocco delicato, proprio perché filtrati dallo sguardo limpido e innocente di Susie.
Ed è sempre la piccola Susie ad impedire che il lettore venga inghiottito dalla rabbia e dal dolore, offrendogli qualcosa a cui aggrapparsi, offrendogli la speranza: l’amore è eterno ed è l’unico legame che non può essere spezzato.
Un’ancora di salvezza, ecco cosa offre l’autrice al lettore, quasi come se si sentisse in dovere di non caricarci di un fardello troppo pesante. Un’attenzione che accomuna molte persone che hanno subito violenza, e nella quale è forse possibile riconoscere il vissuto autobiografico dell’autrice.
La scrittura, semplice e lieve, rispecchia l’intento di mantenere dei toni dolci, tenui, senza permettere all’oscurità di prendere il sopravvento.
Struggenti le descrizioni dei familiari, dei genitori e dei fratelli di Susie, del modo di ognuno di reagire alla perdita. Queste, insieme ai flashback che la protagonista inserisce nel racconto, ci regalano uno spaccato di vita di una famiglia americana degli anni 70, una famiglia felice che vive in Pennsylvania quando la provincia americana è considerata un luogo sicuro, sereno, dove si respira ottimismo e positività.
Un libro toccante, con una protagonista che si impadronirà di un pezzetto del vostro cuore.
 

Stefania Mangiardi

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Elsa Morante, “Lo scialle andaluso”

Elsa Morante (1912-1985) ci appare come una scrittrice assoluta: fedele al bisogno di raccontare storie, capace di creare personaggi vividi e imprevedibili come la vita stessa, strenuamente dedita alla ricerca di un linguaggio duttile e screziato, lontano dalla banalità della comunicazione quotidiana eppure sempre limpido. Qualità che tutti i lettori riconoscono nei suoi quattro romanzi – tra i quali bisogna ricordare almeno L’isola di Arturo (1957) e La storia (1974) – ma che ritroviamo con tutta evidenza anche in un’opera meno conosciuta e frequentata come i racconti di Lo scialle andaluso (1963).

È un’opera composita, costruita selezionando alcuni titoli della raccolta d’esordio Il gioco segreto (1935) e aggiungendo alcuni racconti più recenti. In questo modo possiamo sondare una buona parte dell’evoluzione di questa autrice: dal breve Il ladro Lo scialle andaluso, copertina - La chiave di Sophiadei lumi, con una bambina che teme la punizione di Dio sul guardiano di un tempio ebraico che ruba l’olio delle lampade funerarie e sottrae quindi la luce ai morti (un tema vagamente kafkiano), al lungo racconto che dà il titolo alla raccolta e di cui parleremo alla fine.

Sono storie piene di bambini, tratteggiati senza nessuna condiscendenza, e anzi accettando con grande serietà il loro punto di vista sul mondo. Gli adulti, nel racconto Il gioco segreto, vivono in un antico palazzo ormai decaduto («era una casa patrizia in rovina, una volta pomposa, ora disfatta e squallida. La facciata carica di ornamenti, resa grigia dal tempo, mostrava i segni dello sfacelo. I putti librati a guardia della soglia erano corrosi e sudici»), ma ai loro tre bambini basta immaginare il gioco del teatro, paludarsi con una coperta sbrindellata che si trasforma in un manto di velluto tempestato di gioielli, perché le storie che recitano di nascosto prendano vita.

Anche alcuni personaggi adulti conservano uno spirito fanciullesco, come la candida e aerea Donna Amalia, incantata dai mille aspetti della realtà e capace di svegliare le sue domestiche perché contemplino con lei la luna: “Una luna come non s’è mai vista! Questa non è una luna, è un sole! Guardate l’aria! Questa non è un’aria, è una specchiera! sembra che ad affacciarsi su questa serata uno ci si debba specchiare il viso. Ah, Maria Santissima, madruzza mia dolce, che bellezza di luna! che se ne va per  il cielo, come una barchetta per il mare! ”.

I personaggi di Elsa Morante sono estremi, i loro amori sconfinano in cieche gelosie, in brame di possesso assoluto. Nel racconto La nonna una vecchia madre, dopo il matrimonio del figlio è incapace di accettare la donna che glielo ha portato via, e scompare nel nulla. Quando ritorna, alla coppia sono nati due gemelli, e racconta ai bambini incantevoli fiabe che li spingono a salire su una barca rincorrendo una farfalla; ma la barca si scioglie e i bambini scendono a precipizio per un fiume: «già, sulla verde linea della luce, i cavalli di vetro si impennavano incontro a loro e da quel galoppo irruppe fischiando un vento gelato, in cui gli uccelli dalle ali d’acqua si dibattevano. – È qui! – bisbigliarono i fratelli atterriti».

E in Lo scialle andaluso tutti questi temi sembrano fondersi insieme in un impasto di realismo, passioni, fantasie che appare come la cifra più evidente di questa scrittrice. La protagonista, Giuditta, ha lasciato tutto per seguire la passione per il teatro e il canto, e fa la ballerina nel teatro dell’opera. Il figlio maggiore, Andrea, è geloso di quella passione per il teatro che gli sottrae l’affetto per la madre, e come per punirla entra in seminario. Anni dopo il ragazzo ritrova la madre su un manifesto, e preso dalla nostalgia evade dal collegio per vederla sulla scena: talmente incantato da non capire che lei è ormai un’attrice scadente, presa in giro crudelmente dal pubblico. Ma la madre avvolge il ragazzo nel suo grande scialle andaluso e insieme se ne vanno. Solo in seguito Andrea capisce che lei lo ha fatto solo perché il teatro le ha voltato le spalle. E il ragazzo può solo immaginare il ruolo che è destinato a recitare: «Come sarà? Egli vorrebbe immaginare il futuro se stesso, e si compiace di prestare a questo Ignoto aspetti vittoriosi, abbaglianti, trionfi e disinvolture! Ma, per quanto la scacci, ritrova sempre là, come una statua, un’immagine, sempre la stessa, importuna: un triste, protervo Eroe avvolto in uno scialle andaluso».

Giuliano Galletti

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La sposa scomparsa – Rosa Teruzzi

Ci sarebbe voluta una bella libreria, si disse, con le sue file ordinate di romanzi che promettevano mondi più interessanti, fantasiosi e magici del nostro. Mondi in cui perfino dolori all’apparenza insensati, come la scomparsa di una figlia, rispondevano a un disegno, non necessariamente positivo, che spesso nella vita reale lei non riusciva a scorgere.

In una Milano poliedrica e sfaccettata, tre donne convivono in un vecchio casello ferroviario, trasformato in abitazione. Libera, quarantasei anni, trascorre molto tempo nel laboratorio adiacente alla casa, nel quale compone bouquet da sposa. Sua figlia, Vittoria, è una giovane agente di Polizia, introversa e determinata. E poi c’è nonna Iole, spirito ribelle e anticonformista che, raggiunte le settanta primavere, continua a predicare – e a praticare – l’amore libero.

In una piovosa giornata di luglio un’anziana donna, vestita di nero, bussa alla porta del casello. E’ lì per parlare a Vittoria, per convincerla a riaprire un caso ormai archiviato, quello riguardante sua figlia, una ragazza prossima alle nozze, scomparsa tanti anni prima. Vittoria, rigida e chiusa nelle sue convinzioni, sembra restia ad aiutare la donna. Ma Libera e Iole non hanno intenzione di restare con le mani in mano e si butteranno a capofitto nella ricerca della verità.

La sposa scomparsa è un giallo piacevole, ben scritto e bilanciato, dove le indagini e le storie delle protagoniste risultano equilibrate, ma soprattutto una storia di cui ho amato la caratterizzazione, dei luoghi e dei personaggi. Le tre donne, durante la lettura, sono diventate delle vicine, delle conoscenti e, infine, delle amiche.

Libera è il personaggio centrale della storia, quello che fa da anello di congiunzione e collante tra tutti gli altri. E’ una donna sensibile e riflessiva, una donna che ha sofferto, a cui la vita ha tolto molto. Il marito, agente di Polizia, è stato ucciso senza che il caso venisse mai risolto e lei ha dovuto ingoiare i dubbi insieme alla sofferenza. Il dolore ha finito per spegnerla e per creare intorno a lei una corazza invisibile, che le impedisce di lasciarsi andare, di continuare a vivere e ad amare.

Vittoria è una ragazza introversa, spigolosa, brusca e rigida nelle sue convinzioni. La perdita prematura del padre ha condizionato tutta la sua esistenza, spingendola ad indossare quella stessa divisa e alimentando la sua rabbia verso il mondo. Iole, con la sua indole leggera, briosa e fanciullesca, fa sicuramente da controparte alle due donne. Non a caso, è il personaggio che ho più amato, quello che mi ha strappato più sorrisi, declinando la terza età in chiave disinibita ed ironica.

Le tre donne cercheranno di capire cosa è accaduto a Carmen Minardi, la ragazza scomparsa tanti anni prima, e per farlo dovranno infine collaborare, riavvicinandosi e annullando le incomprensioni. Sullo sfondo emerge una Milano inedita, quella dei piccoli quartieri, degli scorci che non ti aspetti e che riescono a stupirti.

Così come stupirà la verità, che spiazzerà il lettore con la sua irreversibile freddezza. L’epilogo lascia presagire un seguito che non vedo l’ora di scoprire, perché quello di Iole, Libera e Vittoria è solo un arrivederci.

Un giallo che si fa amare, con un tocco femminile che conferisce freschezza al romanzo e pone l’accento sulla variopinta sfera dei sentimenti.

Stefania Mangiardi

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