The floating piers: the floating experience

È l’evento culturale più chiacchierato del momento, la prova artistica più attesa e probabilmente tra le più importanti di quest’anno a livello mondiale; presentata fin da subito con uno slogan tanto arrogante quanto accattivante:
«Vi farò camminare sulle acque».
Trattandosi di un artista il cui nome è Christo, non può che apparire come un segno del destino.

The floating piers, i moli galleggianti. Dei ponti galleggianti. In una attualità segnata dalla Brexit, da sfide ai ballottaggi fino all’ultimo voto e da nuclei religiosi che si schierano contro il resto del mondo, trovo sia quasi romantica la scelta di costruire dei ponti, di unire due realtà lontane o differenti – o anche solo così, semplicemente creare un contatto. Al ritmo di 50.000 visitatori al giorno, italiani e stranieri, donne e uomini, adulti e bambini e anche animali camminano sui 3/4 km di tessuto giallo dalia che, come un filo che cuce i margini del lago, accende l’acqua blu di una nuova possibilità. Un rito collettivo, un’esperienza nuova e gratuita che, nonostante le controversie, è riuscita ad avvicinare centinaia di migliaia di persone all’arte contemporanea.

Sì, perché è di arte che parliamo. Ridurre il concetto di arte al solo oggetto è impensabile, soprattutto a partire dalla seconda metà del Novecento, ma difficilmente lo si può fare anche per tutto quello che c’è stato prima. L’architettura ne è un valido esempio, perché molto più che l’edificio in se stesso essa è lo spazio che l’edificio disegna, e il modo di viverlo; ma nemmeno il David di Michelangelo è solo un blocco di marmo straordinariamente scolpito: è anche l’esperienza sensoriale che ricevi quando ci giri attorno, sono i pensieri che ti fa nascere nella mente e i sentimenti nell’anima.
Christo ci offre un’esperienza, nuova e squisitamente estetica. Non si attraversa il lago per andare da A a B, si fa un viaggio attraverso il lago, diverso da quello che fai in barca e diverso soprattutto da quello che fai quando hai una meta da raggiungere.

Io ci sono stata, e posso dirvi che non si tratta affatto un mero camminare su di una passerella: è una passeggiata di circa tre ore in cui diventi un tutt’uno col paesaggio.
Comincia che nemmeno te ne accorgi: svolti una curva, pensi che la fila continui, e invece – sbam! Sei sul ponte! Ed è… stranissimo! Tutti ridono meravigliati, cominciano a camminare adattandosi pian piano alla nuova situazione, tastano con i piedi un territorio inesplorato. Passeggi sul pontile ondeggiando al ritmo delle onde, perché le senti le onde, una per una sotto i piedi – i cubi sottostanti si adattano talmente al movimento del lago che ti sembra davvero di camminare sull’acqua –, quindi ti muovi su questa superficie elastica, morbida, e tutti i sensi sono stimolati, compreso quello dell’equilibrio. Fai tutto il primo ponte esplorando le tue sensazioni, la cornice di lago e profili collinari è incredibilmente suggestiva e pian piano ti ci immergi dentro. Quando poi arrivi all’altra sponda (Montisola) e cammini sulla strada lungo il lago, ombreggiato dagli ulivi che si sporgono verso l’acqua e sommerso dal chiacchiericcio di uomini e cicale, ti sembra ancora di ondeggiare. E poi ritorni sul molo, improvvisamente c’è più spazio, puoi anche sederti, distenderti, senti il movimento delle onde che ti scorre sul corpo. Anche gli altri sensi sono stimolati: l’odore dell’acqua, solo lievemente salmastra, e pulita, lo scricchiolio della passerella al passaggio di ogni onda (sembra di sentire come delle onde di sassi), poi il vento, e i colori! Il verde scuro del paesaggio, punteggiato di bianco, di marroni, di fortezze; l’azzurro del cielo, il blu un po’ verdastro dell’acqua, e poi quei fili appena appena adagiati sulle onde, un tratto di pastello sul paesaggio, arancione – no, oro! Anzi, quasi rosso! Cambia con te, cambia col sole, il tessuto è cangiante e ondoso come il lago, è chiaramente artificiale ma così delicato che quasi sembra fatto apposta per quel contesto, per quel sinuoso profilo montuoso dell’Iseo. Naturale ed artificiale in sintonia. Land Art: l’uomo che agisce sul paesaggio non come una sfida, ma con un senso di gratitudine, vuole contribuire ad un grande spettacolo. Bellezza aggiunta alla bellezza.

The floating piers1 - La chiave di Sophia   The floating piers2 - La chiave di Sophia   The floating piers4 - La chiave di Sophia

Pensi a questo e a mille cose, chiacchieri, sogni, mentre papere, anatre e qualche cigno ti nuotano accanto, indisturbati. Un po’ li invidi perché fa caldo, e l’acqua è così blu che muori dalla tentazione di immergerci una mano. Lo fai, ma poi ti viene voglia di fare un tuffo e allora la sicurezza, prontamente, fischia: la sicurezza è imponente, l’organizzazione estremamente precisa – giusto perché siamo sempre convinti che le cose all’italiana siano fatte male per definizione. Arrivi all’isolotto di san Paolo, gli spazi sono ancora più grandi e di conseguenza ancora più vitali: c’è gente che passeggia, cani che corrono, bambini che saltano, gruppi che giocano a carte, ragazzi e non-ragazzi distesi, si fanno cullare dal ponte galleggiante come dal vento su un’amaca. Le persone ridono, sono entusiaste, sentono quella sorta di magia dei sensi. Anche il corpo è vivo: spesso quando ci si tocca vicendevolmente ci si dà la scossa. E il tempo scorre senza lasciar traccia di sé, pensi che vuoi stare lì a goderti il sole fino all’ultimo raggio. Poi invece ti decidi, ti rialzi, riprendi il cammino: di nuovo l’intreccio di fili di dalia infuocati sul morbido velluto blu dell’acqua, ormai ti sembra normale passeggiare su di un lago – questa idea ti colpisce all’improvviso e pensi di essere impazzito, perché in realtà non è normale! –, ti guardi attorno con la naturalezza di quando sei a passeggio nel centro della tua città, solo che attorno a te è tutto diverso. Torni sull’altra isola, quella grande, ti fermi di nuovo per una birra, un gelato; per un po’ cammini e dal tuo argine guardi i moli in lontananza, ma sei sempre sul tessuto giallo. Infine l’ultima passerella, cioè la prima, di nuovo ondeggi, sei di nuovo al centro del paesaggio. Non è come andare in barca perché non vieni portato, sei tu che ti muovi: sei attivo, autonomo, del tutto vitale in ogni momento del viaggio – sei tu che ti fai paesaggio. All’andata abbiamo trovato degli anatroccoli, acciambellati pacifici sul ciglio arancione, stavolta passa una specie di chiatta e sopra un signore con una zazzera bianca che indica e parla con delle persone. Non è rarissimo vedere Christo che dà un’occhiata al suo progetto. Matematicamente scatta l’applauso, la gente lo saluta, lo ringrazia con l’entusiasmo. Poi trovi ragazze che distribuiscono quadratini di stoffa dalia cangiante, lo prendi te lo porti a casa sapendo di aver vissuto un’esperienza irripetibile.

Ancora me lo rigiro tra le dita, questo quadrato di stoffa, e lo osservo.
Sono convinta che l’arte non sia delle nicchie. Poiché è specchio del nostro tempo e della nostra società, l’arte ci racconta e ci descrive – guardandola, noi dovremmo vedere noi stessi. Perciò tutti dovremmo guardarla, anche per conoscerci un po’ di più. Sarà anche per questo che non mi dispiace quest’arte che grida, agita la mano in aria, richiama l’attenzione, dice “Io sono qui! Venite a dare un’occhiata!”. Ormai siamo talmente cinici che appena una cosa è famosa ne prendiamo le distanze, invece di osservarla da vicino con occhio critico. Peccato che così rischiamo di perderci, senza ogni logica, una grande esperienza; che può essere piacevole oppure terribile, ma sicuramente ha un valore intrinseco positivo, perché ci avrà lasciato dentro qualcosa di nuovo.

 

Giorgia Favero

 

Nelle immagini:
Christo & Jeanne-Claude
The floating piers, 2014-2016
Lago d’Iseo, Italia
Tessuto giallo dalia, feltro, cubi di polietilene ad alta densità.

Per approfondire il loro lavoro, dai monumenti impacchettati ai grandi ombrelli del Giappone, qui il link per il sito ufficiale.

Tre tazze di tè e un cucchiaino di Filosofia

«La prima volta che bevi un tè con uno di noi sei uno straniero, la seconda un ospite onorato, la terza sei parte della famiglia» – Haji Ali, capo del villaggio Korphe, Pakistan.

Il tè è la bevanda che, in molti luoghi del mondo, viene utilizzata per socializzare, oltre che per comunicare emozioni di vario genere, per accogliere gli ospiti, per concludere trattative, per riunirsi e stare un po’ insieme, per iniziare la giornata e per concluderla, per prendersi una pausa, per fare pace, per stare meglio.
Per il tè ci vuole tempo e passione, la sua preparazione è un rito che con i suoi movimenti ed i suoi tempi precisi induce alla calma, al rilassamento; il suo profumo riempie i sensi, il suo calore scalda le mani, il cuore e l’anima, perché le sue piccole foglie, quando si aprono, fanno incontrare diverse culture e tradizioni.
È la bevanda che dalle Corti Imperiali della Cina, ai Monaci Zen alle Geisha giapponesi, dai venditori ambulanti dell’India, dall’aristocrazia Europea al popolo ancora oggi unisce e racconta leggende, riti, usanze e guerre in epoche e paesi diversi di tutto il mondo.

Il suo profumo mescolato ad aromi di frutta, fiori, radici e spezie è unico e rapisce, così va scelto e cercato tra le sue forme ed i suoi colori così diversi! C’è un tè per ogni stagione, per ogni momento, per ogni occasione, per ogni umore e raccontarlo, descriverlo e offrirlo a qualcuno è un vero onore. E’ come un gioiello prezioso che va indossato solo nel giusto luogo, nel giusto momento e nel giusto tempo, quel tempo che ci vuole, per prepararlo, gustarlo lentamente alla giusta temperatura, inalando le sue delicate sfumature di profumi che ci riportano alla mente antichi ricordi, inducendoci a parlare e ad ascoltare con calma.

Le antiche civiltà cinesi e indiane conoscevano la cosiddetta energia della luce, chiamata Qi: si pensava che fosse presente in diverse sostanze naturali sotto forma di energia curativa e queste “cellule della luce” sono presenti ancora intatte nel tè verde, il più prezioso tra i quali, il matcha, viene usato nella cerimonia del tè (Cha No Yu o Chadō), un’attività culturale dalle antichissime origini, tutt’oggi praticata in Giappone e dietro alla quale si nasconde una vera e propria filosofia di vita.

Il tè in Italia è ancora un grande sconosciuto: è ancora quella cosa che si beve quando non si sta molto bene, quella cosa che fa bene ma che non ci piace tanto, quella cosa che è legata spesso a brutti ricordi.
In Oriente invece le case da tè sono immerse nel verde e nella quiete fuori dai centri abitati: questo concede concentrazione, in assoluto rilassamento del corpo e della mente, per ritrovare pace e serenità.

Noi vorremmo, attraverso la divulgazione della cultura del tè, far conoscere le sue molteplici forme, i suoi colori, i suoi infiniti profumi, le sue storie e leggende, i Paesi da cui proviene e le tradizioni a cui appartiene, gli oggetti necessari alla sua preparazione, le cerimonie e quell’infinito mondo che appartiene alla filosofia del tè.

Gabriella Scarpa – Ar-tea Associazione culturale

Appuntamento mercoledì 22.06 ore 20.00 presso Ar.tea Associazione culturale a Treviso per l’evento Tè con Filosofia: la Filosofia nel quotidiano.

Maggiori info: qui