Dicembre in Filosofia!

È  arrivato Dicembre, con il freddo, le luminarie, il caldo delle case, l’albero di Natale e la rincorsa ai regali.

Eppure la cultura non si ferma e ancora ci sorprende con importanti eventi in tutta Italia!

Per voi lettori ne abbiamo selezionati due:

 

https-cdn-evbuc-com-images-26105144-188429894378-1-originalVENETO | Pensare l’inutile: i classici ci aiutano a vivere? 3 Dicembre – Treviso

Un viaggio che vuole riportare alla luce il valore umano dei classici, valore che sfida l’utilitarismo del mercato e del profitto, perché donare conoscenza è l’unica pratica che invece di impoverirci, ci arricchisce.

Nuccio Diamante Ordine, professore ordinario di Letteratura italiana presso l’Università della Calabria, autore del best seller l’Utilità dell’inutile, tradotto in 26 paesi, e più recentemente di Classici per la vita: una biblioteca ideale, ci invita a leggere (e rileggere) alcune delle più belle pagine della letteratura mondiale. Perché i classici possono ancora aiutarci a vivere?
«Un classico è tale in quanto è in grado di parlare ad ogni uomo di ogni tempo».

Sabato 3 dicembre dalle ore 17.30 nella suggestiva Sala Consiliare di Palazzo dei Trecento nel centro storico di Treviso, in collaborazione con il Comune di Treviso, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, SFI Trevigiana, Pensare il presente – Festival filosofico della città di Treviso, Libreria Canova – Treviso e La Nave di Teseo.

Interverrà anche Filippomaria Pontani dell’Università Ca’ Foscari Venezia e co-fondatore di Classici Contro.
La partecipazione all’iniziativa è riconosciuta come attività di formazione e aggiornamento per i docenti ai sensi della direttiva 90/2003 artt. 2, 3 e 4 e del Protocollo d’intesa MIUR-SFI.

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piu-libri-piu-liberi-2015LAZIO | Più libri più liberi 7/11 Dicembre – Roma

Più libri più liberi è la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria e si svolge a Roma, nel Palazzo dei Congressi dell’Eur, dal 7 all’11 dicembre 2016. Giunta alla sua quindicesima edizione, #plpl è l’unica fiera al mondo dedicata esclusivamente all’editoria indipendente dove ogni anno oltre 400 editori, provenienti da tutta Italia, presentano al pubblico le novità ed il proprio catalogo. Cinque giorni e più di 300 eventi in cui incontrare gli autori, assistere a reading e performance musicali, ascoltare dibattiti sulle tematiche di settore. 

Più libri più liberi nasce nel dicembre del 2002 da un’idea del Gruppo Piccoli Editori dell’Associazione Italiana Editori. L’obiettivo è quello di offrire al maggior numero possibile di piccole case editrici uno spazio per portare in primo piano la propria produzione, spesso ‘oscurata’ da quella delle imprese più grandi, garantendogli la vetrina che meritano. Una vetrina d’eccezione, al centro di Roma e durante il periodo natalizio.
Ma #plpl non è solo questo, il vero cuore della fiera è il programma culturale: incontri con gli autori, reading, dibattiti su temi di attualità, iniziative per la promozione della lettura, musica e performance live scandiscono le cinque giornate della manifestazione in una successione continua di eventi per tutti i gusti.
Più libri più liberi è anche un luogo di incontro per gli operatori professionali, dove discutere le problematiche del settore e dove individuare le strategie da sviluppare.

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La cultura è ossigeno per tutti, quindi anche se tra poco inizieranno le vacanze di Natale, cercate di rigenerarvi prima di esse, traendo spunti dagli eventi che vi abbiamo proposto!

Valeria Genova

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La “Consolazione alla madre Elvia” di Lucio Anneo Seneca

Hai appena fatto rientro a casa, il corpo stanco implora riposo ma hai solo il tempo di una doccia – che sia veloce! –, poi rivestirti e uscire di nuovo. Vorresti scegliere tra uno dei due lavori che fai ma, ahinoi, è un lusso che ancora non puoi permetterti. Ancora: non sai bene perché ti resta questa briciola di speranza, deposta sul fondo del cuore; o di quel residuo di cuore che riesci a percepire, pressato da un dolore a cui non riesci a dar senso. Sai solamente che la solitudine che ti è stata affidata dalla sorte, che ha reciso ad uno ad uno i tuoi più cari legami, non te la meritavi. Una caldaia più efficiente, che non ti costringa a docce ghiacciate una volta ogni due giorni: questa la meriteresti. Ma basta chiacchiere: devi andare a lavorare.

***

Un improvviso bruciore al volto ti sveglia nel cuore della notte, come se t’avessero appena toccato lo zigomo con una carezza arroventata. Ti svegli, sei perplessa ma quando ti trovi di fronte allo specchio, capisci: ti sei rigirata nel sonno ed hai poggiato il viso sul braccio. Sei una stupida, ti dici: o forse non sei tu a dirlo, ma una voce che, ormai, s’è insinuata nella tua mente. Insinuata? Presupporrebbe un lavoro certosino e delicato; niente di tutto ciò: s’è fatta spazio a suon di pugni e schiaffi e insulti. Non sai bene quale sia stato il colpo che ha fatto breccia nella tua intimità: forse l’ultimo, forse il primo. Ma che importa? In fondo, a chi importa?

***

È inutile piangere: è ormai il tuo mantra e ne sei convinto davvero. Ma hai tra le mani il suo ultimo disegno, guardi come un sacramento quelle linee colorate, la sua grafia ancora incerta: Io-mamma-papà. Niente spazi, solo due trattini che sembrano abbracci: e di spazio, tra te e loro, ora ne avverti fin troppo. In alcuni punti il colore è appena sbavato, forse ci hai pianto sopra. Chiudi gli occhi: hai quasi paura di rovinarlo, quel disegno, guardandolo così tanto. Ma è l’ultima cosa che ti resta, in una casa senza vita. Oppure piena di una vita che non vuoi più, perché ogni ragione per volerla – così ti pare – sono morte tra lamiere roventi, poi deposte sotto una terra pesante e scura. Ed è come se quella terra ti cadesse addosso lentamente, una manciata al giorno: e stai morendo un po’ alla volta.

***

La vita umana è attraversata da esperienze diverse e variamente significative: tra le più forti, v’è certamente il dolore. Non il dolore melenso dei film di terza serie, dei romanzetti scritti da chissà chi; nessuna esagerazione vagamente pittoresca: si tratta del dolore misero, minimo, sordo che tutti gli esseri umani sperimentano, ciascuno in maniera differente. O forse tutti in maniera identica: a ben vedere, la prima cosa che il dolore sembra intaccare è il senso di comunanza con le altre persone. Chi patisce corre il rischio di percepire una solitudine radicale, inspiegabilmente efficace; di sentirsi isolato da tutti, incomprensibile a chiunque, di percepire una scollatura da una realtà di cui non ci si sente più parte.

Eppure, c’è almeno una ragione per cui nessuno può mai dirsi solo, una ragione per cui il legame che tiene insieme l’umanità non può essere reciso, mai: non importa con quanta forza veniamo abitati dal dolore, la frequenza con cui esso bussa alla nostra porta, l’incisività con cui scrive sulla nostra persona. È una ragione di cui, chiunque abbia sofferto, in fondo è in cerca e, forse, ha nell’esperienza del patimento una condizione necessaria per essere scoperta. In virtù di ciò, è possibile continuare a vivere, anche dinanzi ai dolori più pervasivi.

***

Quale sia questa ragione, può insegnarlo una voce dei tempi passati, voce di uomo prima che di filosofo; la voce di uno che fu condannato all’esilio, lontano da tutti i suoi affetti, perché coinvolto in affari di palazzo, affari di potenti. È la voce di Lucio Anneo Seneca (Cordoba, 4 a.C. ca- Roma, 65 d.C.), costretto all’esilio nel 41 da Claudio che, in quell’anno, aveva succeduto Caligola – quest’ultimo liquidato da una congiura – al soglio dell’Impero romano. Nel 65, poi, fu invitato da Nerone, nei suoi primi anni da imperatore, a porre fine ai suoi giorni: era scomodo, fastidioso, lui e quel suo interesse per l’umanità. Lungo tutto l’arco della sua vita, Seneca dedicò all’essere umano e ai suoi patimenti larga parte della sua opera di filosofo e scrittore, cercando di scandagliare la profondità dell’animo umano e, possibilmente, di trovare un rimedio autentico, definitivo, a quel dolore e a quei patimenti che non solo scorgeva nel cuore altrui, ma anche viveva, in prima persona. Negli anni del suo esilio in Corsica, scrisse – tra le altre – un’opera particolarmente significativa a tal proposito: la Consolatio ad Helviam Matrem (Consolazione alla madre Elvia), in cui si cimenta nella consolazione della madre, affranta per l’ingiusto destino che s’è abbattuto sul figlio.

Quest’opera non è una orazione ex cathedra sull’inutilità del dolore, non si compone delle parole che bisogna dire dinnanzi ad una persona sofferente: niente parole di circostanza, nessun patetismo. Sono parole pronunciate da un essere umano tra altri esseri umani, radicalmente legato all’umanità e, con essa, non solo alla sua parte migliore: ovvero a quel quid nascosto nel profondo di ciascuno, quel sommo bene che non può essere né dato né tolto; ma anche ai difetti e alle debolezze che ogni essere umano manifesta, almeno una volta nella propria vita: egoismo, brama di potere. Seneca è un essere umano di carne ed ossa – potrebbero esisterne di diversi? – e la sua filosofia è inscritta nelle condizioni di tutta l’umanità, si rivolge ai problemi quotidiani che ciascuno deve, talvolta tragicamente, affrontare: ristrettezze, violenza, morte dei propri cari.

Ecco, dunque, perché dovremmo ritagliarci un po’ di tempo per accostarci alle parole di Seneca, a quelle con cui compone la consolazione a sua madre Elvia; ecco perché dovremmo farci il regalo di ricordarci che, in fondo, patiamo tutti gli stessi dolori e abbiamo tutti qualcosa per cui vale la pena consolarci, continuare a vivere.

Emanuele Lepore

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Consigli amorosi da 2000 anni fa

Siamo agli albori della storia del mitico Impero Romano quando sotto il potere di Ottaviano Augusto il clima a Roma si fa più pacifico e disteso. I contrasti e le tensioni degli anni precedenti vengono abilmente indirizzati alle frontiere del territorio imperiale, in favore di un maggiore equilibrio interno. Lo scopo di Augusto è quello di controllare e disciplinare ogni piccolo aspetto della vita: per farlo, egli intraprende la strada del rinvigorimento delle tradizionali virtù romane, il cosiddetto mos maiurum. Filosoficamente parlando un potere politico forte deve sempre potersi avvalere, e allo stesso tempo deve potersi fondare su una solida base morale. E infatti Augusto si adoperò principalmente a conferire un solido fondamento etico a tutte le strutture sociali e politiche attraverso una serie di scelte concrete quali la costruzione di nuovi luoghi di culto, il supporto allo sviluppo artistico della città, ma anche attraverso leggi volte a favorire lo sviluppo delle nascite o condannando l’adulterio.

Di fronte a questo panorama, un’opera come l’Ars Amandi di Ovidio non poteva che essere additata! La dicitura “Arte di amare” non ha nulla a che vedere, almeno di primo impatto, con romanticismo, sentimentalismo o poesia. La parola “arte” è da ricondurre al suo significato originario che la accomuna con la parola “téchne”. Il testo di Ovidio, infatti, non è altro che un manuale grazie al quale l’individuo maschile poteva apprendere delle vere e proprie tecniche per conquistare il gentil sesso femminile. Il fine dell’atto d’amore è da Ovidio identificato con il solo piacere fisico: a causa della portata scandalosa delle sue affermazioni (ma anche per altri motivi più profondi, non ben chiari) Ovidio venne allontanato da Roma senza potervi fare ritorno.

Se l’atmosfera del libro potrebbe sembrare distante dall’idea di Amore con l’iniziale maiuscola, procedendo con la lettura, ci si può ricredere. Le sue scottanti tecniche di rimorchio, infatti, ad oggi non fanno che farci sorridere, vuoi perché l’argomento sentimentale/sessuale attualmente è trattato in pubblico e addirittura sbandierato con sempre meno pudore, vuoi perché in fondo tutti possiamo riconoscerci con un certo imbarazzo nella situazione del corteggiamento e nel brivido incerto che questa comporta. Un esempio: Ovidio consiglia di approfittare dell’affollamento delle tribune del circo per sedersi stretti accanto alla propria donna dei desideri. La sua massima «si è più sedotti da ciò che non si ha», lascia intuire come egli non preveda affatto la possibilità di andare incontro a rifiuti o fallimenti.

Spero di essere perdonata se azzardo che l’ego maschile non ha confini, nemmeno temporali! E per rifarmi da questa affermazione, consiglio a tutti i lettori uomini che volessero far ricredere le rappresentanti del genere femminile, la lettura della seconda gamma di consigli proposti dall’abile poeta: «Come far durare il proprio amore». Per levarvi subito la curiosità (o forse per venire in vostro soccorso) ve ne elenco qualcuno: essere amabili, avere un carattere piacevole, evitare la rudezza, evitare regali costosi in favore di gesti e attenzioni modeste. Non gettare la spugna se la vostra compagna ha un periodo di distrazione, ma essere pazienti e perseveranti. Addirittura Ovidio vi mette in guardia dal curarvi troppo del corpo, e vi propone di formarvi nello spirito!

Ebbene si, 2000 anni, ma le dinamiche amorose non mutano mai!

Federica Bonisiol

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Intervista a Laura Palazzani: l’importanza di un’interazione tra scienza e società

La bioetica tende sempre più ad essere un tema di discussione pubblica che accende molto spesso gli animi, ma al di là delle copertine e degli scontri ideologici, c’è una disciplina poco conosciuta e che vale la pena approfondire.

Per farvela ( e farcela) conoscere meglio abbiamo intervistato la professoressa Laura Palazzani, una dei massimi esperti in Italia in materia.

Dal 1999 è Professore ordinario di filosofia del diritto. Attualmente insegna presso il Dipartimento di Giurisprudenza della LUMSA biogiuridica e filosofia del diritto. È membro del Comitato Nazionale per la Bioetica dal 2002, Vicepresidente dal 2008. È stata componente dell’European Group of Ethics in Science and New Technologies presso la Commissione Europea (2010-2015). E’ membro del Comitato internazionale di Bioetica dell’Unesco (dal 2016)

Iniziamo dal principio: cosa l’ha portata ad avvicinarsi alla filosofia del diritto e alla bioetica?

Prima di tutto mi sono avvicinata alla filosofia perché sentivo l’esigenza di rispondere alle domande ontologiche ed esistenziali e avvertivo la necessità di studiare gli autori che avevano dato queste risposte, leggere i loro testi, riflettere sulle loro risposte al fine di trovare una mia risposta, che potesse essere adeguatamente e dialetticamente argomentata, consapevole, critica. Inoltre sono sempre stata convinta che la filosofia non sia un pensiero solo astratto e speculativo e che il pensiero astratto e speculativo ci aiuti nell’affrontare le scelte, a livello macro e micro, che in ogni momento caratterizzano la nostra esistenza. La scelta di dedicarmi alla bioetica nasce proprio dall’interesse che ho maturato nel corso degli studi filosofici per la filosofia applicata: ho scelto di occuparmi della bioetica quando in Italia si iniziava a parlare di questa disciplina e ne avevo intuito la rilevanza e la probabile crescente diffusione in relazione all’inarrestabile progresso scientifico e tecnologico in biomedicina. L’interesse per la filosofia del diritto è nato parallelamente, nella presa di coscienza che la discussione filosofico-morale in bioetica, per quanto rilevante, rischiava di rimanere ‘aperta’ nella conflittualità delle teorizzazioni e argomentazioni eterogenee del dibattito pluralistico oggi. La riflessione filosofica sul diritto, alla ricerca della elaborazione di norme di comportamento per la collettività, costituiva una sfida alla ricerca della convergenza nel pluralismo morale, al bilanciamento tra i diversi valori, al fine di offrire regole ed orientamenti ai cittadini.

È stata per motivi di ricerca in molti paesi tra cui l’ Inghilterra e gli Stati Uniti. Quali sono le differenze più significative riguardo la visione della bioetica e la sensibilità medica tout court tra Italia e questi paesi?

La prima distinzione che emerge è l’approccio filosofico: nell’area anglo-nordmericana l’approccio è in prevalenza pragmatico e meno speculativo, prevalentemente orientato alla ricerca di principi che possano funzionare come ‘griglia’ concettuale di riferimento per risolvere problemi concreti, se non addirittura alla ‘casuistry’ nella mera collezione di casi risolti dalla discussione come esemplificazioni di modalità di discutere. La bioetica europeo-continentale è più attenta alla giustificazione teorica della presa di posizione morale rispetto ai temi in discussione (siano essi di inizio vita che di fine vita).  Una seconda distinzione è la prevalenza nell’area anglosassone dell’approccio pragmatico di tipo libertario e utilitaristico, che tende a privilegiare il principio di autonomia inteso come autodeterminazione individuale delle scelte e il principio di convenienza, nella ricerca della massimizzazione delle preferenze individuali e/o collettive, rispetto al principio personalistico della difesa della integrità fisica e psichica dell’essere umano e della sua dignità.

È nello spirito della Chiave di Sophia tentare di rivolgere la filosofia alla dimensione pratica, Lei attraverso l’insegnamento e la partecipazione di comitati etici a livello locale, nazionale, europeo e -con il suo recente ingresso al comitato internazionale di bioetica mondiale, è un esempio di come ciò sia possibile.  Cosa ne pensa del rapporto tra filosofia e prassi, tra filosofia e quotidianità?

La bioetica in generale è un esempio chiaro di filosofia pratica, applicata a problemi emergenti oggi. Un esempio di una filosofia che può contribuire a indicare soluzioni in vista di decisioni individuali (dei singoli cittadini, di pazienti, di ricercatori, di medici, di operatori sanitari) e di scelte legislative, giurisprudenziali e politiche, a livello nazionale ed internazionale. La bioetica è imprescindibilmente connessa alla biogiuridica e alla biopolitica.

La partecipazione di filosofi ai comitati etici locali è un esempio chiaro della rilevanza della riflessione morale per contribuire, nell’ambito di una discussione interdisciplinare, alla ricerca di risposte a problematiche e a volte a dilemmi emergenti dalla prassi (ad esempio, la sperimentazione di farmaci, la discussione di casi clinici complessi, quali il limite di accettabilita del rifiuto di terapie salvavita o la distinzione tra interventi medici proporzionati e sproporzionati). La partecipazione di filosofi a organismi di bioetica nazionali ed internazionali (a livello europeo e mondiale) mostra come la riflessione di senso sia indispensabile nella ricerca, nel contesto del dibattito interdisciplinare e pluralistico, di minimi condivisi o del massimo possibile di condivisione, per cercare linee di orientamento morale e giuridico, negli Stati, nei Continenti e nel mondo. In ogni Stato i governi si trovano, oggi, di fronte a problemi in biomedicina che necessitano di una risposta e a questioni che esigono una disciplina sociale (es. tecnologie riproduttive, test genetici, eutanasia); a loro volta gli Stati avvertono la rilevanza di un confronto internazionale di fronte a problemi globali, che superano i confini politici (si pensi alla manipolazione genetica, alla sperimentazione internazionale, alle pandemie, al problemi ambientali). La riflessione filosofica offre e può offrire un contributo prezioso di riflessione per un inquadramento del problema, per la comprensione del senso, per la discussione dialettica tra tesi contrapposte, per la giustificazione di una spiegazione convincente.

In un’intervista da Lei rilasciata ha affermato che “Vi deve essere una maggiore comunicazione tra scienza e società, perché in fondo la ricerca scientifica deve essere orientata al bene della società e al tempo stesso la società deve sempre più conoscere la ricerca scientifica”. In che modo la Filosofia può intervenire fornendo strumenti e mezzi affinché questo dialogo tra scienza e società possa essere sempre fecondo?

L’importanza di una interazione tra scienza e società è evidente: da un lato perché il sapere scientifico deve rivolgersi alla società e pertanto deve conoscere le esige della società e dall’altro perché la società deve sempre più essere coinvolta, informata e consapevole degli orientamenti del sapere scientifico. La filosofia può avere un compito: quello di fare comprendere la necessità, le ragioni e gli scopi del dialogo tra scienza e società, per evitare che la scienza rimanga chiusa in modo autoreferenziale e la società esclusa dal dialogo con la scienza; aiutare la scienza a interrogarsi sulle potenzialità e i limiti teorici e applicativi della disciplina; aiutare la società ad acquisire una coscienza critica dell’importanza dei problemi morali e giuridici emergenti dal progresso tecnoscientifico. Alcuni strumenti potrebbero essere mezzi tradizionali (l’educazione, ad es. mediante l’inserimento di moduli di bioetica nei corsi di filosofia già nelle scuole) e l’uso delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (con la costituzione di piattaforme di dialogo tra scienziati  e filosofi, forum di discussione rivolti ai cittadini).

Nel secolo scorso la tecnica sembra essere stata un incubo ricorrente della filosofia. Una profonda riflessione etica coniugata al diritto è sufficiente ad indirizzare lo sviluppo tecnico in modo responsabile e umano?

La riflessione etica e la regolazione giuridica possono indubbiamente contribuire ad orientare la scienza e la tecnica alla presa di coscienza delle loro responsabilità rispetto all’uomo, ma non sono sufficienti per garantire la effettiva responsabilizzazione di scienziati e tecnologi.

Va precisato che per etica si intende la riflessione che si interroga in modo critico sulla liceità del progresso, in contrapposizione al tecnoscientismo, ossia alla permissiva liberalizzazione di ogni ricerca scientifica e applicazione tecnologica sull’uomo, ritenuta un bene in sé, non suscettibile di essere limitato. E’ questa la visione di chi percepisce ogni limite come un ostacolo al progresso della tecnoscienza che comunque deve andare avanti per il bene dell’umanità.

L’orientamento etico che offre un contributo alla responsabilizzazione della scienza è l’orientamento anti-tecnoscientifico, che tematizza la priorità della dignità umana sul progresso della ricerca: un percorso che è stato incluso in molti documenti normativi internazionali (ad es. la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina del Consiglio d’Europa, 1997; la Dichiarazione sui diritti umani e la bioetica dell’ Unesco, 2005). E’ questa la riflessione etica e giuridica che offre un prezioso contributo alla presa di coscienza, in un dialogo interdisciplinare, dei problemi morali emergenti dal progresso e della rilevanza della responsabilità degli scienziati.

page_FOTO PALAZZANINello specifico un suo libro recente tratta il tema del potenziamento umano attraverso la tecnica (“Il potenziamento umano. Tecnoscienza, etica e diritto”). È possibile un equilibrio? Quali sono i rischi?

Oggi nel contesto del rapido sviluppo della tecno-scienza si aprono nuove possibilità di interventi finalizzati all’enhancement o potenziamento della salute e della vita dell’uomo e della stessa umanità. Il “potenziamento” è l’uso intenzionale di farmaci e tecnologie per interventi sul corpo umano in condizioni di salute al fine di modificarne, in senso quantitative e qualitatico, il normale funzionamento. Si tratta quindi di interventi non terapeutici, volti a migliorare le capacità umane (fisiche, mentali e/o emotive) o, nella versione più estrema, ad introdurne di nuove.

Il volume dedicato a questo tema analizza l’argomento in due parti. Una prima affronta il dibattito sul piano teorico mettendo a confronto gli argomenti favorevoli e contrari all’enhancement in senso generale, allo scopo di delineare una riflessione critica ponderata che giustifichi i requisiti etici minimi per una regolamentazione che non ostacoli l’innovazione ma al tempo stesso sappia tutelare i valori e i diritti fondamentali dell’uomo. La seconda parte analizza i principali ambiti applicativi oggi in discussione: dalle tecnologie esistenti (chirurgia estetica, doping sportivo), alle tecnologie emergenti (potenziamento genetico, biologico, neuro-cognitivo) fino alle tecnologie convergenti (nanotecnologie, biotecnologie, informatica e scienze cognitive) e agli scenari radicali che si prefigurano nel transumanesimo e postumanesimo.

Emerge anche in questo ambito la rilevanza della riflessione filosofica che contribuisca a comprendere le ragioni delle diverse teorie (perfezioniste e anti-perfezioniste) e possa offrire un contributo per giustificare una visione bilanciata, contro una visione pessimistica del potenziamento, ma anche contro un’opposta visione ingenuamente ottimistica. Si tratta di mettere in luce i rischi insiti nel potenziamento stesso, connessi soprattutto all’incertezza delle nuove tecnologie e alla sproporzione rispetto ai benefici ottenibili (che non sono la guarigione, ma l’attuazione di desideri soggettivi). Si tratta di interventi che mettono in pericolo la sicurezza, la libertà umana (fino a che punto saremmo liberi di farne uso, in una società competitive ed efficentista?) e la giustizia, facendo aumentare le disegueglianze già esistenti.

Cautela e precauzione sono allora criteri fondamentali per regolare e giustificare certe pratiche, accanto all’obbligo di acquisire correttamente il consenso informato della persona interessata.

Fondamentale è la consapevolezza che il potenziamento non potrà mai portare alla perfezione, né al superamento di alcuni limiti caratteristici della condizione umana, quali l’invecchiamento e la limitata capacità cognitiva. Inoltre, l’artificialità del potenziamento rischia – offrendo ‘scorciatoie biotecnologiche’ – di far passare in secondo piano l’autenticità del divenire umano e delle sue faticose acquisizioni, che rimangono alternativi alla tecnica.

Un altro tema che molto ha fatto discutere recentemente è la questione gender, a questo proposito Lei parla di equivoci dell’uguaglianza. Può spiegarci cosa intende?

Nell’ambito del dibattito anglosassone è emersa la questione sex/gender: con sex si indica la condizione biologica dell’essere maschio o femmina (come si nasce); gender si riferisce alla condizione psico-sociale e culturale acquisita (come diveniamo) o l’identità scelta dall’individuo. Il problema filosofico è costituito dal rapporto tra sex e gender. Il dibattito è estremamente complesso e rimanda ad un’articolata discussione filosofica tra moderno e postmoderno: le teorie gender, in modo più moderato o radicale, affermano la separazione tra sex e gender, ritenendo che il gender sia il prodotto dell’educazione o il prodotto della volontà individuale, a prescindere dalla nascita. In questo senso il gender potrebbe non essere corrispondente al sex: con la conseguenza non solo della legittimazione del transessualismo, ma anche della condizione intersex (di chi nasce con ambiguità sessuali) e transgender (di chi vule oscillare tra una identità maschile e femminile). Il dibattito si estende anche al c.d. ‘orientamento sexuale’, ossia alla rivendicazione dell’equivalenza della condizione eterosessuale, omosessuale, bisessuale.

Dietro le teorie che esaltano la liberalizzazione della identità gender e della sexual orientation vi è la visione relativistica che ritiene equivalente qualsiasi opzione individuale e ritiene che il diritto debba legittimare, sullo stesso piano, qualsiasi richiesta della comunità LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersex). In questo senso l’appello all’uguaglianza risulta equivoco: non è certo in discussione il rispetto dovuto ad ogni essere umano in quanto umano (a prescindere dalla identità gender e dall’orientamento sessuale), ma la equiparazione indifferente di diritti, con il riconoscimento del diritto ad una iscrizione anagrafica intersessuale e transgender (tra maschile e femminile; maschile e femminile o né maschile né femminile), il matrimonio tra persone omosessuali, e il loro accesso alla adozione e procreazione assistita. La filosofia è chiamata ad interrogarsi  sulla differenza sessuale come costitutiva della identità e della socialità. Il rischio delle teorie gender è l’omologazione indifferenziata di qualsiasi scelta, senza considerare che l’identità sessuale è costitutiva della persona umana e non può essere modificata a piacimento e che la diversità sessuale nella famiglia (avere un padre e una madre) costituisce la condizione di principio migliore per un bambino per una crescita equilibrate nel processo di identificazione sessuale ed esistenziale.   

Emerge una tendenza molto forte degli ultimi decenni alla spettacolarizzazione della bioetica. Come interpreta questo fenomeno?

Se per spettacolarizzazione si intende la strumentalizzazione di casi di bioetica provocatori o pietosi per persuadere i cittadini a certi orientamenti bioetici, esprimo una presa di distanza da questa modalità di divulgazione della bioetica. A mio parere il vero contributo alla discussione bioetica può essere dato da una riflessione critica pacata, dialettica e razionale, senza provocazioni, estremismi, emozionalismi. Le posizioni bioetiche a favore o contro certe tecniche o pratiche non posssono essere solo suscitate da emozioni, ma anche e soprattutto giustificate da ragioni. In questo senso la filosofia offre un contributo alla discussione oggi.

Infine, cosa consiglia ai giovani che vogliono intraprendere lo studio della filosofia?

E’ una scelta difficile oggi, ma va valorizzata e sostenuta. La filosofia fa parte implicitamente se non esplicitamente di ogni essere umano che si pone la domanda sul ‘perché: chi la studia ha compreso la sua rilevanza e può, con impegno e dedizione, attraverso uno studio approfondito affrire un contributo in tanti settori della nostra società (economia, diritto, politica, biomedicina, informatica, biologica ecc.).

E’ importante non perdere di vista la motivazione di chi intraprende questo percorso: la meraviglia rispetto all’esistere, la ricerca della risposta ai perché, lo sforzo di ricercare la ragione dei fatti, la disponibilità al confronto dialogico e dialettico, la ricerca della giustificazione razionali delle proprie posizioni. Il presente e il futuro della filosofia è tra speculazione ed applicazione: il confronto con la complessità reale sta rivitalizzando la filosofia, costringendola a ripercorrere strade del passato per interpretare il presente ed anticipare gli scenari futuri. E’ questa la strada che si presenta come piena di opportunità per chi non si accontenta di accettare passivamente ciò che accade, ma chi avverte dentro di sé la spinta a interrogarsi sul senso e a costruire un senso nella nostra società. Il consiglio è continuare con tenacia il percorso intrapreso, studiare i classici, tenersi informati sui problemi emergenti anche nella letteratura internazionale e identificare l’ambito di maggiore interesse, rispetto al quale convogliare le proprie energie intellettuali ed esistenziali.

 

La filosofia quindi deve mantenersi sulle orme di Socrate, critica e vigile per potersi opporre a forme di degradazione dell’ essere umano. Al contempo però non può deve eccedere e incorrere chiusure acritiche verso il cambiamento. Insomma ha bisogno di trovare il giusto equilibrio tra conflittuali eccessi opposti.

Ringraziamo la Professoressa Palazzani per averci dedicato il suo tempo e per averci aiutato a riflettere in modo lucido e razionale su temi spesso scivolosi e opachi.

Francesco Fanti Rovetta

Profilo Laura Palazzani: qui

“Una giornata particolare”

Una bellissima regia di un grande maestro del cinema italiano, Ettore Scola, da poco scomparso; una trama profonda e vera, spoglia di retoriche e ipocrisie. Una Giornata Particolare si svolge nell’arco di poche ore, è il 6 maggio 1938, giorno della visita di Adolf Hitler a Roma. La città è in fermento e riempie le strade per l’arrivo del dittatore tedesco. In un comprensorio di case popolari Antonietta (Sophia Loren), madre di sei figli, rimane sola in casa dopo aver salutato la famiglia pronta per la parata. Nel palazzo quasi deserto incontra Gabriele (Marcello Mastroianni), suo vicino di casa. L’incontro tra i due, seppur della durata di una giornata, sarà profondo, smuoverà le coscienze afflitte e sole di entrambi.

In questo film ci si trova immersi in un universo molto piccolo, muovendosi tra le scale, gli appartamenti e la terrazza di uno dei più classici e comuni condomini italiani; eppure Scola riesce a svelare e a trasmettere la complessità del momento storico, portandola allo spettatore tramite lo sguardo triste e rassegnato dei protagonisti. La fotografia color seppia avvolge la scena in modo ovattato, caricandola di attesa e portandola in un contesto che sembra fuori dal tempo, come se l’incontro tra Antonietta e Gabriele rappresentasse una timida parentesi. Ai dialoghi tra i due, che si fanno di volta in volta sempre più teneri e intimi, si oppone la vera radiocronaca dell’incontro tra Hitler e Mussolini, che irrompe nella storia, sottolineando ancor di più un senso di oppressione.

Mastroianni e la Loren sono magistrali; ancora una volta recitano in coppia ma la loro bravura lascia sempre sorpresi, come se mostrassero qualcosa di nuovo in ogni singolo lavoro. Sono perfetti nell’incarnare la solitudine e l’inadeguatezza dei due protagonisti. Vivono una discriminazione diversa ma che li avvicina. Il loro sguardo, inizialmente inconciliabile, arriva per fondersi in uno solo. Sono le personificazioni delle voci che il regime soffoca, quella della donna discriminata, relegata a guardiano del focolare, vittima incosciente. E la seconda voce, quella dell’intellettuale impotente seppur consapevole, timido, visto come diverso e pericoloso.
Questi percorsi, così differenti tra loro, si intrecciano, arrivando alla fine della giornata a coincidere; c’è un solo punto di vista, un’equivalenza di solitudine che lega i due in un abbraccio di coscienze sofferenti.

Una Giornata Particolare si dimostra un film straordinariamente acuto nel denunciare gli aspetti più subdoli e ipocriti del fascismo; qui è visto non solo come aberrante ideologia politica, ma come progetto di asservimento socio-culturale. Una macchina bieca che annulla le diversità e appiattisce gli spiriti. Antonietta e Gabriele sono lo specchio e l’esempio delle tante discriminazioni del regime, persone comuni, normali, costrette ad abbandonare le proprie idee e il proprio io.

Lorenzo Gardellin

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C’era una volta un re

Nelle settimane che precedono il Natale i preparativi coinvolgono inevitabilmente un po’ tutti.
Cambiano le strade e le piazze, illuminate da una sovrabbondanza di luci; cambiano le vetrine dei negozi, pronte ad accogliere i cacciatori di regali; cambiano le stazioni dei treni e gli aeroporti, in cui compaiono abeti carichi di colore.

Magia direbbe qualcuno, e come per magia non tutti sono contenti.
Sembra davvero incredibile, ma anche il Natale è diventato un pretesto per rispolverare dei punti imprescindibili che reggono buona parte del dibattito pubblico.

Aiutare chi non ha nulla?
Cercare di vivere serenamente dimenticando i malumori di un anno intero?

Niente di tutto questo; la diatriba si dipana attorno al Crocifisso e al presepe.
Ebbene sì, due simboli del tutto innocenti stanno portando scompiglio tra social e televisione; a onor del vero è ridondante, non un’esclusiva ‘Inverno 2015’.
Quando al minestrone mediatico si aggiungono elementi religiosi, politici e sociali, il risultato è assicurato: prese di posizione, strafalcioni storici, discorsi senza capo né coda… insomma, chi più ne ha più ne metta.

Davanti ad una situazione del genere ho spesso provato a spiegare in termini essenziali cosa volesse dire il termine ‘laico’, ma nonostante gli sforzi, ogni appello al ragionamento cade inevitabilmente nel vuoto.
Affermare che l’Italia non ha una religione di Stato dal 1948, riconoscendo tutte le usanze e i culti purché non violino la legge, dovrebbe portare a pensare che, di conseguenza, esporre un qualsiasi simbolo in luoghi statali segna di fatto una preminenza, una superiorità, legata alla religione da esso rappresentata.

Eppure tutto questo passa in secondo piano, ma perché?

Perché “l’Italia ha radici cristiane” (cit.), “Roma è nata cristiana” (cit.), “noi, quando andiamo nei Paesi arabi, non possiamo pregare o ci uccidono” (cit.), e tante altre risposte in cui le frasi fatte abbondano più delle ciliegie a Maggio.
Un misto tra rivendicazioni storiche e giustificazioni che portano i simboli cristiani ad essere usati non come tali, ma come ripicca nei confronti altrui.

Ho voluto provare anche io a portare avanti delle obiezioni simili, su un argomento legato a doppio filo con il Crocifisso.
La norma a cui mi sono ispirato e che regge la presenza dello stesso, risale al regio decreto n° 965 del 1924, articolo 118, leggermente modificato nel corso degli anni ma nella sostanza immutato.

“Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del Crocifisso e il ritratto del Re.”

Entrando in un’aula di un istituto scolastico statale, troviamo il simbolo cattolico ma non il ritratto del Re.
Siamo una Repubblica, direte voi.
Certo, siamo una Repubblica tanto quanto uno Stato laico.
Ma, come detto in precedenza, abbiamo radici cristiane.
Abbiamo radici cristiane tanto quanto monarchiche…

Facciamo qualche esempio.

Quando raccontiamo la Storia di Roma, elenchiamo ben sette re e ottantacinque augusti imperatori.
Studiando le intricate vicende dell’Alto Medioevo troviamo altri re, imperatori franchi e germanici, duchi, principi e sovrani bizantini.
Nell’epoca delle Signorie annoveriamo famiglie nobiliari, casate da nomi altisonanti, dinastie da cui ebbero origine gli Stati Italiani quasi totalmente retti da monarchie o da oligarchie.
Parliamo di feudi meridionali, le nostre fiabe narrano di castelli e cavalieri.
Tutto molto lontano dalla democrazia che oggi conosciamo.

Duemiladuecento anni totali di sovrani contro milleseicento di cristianesimo ( dall’editto di Tessalonica del 380 d.C in cui il Cristianesimo divenne religione ufficiale dell’Impero Romano ), se i numeri non mentono la nostra cultura è stata molto più suddita di un monarca che fedele alla Santa Romana Chiesa

Ecco spiegato il mio “stupore” all’assenza del ritratto del Re nelle aule scolastiche, nonostante la vastissima scelta da cui attingere, per ricordarne alcuni: Augusto, Totila, Carlo Magno, Napoleone, Vittorio Emanuele II.

No, non sono uno sprovveduto, so benissimo che avere un regio ritratto in aula stonerebbe con la natura politica del nostro Paese.
E poi, in Italia, non mancano certamente luoghi in cui possiamo immergerci nel glorioso passato; abbiamo fortezze, musei, gallerie d’arte… di sicuro non ci preoccupiamo di esporre queste profonde radici anche nei luoghi statali.
Allo stesso modo, secondo la mia visione, la fede religiosa può esprimersi tra le migliaia di chiese, luoghi di culto, cappelle, immagini votive ed edicole che costellano le nostre bellissime città.

Per fare una giusta critica a coloro che, come me, hanno qualche riserva sulla contraddizione laico-religiosa in atto, devo dire che non c’è bisogno di provare empatia giocando la carta del disagio, l’ho vista usare troppo spesso e la trovo fondamentalmente errata e forviante.

Perché al di là di tutte le considerazioni logiche, razionali e storiche che possono sembrare poco divertenti e decisamente pesanti, dovremmo forse dimenticare la nostra (im)maturità, spesso sconsiderata e deleteria, e provare a vivere il Natale – così come il resto dell’anno – un po’ come fanno i bambini, lontani dalle fissazioni degli adulti, dalle lotte contro i mulini a vento, dalle croci usate come spade nelle furiose ed inutili battaglie senza quartiere.

Alessandro Basso

“Un grammo di comportamento vale un chilo di parole”

Tutto quello che vuoi si trova dall’altra parte della paura
Recitazione. Roma. Lezione di prova: repulsione. O qualcosa del genere.
Non capivo perché, ma avevo un fastidio interno ed una gran voglia andarmene.
Esercizio dopo esercizio mi sentivo agitata, giudicata, tesa.
La lezione di prova finì ed io dissi ai professori: “Spero di tornare, ma con il mio lavoro sarà difficile”.
Tornai a casa nervosa, scombussolata, con qualcosa che mi si agitava dentro.
Sembrava adrenalina. Quella che mi veniva quando andavo a nuotare di sera. Quella che poi fino alle tre di notte non la smaltisci neanche con tisane alla passiflora del Gabon e 20 gocce di xanax.
Ma era qualcosa di più forte.
Era paura.
Era aver intuito che qualcosa stava per sradicarmi dalla mia comfort zone, dal mio divano, dal mio Sky, dai miei aperitivi.
Forse era il famoso “Tutto quello che vuoi si trova dall’altra parte della paura”.
O forse mi stavo trasformando in un personaggio di un film di Muccino su sceneggiatura di Fabio Volo.
Fatto sta che le ore di sonno furono poche e le domande troppe.
A tutti i punti di domanda della notte rispose una sensazione di benessere appena aperti gli occhi al mattino. Una sensazione che mise un punto. E mi fece andare a capo. Quella sensazione che provi solo risvegliandoti con la persona che ami accanto. Quel momento in cui si realizza. E quella mattina realizzai che l’unica cosa che avrei fatto sarebbe stata infilarmi un paio di scarpe da ginnastica e chiudermi fino a sera in un’accademia. A fare e rifare senza sosta quegli esercizi che solo qualche ora prima mi avevano fatto diventare rossa, mi avevano fatto tremare la voce, mi avevano fatto pensare “ma che ci faccio io qui in mezzo?”, mi avevano fatto dire “Non credo di poter tornare, non ce la farei con il mio lavoro”.
Il lavoro? La pioggia? La neve? L’invasione di cavallette? Tutte scuse.
Il modo, il tempo, lo trovi. E se non lo trovi lo cerchi. E se non lo cerchi lo rubi.
Tra lavoro ed un minimo di vita sociale dormo sempre meno. O tra lavoro e sonno, ho sempre meno vita sociale. E tutto questo è esaltante ed al tempo stesso rassicurante. Esiste la recitazione e chi o cosa riesce ad inserirsi con grandi sforzi tra me, il mio lavoro e quella che posso chiamare senza mezzi termini un amore viscerale, è un chi o un cosa davvero importante. Anche una telefonata diventa difficile. Ma chi ti vuole bene capirà. Chi non capirà, è perché non ha capito chi sei. Per me studiare recitazione è una bolla. Indistruttibile. E tutte le persone che ci sono dentro lo sono. Di alcuni di loro non so nulla, di altri molto, di altri ancora tutto. Ma una sola cosa la so: quando siamo lì dentro, nella nostra bolla, tutti insieme, in quella stanza nera, spartana, senza fronzoli, senza orologi, coi cellulari che, pur volendo, non prendono, senza anelli, bracciali, tacchi, cravatte, il mondo fuori con le sue regole, le sue riverenze, i suoi clichè non esiste più.
Una lezione di prova  dovrebbero farla tutti. Sopratutto chi pensa che questo non sia un mondo straordinario, ma un sottobosco squallido e umido. E dovrebbero provarci tutti, ma non per vincere l’oscar. Ma per capire. Tante, troppe cose che diamo per scontate.
Quanto un silenzio arriva molto più che un flusso di parole.
Quando un silenzio arriva e perché.
Quanto non ascoltiamo l’altro.
Quando l’altro dobbiamo ascoltarlo, altrimenti salta tutto.
Quando l’altro deve ascoltarci, altrimenti salta tutto.
Quanto siamo centrati su noi stessi.
Quanto impatta uno sguardo.
Quanto sia fondamentale il dettaglio. E quante cose da quel dettaglio si capiscono.
Quante infinite possibilità ci sono di recitare un copione. Quello che recitate ogni giorno fingendovi felici, vincenti, griffati e rampanti su Facebook e nella vita reale.
Quante infinite possibilità di vivere esistono.
Quante regole della recitazione sono regole di vita.
Quanto nell’improvvisazione niente sia lasciato al caso.
E’ dura mettersi alla prova. Ed è ancora più dura ammettere di essere banali, scontati, pieni di sovrastrutture e pregiudizi. Recitando vengono fuori i propri limiti, le proprie insicurezze, le proprie paure e lezione dopo lezione, ora dopo ora, si sciolgono dentro e fuori quella stanza.
Non ti importa più del contorno, della forma, del superfluo. Arrivate le 19 vuoi solo mettere le tue converse, buttare i tacchi e la giacca, ed entrare in uno spazio in cui potresti vivere per ore, senza mangiare o bere.
Se vi sembra esagerato, vi auguro di provarla almeno una volta nella vita una sensazione così.
Quando sei davvero dentro qualcosa, abbi il coraggio di rimanerci.
“State”, ci dicono a lezione.
Stacci.
Prenditi il tuo tempo.
Vivitelo.
E poi, restituisci.
Anche un silenzio.
“Fatevi portare dal vostro centro”, anche questo ci dicono sempre a lezione.
È difficile capire cos’è, dov’è e perché.
Ma è da lì che parte tutto.
Fatevi portare dal vostro centro. Seguitelo.
Chi lo chiama cuore, chi plesso solare, chi istinto, chi energia. Che importa.
Seguite il vostro centro.
E se il vostro centro vi porta dal codice civile ad un palco sgangherato di un teatro Off, è sul palco sgangherato di un teatro Off che dovete salire.
Piangerete di felicità. Non di frustrazione.
Troverete sulla vostra strada chi cercherà di ridimensionare questo vostro amore.
Chi vi dirà banalizzando “eh si, è bello coltivare un hobby”, facendovi sentire ridicolo, fuori dal mondo e fuori tempo. Chi vi farà sentire strano. La noia sulla faccia di chi vi ha appena chiesto “E quindi che si fa a questa recitazione”? dopo la prima parola della vostra risposta.
Non importa.
Andate avanti per la vostra strada.
Se è la vostra strada lo sentirete nelle ossa, nella testa, nel centro.
Avrete sempre un monologo che vi ronza nella testa, e avrete sempre voglia di imparare il prossimo.
Paradossalmente, quello che accade recitando, è autentico.
Di recitazione non si vive, mi dissero tempo fa.
Di insoddisfazione, si muore, non ebbi la prontezza di rispondere.
Per salvarsi, si è sempre in tempo. Sali sul tuo palco. E il sipario non calerà mai.
Anche perche nei teatri Off il sipario manco ci sta.
 

Donatella Di Lieto

[Le opinioni espresse sono a carattere strettamente personale/ Views are my own]

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Augusto: la nascita di un impero

Ottenne magistrature ed onori prima del tempo: alcune furono create appositamente per lui o gli furono attribuite in modo perpetuo.
(Svetonio, Augustus, 26)

Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, meglio conosciuto come Ottaviano o Augusto, fu il primo imperatore romano. Il Senato gli conferì il titolo di Augustus il 16 gennaio 27 a.C. Read more

Febbraio in Filosofia

La redazione de La Chiave di Sophia vi segnala alcuni tra gli eventi più interessenti dedicati alla Filosofia per il mese di Febbraio, rispettivamente a: Vanezia, Bologna e Roma

VENEZIA – Università ca’ Foscari

La città intelligente è sociale

Nell’ambito dei Caffè Letterari di Treviso
Coordina Ivana Padoan

Giovedì 12 febbraio 2015 Ore: 17.30

Basilico 13, Piazza San Vito, 13, 31100 Treviso

Relatori: Liliana Manfio, Adriano Bordignon, Stefania Barbieri, Cristina Greggio, Luca Musumeci

Maggiori informazioni qui.

Locandina evento: http://intra.unive.it/phpapps/eventi/allegati/event_3253155_1.pdf

 

BOLOGNA – Dipartimento di Filosofia e comunicazione

Seminario “La lingua e la spada”, riflessioni su linguaggio e violenza

Argomento del seminario sarà la questione del rapporto tra violenza verbale e violenza fisica. Più esattamente, si cercherà di rispondere alla domanda se esista uno specifico della violenza verbale e in che relazione essa si collochi rispetto a quella fisica.La tesi che si sosterrà è che nella forma di vita umana, questi due tipi di violenza sono strettamente intrecciati. Solo se si considera la violenza verbale nel contesto più ampio delle pratiche sociali in cui è inserita, è possibile comprendere in che senso le parole possono diventare armi.Nella prima parte del seminario la prof.ssa discuterà quello che sembra essere il presupposto generalmente accettato dalla letteratura sull’argomento, ovvero che esistano parole neutre. Nella seconda parte proverà invece a mettere alla prova la tesi della continuità tra violenza verbale e violenza fisica attraverso un esempio.

5 febbraio 2015 dalle 11:00 alle 13:00

Dove aula Mondolfo, via Zamboni 38, Bologna

Partecipanti prof.ssa Francesca Piazza – Università di Palermo

 

La violenza contro le donne e identità maschile

5 febbraio 2015

Via Zamboni 38, aula V, ore 15-17
Responsabile scientifico professoressa Valeria Babini

Locandina evento. http://www.dfc.unibo.it/it/eventi/violenza-sulle-donne-e-identita-maschile

Ri-conoscere le mafie – Esperienze e prospettive a confronto

20-21 febbraio 2014

20 febbraio, ore 9.30
Sala Cappella Farnese, Palazzo D’Accursio, Piazza Maggiore 1
21 febbraio ore 9.30
Aula Magna, Regione Emilia-Romagna,Viale Aldo Moro 30

ROMA – Pontificia Università della Santa Croce

Convegno Internazionale di Filosofia

Lo sviluppo della persona nelle organizzazioni

Roma, 24-25 febbraio 2014

Maturare, fiorire, generare. In diverse lingue il termine human flourishing si sta diffondendo come sinonimo di crescita coerente della persona. Il convegno sarà occasione per riflettere sul rapporto fra l’irrinunciabile cornice istituzionale, l’etica aziendale e il proprio sviluppo. Uno sviluppo che è responsabilità, ovvero impegno riguardo alle esigenze personali in diversi ambiti relazionali. Saranno valutati i progressi della psicologia nella spiegazione delle necessità umane nel contesto delle organizzazioni, e la sua modalità di affrontare i quesiti permanenti sulla felicità e la vita riuscita. Altra protagonista del convegno sarà la filosofia narrativa, piattaforma di pensiero che consente di indossare le grandi idee sulla perfezione personale. Le riflessioni sul coaching metteranno in evidenza questioni antropologiche essenziali non del tutto esplorate in ambito filosofico, dal rispetto per la libertà altrui alle grandi sfide del soggetto che cresce: comprensione di sè, di ciò che vuole davvero e del modo in cui lo può raggiungere.

Programma: http://www.pusc.it/fil/conv2014/programma

Locandina: http://www.pusc.it/sites/default/files/fil/conv2014/DEPLIANT_C14.pdf

                  http://www.pusc.it/sites/default/files/fil/conv2014/CALLforPAPER_C14.pdf

La redazione
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