La sposa scomparsa – Rosa Teruzzi

Ci sarebbe voluta una bella libreria, si disse, con le sue file ordinate di romanzi che promettevano mondi più interessanti, fantasiosi e magici del nostro. Mondi in cui perfino dolori all’apparenza insensati, come la scomparsa di una figlia, rispondevano a un disegno, non necessariamente positivo, che spesso nella vita reale lei non riusciva a scorgere.

In una Milano poliedrica e sfaccettata, tre donne convivono in un vecchio casello ferroviario, trasformato in abitazione. Libera, quarantasei anni, trascorre molto tempo nel laboratorio adiacente alla casa, nel quale compone bouquet da sposa. Sua figlia, Vittoria, è una giovane agente di Polizia, introversa e determinata. E poi c’è nonna Iole, spirito ribelle e anticonformista che, raggiunte le settanta primavere, continua a predicare – e a praticare – l’amore libero.

In una piovosa giornata di luglio un’anziana donna, vestita di nero, bussa alla porta del casello. E’ lì per parlare a Vittoria, per convincerla a riaprire un caso ormai archiviato, quello riguardante sua figlia, una ragazza prossima alle nozze, scomparsa tanti anni prima. Vittoria, rigida e chiusa nelle sue convinzioni, sembra restia ad aiutare la donna. Ma Libera e Iole non hanno intenzione di restare con le mani in mano e si butteranno a capofitto nella ricerca della verità.

La sposa scomparsa è un giallo piacevole, ben scritto e bilanciato, dove le indagini e le storie delle protagoniste risultano equilibrate, ma soprattutto una storia di cui ho amato la caratterizzazione, dei luoghi e dei personaggi. Le tre donne, durante la lettura, sono diventate delle vicine, delle conoscenti e, infine, delle amiche.

Libera è il personaggio centrale della storia, quello che fa da anello di congiunzione e collante tra tutti gli altri. E’ una donna sensibile e riflessiva, una donna che ha sofferto, a cui la vita ha tolto molto. Il marito, agente di Polizia, è stato ucciso senza che il caso venisse mai risolto e lei ha dovuto ingoiare i dubbi insieme alla sofferenza. Il dolore ha finito per spegnerla e per creare intorno a lei una corazza invisibile, che le impedisce di lasciarsi andare, di continuare a vivere e ad amare.

Vittoria è una ragazza introversa, spigolosa, brusca e rigida nelle sue convinzioni. La perdita prematura del padre ha condizionato tutta la sua esistenza, spingendola ad indossare quella stessa divisa e alimentando la sua rabbia verso il mondo. Iole, con la sua indole leggera, briosa e fanciullesca, fa sicuramente da controparte alle due donne. Non a caso, è il personaggio che ho più amato, quello che mi ha strappato più sorrisi, declinando la terza età in chiave disinibita ed ironica.

Le tre donne cercheranno di capire cosa è accaduto a Carmen Minardi, la ragazza scomparsa tanti anni prima, e per farlo dovranno infine collaborare, riavvicinandosi e annullando le incomprensioni. Sullo sfondo emerge una Milano inedita, quella dei piccoli quartieri, degli scorci che non ti aspetti e che riescono a stupirti.

Così come stupirà la verità, che spiazzerà il lettore con la sua irreversibile freddezza. L’epilogo lascia presagire un seguito che non vedo l’ora di scoprire, perché quello di Iole, Libera e Vittoria è solo un arrivederci.

Un giallo che si fa amare, con un tocco femminile che conferisce freschezza al romanzo e pone l’accento sulla variopinta sfera dei sentimenti.

Stefania Mangiardi

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Lo strano viaggio di un oggetto smarrito – Salvatore Basile

Michele ha trent’anni e tutta la sua vita ruota intorno al lavoro presso la stazione di Miniera di Mare. Ogni sera, quando gli ultimi passeggeri abbandonano il convoglio, lui dà inizio al suo rituale. Sale sul treno, aspira gli odori che permeano le carrozze, pulisce accuratamente tutti i vagoni, lucida vetri e maniglie e, come un padre affettuoso, recupera gli oggetti dimenticati da viaggiatori distratti. Oggetti che ingombrano un’intera stanza della sua casa, situata all’interno della stazione stessa. Tutta la sua esistenza si dipana infatti in una manciata di metri, che Michele percorre e ripercorre giorno dopo giorno, intrappolato in una routine fatta di gesti sempre uguali. Unica compagnia dei suoi pasti insapore, gli oggetti smarriti dai viaggiatori, che cataloga con cura e attenzione. La vita che scorre oltre la stazione assume per Michele contorni minacciosi, perché se a sette anni tua madre varca l’uscio di casa con una valigia, promettendoti di tornare, e abbandonandoti per sempre, il mondo là fuori non deve sembrarti un posto bello in cui abitare. Da quel giorno, e ancor più dopo la morte del padre, Michele si è chiuso in se stesso, impedendo a chiunque di varcare la soglia del suo isolamento.large (8)

Ma il destino sembra avere altri programmi e un giorno accade l’imprevedibile. Qualcuno bussa alla sua porta per reclamare un oggetto smarrito. Elena, un uragano di entuasiamo e parole, farà irruzione nella sua casa come un arcobaleno su uno sfondo grigio, e niente sarà più come prima. Michele cercherà con tutte le sue forze di tenerla fuori dal suo cuore, perché permetterle di entrare sarebbe un’implicita autorizzazione a ferirlo. Poi un altro evento rimescolerà le carte. Una sera come tante, sullo stesso treno di sempre, Michele ritroverà un oggetto che mai avrebbe pensato di rivedere: il suo taccuino rosso, quello che la madre portò con sé andando via di casa vent’anni prima. La ferita che sembrava rimarginata riprenderà a pulsare con forza sotto la cicatrice. Michele si rimetterà sulle tracce della madre ed Elena lo accompagnerà, a distanza, in questo difficoltoso viaggio

Una storia che parla di abbandono, di  esperienze traumatiche che determinano il corso di un’esistenza. Un libro che è un po’ una metafora del dolore, degli effetti devastanti che la deflagrazione di una perdita può produrre su chi resta. Perché quando qualcuno ti ferisce così profondamente da bambino, è come scavare un buco in un tronco giovane. Il segno rimarrà visibile per sempre.

Perché nessuno ritorna, anche se lo promette. Soprattutto se lo promette.

Un romanzo che mi ha emozionato tanto, in un crescendo di sentimenti sempre più complicati da gestire. Michele, con la sua ritrosia, le sue prigioni fatte di paure, il suo mondo in bianco e nero, la sua sofferenza così tangibile e reale, è un personaggio che suscita commozione e induce alla riflessione. Elena, al contrario, è colore, irruenza, vita non filtrata. Luce non priva di ombre, perché non esiste un unico modo per affrontare la sofferenza. Ognuno reagisce al dolore secondo personali e insondabili strategie di sopravvivenza. Di che colore sei? Chiede Elena a Michele. E Michele dovrà scoprirlo, ricominciando a vivere, a rischiare, a soffrire, ad abbandonare le confortevoli sfumature di grigio della sua vita. Perché non ci si può difendere dalla tristezza, senza difendersi anche dalla felicità.

La vita è sempre un rischio. Per chiunque.

Un esordio letterario assolutamente promettente, con un tocco fiabesco e una prosa scorrevole, che mi rende impaziente di scoprire la prossima storia che Salvatore Basile ci regalerà.

Stefania Mangiardi

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Dentro soffia il vento – Francesca Diotallevi

L’amore è il più complicato dei sentimenti.

Il più meschino e, allo stesso tempo, il più coraggioso.

Ho atteso Dentro soffia il vento con trepidazione, stregata dalla lettura de Le stanze buie, libro d’esordio di Francesca Diotallevi che mi ha introdotto nella scrittura matura, curata e suggestiva di questa autrice. Quando ho avuto tra le mani la mia copia, inviatami in anteprima dall’ufficio stampa Neri Pozza, invece di riporre il libro sullo scaffale come di consueto, l’ho tenuto sul comodino accanto al letto, in attesa di terminare il libro in lettura. Non lo avevo ancora iniziato ma non volevo già separarmene. Una sensazione che si è concretizzata e protratta non appena mi sono ritrovata nel piccolo villaggio incastonato tra i monti, Saint Rhémy, in Val d’Aosta, durante il primo conflitto mondiale.

Fiamma, la ragazza dagli occhi color del bosco e dai capelli rossi come il pelo della volpe che l’accompagna, è per tutti una strega. Vive da sola in un capanno tra la fitta vegetazione, ai margini della comunità, nell’abitazione che ha condiviso con la madre fino alla sua morte. Da quando Raphael, il suo unico amico, è partito per la guerra non facendovi ritorno, le giornate di Fiamma scorrono in completa solitudine. Gli abitanti del villaggio credono che dentro di lei scorra il sangue del demonio e la tengono a distanza. Di giorno. Perché di notte una processione silenziosa si avvicenda alla sua porta. Gli abitanti di Saint Rhémy, protetti dall’oscurità, si rivolgono a Fiamma per ricevere i decotti curativi che lei, avviata a quest’arte dalla madre, prepara servendosi di fiori ed erbe.

Mia madre lo diceva sempre: non basta il cuore a sconfiggere l’ignoranza e la superstizione.

Raphael, l’amico che sapeva comprenderla e starle accanto come nessuno, ha lasciato un grande vuoto nel suo cuore, ma la sua assenza non è per lei l’unica fonte di tormento. Yann, il fratello di Raph, sembra provare per lei un odio quasi palpabile, sentimento che Fiamma teme più di ogni altra cosa.

La narrazione viene affidata a tre diverse voci: quella di Fiamma, di Yann e di Agape, il nuovo reverendo giunto nel villaggio per sostituire l’anziano parroco, don Jacques. I loro punti di vista si avvicendano, trasportandoci in questo viaggio tra la neve, i boschi, le superstizioni e gli amori, di una storia che avvince e conquista il lettore. Lo stile di Francesca si conferma superbo. Descrizioni curate e suggestive, con un ritmo caldo e avvolgente che ricorda le storie raccontate intorno al bagliore di un focolare. Un libro di cui ho amato ogni cosa: i personaggi con le loro debolezze, che si annidano tra le pieghe di anime stropicciate dalla vita, i luoghi intrisi di personalità, la cura per i dettagli, cesellati con maestria, la descrizione dei sentimenti: vivi, palpitanti, poetici. L’amore ineluttabile, quello che ti sceglie e non lascia via d’uscita. L’amore che vince su tutto, anche sui pregiudizi più difficili da sradicare.

L’amore non si insegna, è l’unica cosa che non posso spiegarti. Non posso dirti quali battaglie combattere, dovrai capirlo da sola e non sarà facile. L’amore non lo è mai, richiede coraggio e tenacia. Non si sceglie, è sempre lui che sceglie te.

Impossibile per il lettore non rimanere avviluppato nella storia, non empatizzare con i turbamenti che colorano le pagine, non lasciarsi coinvolgere e commuovere. Un insieme che non fa che confermare la bravura di questa autrice che, ne sono certa, continuerà a regalarci emozioni tramutate in carta.

La sera in cui ho terminato, tra le lacrime, questo libro, il cielo della notte era tinto di viola. Mentre percorrevo in macchina il tragitto che mi separa dalla casa in campagna dei miei genitori, i personaggi che turbinavano ancora nella mia mente, ho intravisto tra le sterpaglie una coda fulva. Ribes, ho pensato senza rifletterci. In quel momento ho capito che ci sono storie che scivolano via ed altre destinate a conquistarsi un pezzetto di cuore.

Fiamma non mi avrebbe abbandonato.

Stefania Mangiardi

[immagine tratta da Google immagini]

La tristezza ha il sonno leggero – Lorenzo Marone

Ci sono libri difficili da spiegare, perché difficile è districare la matassa di emozioni che generano dentro. La tristezza ha il sonno leggero è uno di questi. Un libro che non è solo una storia, una storia che non è solo una sequenza di parole, perché all’interno c’è un ingrediente che trasfigura ogni sillaba in qualcosa di più: la vita.

La vita è quello che troviamo tra le pagine del nuovo libro di Lorenzo Marone, edito Longanesi. La vita vera, quella che non fa sconti, che non protegge dai dolori, che non asseconda i desideri, e che pure sa stupire.

la-tristezza-ha-il-sonno-leggero-lorenzo-marone-la-chiave-di-sophiaErri Gargiulo, quarant’anni e figlio a metà. I suoi genitori, Raffaele e Renata, decidono di separarsi quando ha solo cinque anni e, come tutti i bambini, una fragile sfera piena di sogni e speranze. E’ proprio in quel momento, mentre il piccolo Erri si trova accovacciato contro il muro con gli occhi chiusi e un nodo  che serra lo stomaco, che la sua sfera va in frantumi. Suo padre, qualche mese dopo, parte per la Spagna, per fare ritorno a Napoli anni dopo, con un’avvenente moglie andalusa, Rosalinda, e una figlia in arrivo, Flor. Erri Rimane con la madre, che dopo alcune relazioni sbagliate sposerà Mario, un ingegnere dal buon cuore, già padre di una bambina, Arianna. Renata e Mario avranno, insieme, altri due figli, Valerio e Giovanni. Siete confusi? Pensate ad Erri, cresciuto in due famiglie che gli appartengono solo a metà. E mozzata appare anche la sua felicità, sempre amputata dall’assenza di uno dei due genitori e dal non sentirsi mai completamente parte di nulla. A questo aggiungete una madre rigida, autoritaria e poco propensa alle tenerezze, e un padre introverso e distaccato.

La mia condizione di bambino con due famiglie, due case, due padri, una madre e mezza e non so più quanti fratelli, mi aveva spogliato del ruolo di figlio, della sensazione che i bambini provano nella pancia senza nemmeno saperlo, un insieme di coraggio e forza che nascono quando ci si sente importanti, al centro dell’attenzione dei propri familiari. Io, quella forza, semplicemente non l’avevo.

Questo, il bagaglio pesante che ha curvato nel tempo le spalle di Erri, privandolo del coraggio necessario per portare avanti i suoi sogni, costringendolo a vivere in difesa, per ripararsi dal dolore e, così, anche dalla felicità.

Felicità che sembra avergli voltato completamente le spalle quando la moglie, Matilde, decide di lasciarlo per un collega, dopo anni in cui hanno tentato, e desiderato, di mettere al mondo un bambino.

Sarà proprio questo evento che porterà Erri ad analizzare la sua vita, a mettersi di nuovo in gioco, a porsi domande scomode, cercando le risposte nei cassetti della sua esistenza.

I cassetti verranno aperti uno ad uno, in forma di flashback e digressioni, nel corso di una lunga cena di famiglia, dove insieme alle pietanze servite dalla domestica indiana, troveremo ingredienti inaspettati: rimorsi, dolori, frasi non dette, verità malcelate, speranze sfumate, riflessioni esistenziali, apparenze falsate.

Erri entrerà lentamente nel cuore del lettore, con i suoi limiti, le sue tristi consapevolezze e la lucida indagine a cui sottopone se stesso e gli altri, un’analisi limpida, a volte severa, ma che non tralascia mai il cuore.
Chissà perché, nella vita, più si va avanti, più si tende a eliminare qualcosa: prima i baci, poi le carezze, gli abbracci e, infine, le parole. Invece, bisognerebbe aggiungere. Sempre.

Dopo aver letto, e amato tantissimo, La tentazione di essere felici, primo libro dell’autore, aspettavo con ansia questa seconda pubblicazione che, tuttavia, non sarei riuscita ad immaginare così densa di emozioni. Ho ritrovato la scrittura calda di Lorenzo, la sua capacità di affrescare i personaggi tramutandoli in persone che, in questo grande romanzo corale, non era un’impresa semplice.

Tanti i temi che coinvolgono il lettore: il rapporto genitori/figli, la famiglia allargata, il desiderio di un figlio, la speranza, le aspirazioni personali.

La matita ha accompagnato il mio viaggio nel mondo di Erri perché di cose da ricordare, lui ce ne dispensa tantissime. Due su tutte. La prima riguarda il dolore. La sofferenza è una tempesta che ci stravolge, ci disorienta e ci smarrisce come naufraghi, ma l’isola deserta siamo spesso noi a sceglierla. Ignorando le tante cose belle che pure, nella loro candida semplicità, costellano la nostra vita.

La seconda ci riporta ai sogni. Non è mai troppo tardi per ricominciare a sognare, e se la vita ci pone davanti un ostacolo forse è solo un segnale più forte e inequivocabile di tutti quelli che fino a quel momento abbiamo ignorato. E’ lo scossone che ci serviva per imboccare una strada nuova che magari non sarà lastricata d’oro, ma potrà comunque insegnarci a brillare.

Un romanzo che consiglio oggi e continuerò a consigliare in futuro perché, per quanto mi riguarda, questo libro ha un potere magico: ognuno di voi troverà all’interno un pezzetto di sé. Lo troverà, perché dentro questo libro c’è la vita vera.

Diciamocelo: se c’è una cosa che fa proprio paura è la felicità. Non sai mai quando arriva.
E, soprattutto, quando se ne va.

Stefania Mangiardi

[immagine tratta da Google immagini]