Balotelli, l’ultimo dei romantici

Ieri sera si è giocata Udinese Milan, prima da titolare nella sua nuova avventura al Milan per Mario Balotelli, figliol prodigo atterrato a Malpensa questa volta con l’etichetta di oggetto misterioso, e subito sotto, sulla confezione regalo, un’altra scritta che recitava “last chance”, con tanti saluti da Liverpool.

A Mario bastano però solo cinque minuti per riaccendere la luce sul palcoscenico della sua carriera. Punizione dai venti, venticinque metri. Rincorsa corta e destro potente a girare, con la palla che finisce la sua corsa nell’angolo alto alla destra di un Karnezis immobile.

Io non sto seguendo la partita e vedo il replay del goal su internet praticamente in diretta e mi chiedo: è questo un momento-Mario? È un (altro) punto di svolta nella breve ma già abbondantemente ondivaga carriera di Balo? Cosa significa questo bellissimo goal? È giunta finalmente la redenzione, la maturità personale e calcistica che tutti si aspettavano da lui? Oppure non significa niente e sarà solo un altro fuoco di paglia, con i giornali che si scaglieranno sulla prima bravata del numero 45, e l’inizio di una nuova stagione deludente e tormentata?

Queste domande me le sono fatte io ma penso se le facciano un po’ tutti gli amanti del calcio, tifosi milanisti in primis. Per me è stato un altro tassello della mia storia d’amore travagliata con Super Mario, sbocciata in tenera età -di entrambi- tifando Inter. Il gol all’Udinese è una rete da fuoriclasse (come si chiamavano una volta), di un fuoriclasse che spesso si dimentica di esserlo, per molti motivi difficili da rintracciare e spiegare compiutamente da gente che non abbia uno straccio di laurea in psicologia. E allora cosa è andato storto e cosa nel verso giusto nella carriera di un giocatore capace di far innamorare e farsi odiare in egual maniera? Un calciatore che al giorno d’oggi divide -in Italia sì, ma chiedete anche in Premier- come pochi altri. Ne faccio esperienza quasi quotidiana con i miei amici: chi lo incensa e chi lo definisce sopravvalutato, spesso per partito preso più che sulla base di dati oggettivi; e come in ogni storia di alti e bassi talvolta prevalgono gli uni, talaltra i secondi. Dipende da dove tira il vento e dove tira lui.

Ho scritto nel titolo che Balotelli è l’ultimo dei romantici e intendo sia in senso letterario che calcistico. Se la vita di Mario fosse un libro sarebbe sicuramente un Bildungroman (romanzo di formazione) di metà Ottocento, alla Foscolo o Goethe, bello lungo, nel quale però a metà racconto questa benedetta formazione non pare arrivare; o meglio sembra si arrivare ma non arriva mai.

Anche perché Mario a 25 anni di vite ne ha vissute già fin troppe: dall’affido alla famiglia Balotelli a Brescia da parte dei genitori ghanesi, alle giovanili nel Lumezzane e all’esordio in Seria A a 17 anni con l’Inter. Da lì non è più stato un giocatore normale. Grandissimo talento controbilanciato da problemi comportamentali dentro e fuori dal campo che dividono l’opinione pubblica. Mario è un caso quando subisce insulti razzisti dai tifosi, quando gioca male o quando reagisce a provocazioni in campo. I media contribuiscono montando storie su ogni cosa che lo riguardi. Diventa così ancora giovanissimo un’icona e uno dei personaggi più chiacchierati e discussi del panorama sportivo e non solo. Vive di alti e bassi, momenti esaltanti alternati a periodi bui e bravate, sempre puntualmente rinfacciategli da giornali e tifosi. Ma la storia di Mario è fatta di montagne russe, vittorie, fallimenti, grandi occasioni buttate e nuove occasioni da sfruttare. Per questo mi sento di paragonarlo all’archetipo dell’antieroe letterario, in balia della sua personalità contrastata, che rischia di oscurarne il talento, e delle alterne fortune. Romanzescamente fa’ fortuna, vince (Inter e Man City), ma poi cade e delude. C’è sempre chi è pronto a scaricarlo e chi a dargli una seconda possibilità.

In un calcio moderno di star e giocatori fisicamente perfetti, automi strapagati e duri da incrinare, Balotelli incarna il ruolo del giocatore-divo nella sua versione piena di contraddizioni, prima personali-caratteriali e dunque calcistiche. Coniuga le due facce della medaglia come pochi negli ultimi decenni. Rare volte si era vista una giovane promessa così frequentemente sul punto di esplodere, ma puntualmente tornata sui suoi passi. Un giocatore dal potenziale che a inizio carriera non si faticava a definire illimitato. E come tutte le cose vaghe e indefinite, come diceva Leopardi, questo eterno incompiuto ci stuzzica assai. Moltissimo si è scritto e detto sul talento inespresso e sulle potenzialità del giocatore Balotelli che andando avanti nella sua carriera è sempre più diventato un facile bersaglio se le cose andavano male e un nome da titolone in caso contrario. Romantico quindi perché in conflitto, con se stesso e col mondo; e perché anche il suo modo di giocare -da molti criticato soprattutto tatticamente- è prettamente figlio dell’emozione, della voglia di stupire e confermare prima di tutto a sé che non è un giocatore normale. Colpi estemporanei, imprevedibili e incalcolabili che stonano con i tatticismi ad oltranza odierni. Goal di stordente forza mista a bellezza: vedi i due contro la Germania nella semifinale degli Europei del 2012; altro momento-Mario, forse il punto più alto finora della carriera di Balotelli, e la sera nella quale ho pensato che si finalmente era arrivato il SUO turno. Lì doveva spiccare il volo, ma anche quel momento durò una notte.

Veniamo al problema di fondo che ci pone di fronte il ritorno di Balo al Milan, dopo un’annata molto deludente al Liverpool, e il suo primo goal in Seria A 2015/2016. Può Mario Balotelli, ultimo discendente della tradizione romantica trovare un suo posto nel mondo del pallone di oggi o rimarrà un anacronismo, un giocatore dalle gesta folgoranti, ma in definitiva impalpabile? E se un posto per lui c’è, e fidatevi che c’è, come fare per ottenerlo e tenerlo stretto. A parer mio Mario non può né dovrà rinnegare la sua natura, bensì bisognerà inserirlo in un contesto diverso, che lo protegga, valorizzando i suoi colpi all’interno di un sistema di gioco che non gli richieda di improvvisare sempre, ma senza negarglielo a prescindere. Lui deve solamente avere di nuovo voglia di dedicarsi al calcio e trovare costanza di rendimento e fiducia, tutto il resto viene dopo. Perché come disse un mio caro amico: “Non venitemi a dire che Balotelli è scarso”.

Io, comunque vada, continuerò a seguire le gesta di Mario sperando trovi finalmente la zolla giusta perché, in fin dei conti, che gusto c’è a stare dalla parte di chi vince sempre?

Tommaso Meo

[immagine tratta da Google Immagini]

Uno, molti, Goethe

Di Goethe si sono scritte montagne di libri, di conseguenza il mio articolo non vuole soddisfare lo studioso quanto pungolare il curioso. Per fare ciò mi occuperò di un tratto particolare di una delle innumerevoli tematiche possibili, ossia la dialettica fra unità e molteplicità, vale a dire tra arte e vita, nel poeta e nella poesia. Si avverte infatti una tensione forte che attraversa non solo il contenuto degli scritti ma anche la forma, non solo il gusto del poeta ma anche le scelte. Lo stile, in ogni opera consolidato e guidato da mano esperta, varia; si alternano la prosa, ponderata dal ritmo audace e insieme sobrio, e la poesia, dalla vocazione universale, grandiosa ed eternante. Questa è la chiave della grandezza di Goethe, grandezza che investe in tutto l’uomo e le sue mille forme.

 
Goethe miscela con studiata sapienza elementi provenienti da molteplici tradizioni spingendo le sue radici più a fondo. Dapprima, come si narra nel romanzo di formazione ”Gli anni di pellegrinaggio di Wilhem Meister”, viene l’interesse per il dramma e il teatro, per Shakespeare, per la classicità greca e latina accompagnato da una storicamente precoce sensibilità a leggende e miti tedeschi ed europei, fino ad approdare in oriente. Questa eterogeneità di modelli può risultare di difficile utilizzo persino da colui che se ne serve, esponendolo sempre al pericolo dell’eccesso, ossia del kitsch. Ad esempio, un orecchio mediamente allenato può notare l’intrinseca disorganicità del Faust eppure deve ammettere che l’insieme è di felice riuscita come poche opere dello spirito umano. L’opera, che nasce come parodia di un certo ambiente accademico, subisce nei sessant’anni di gestazione l’influsso delle mille forme assunte dal poeta, venendo a rassomigliare al frutto di un popolo più che di un solo uomo, di un’esplosione di forze più che di accumulo. Di contro abbiamo i dolori del giovane Werther, opera giovanile, scritta di getto in uno sforzo quasi estatico di sole quattro settimane: ferita d’amore ancora brutalmente aperta. E ancora le liriche, i trattati di estetica, scienze naturali e architettura. Chi mai si aspetterebbe che il grande poeta stimasse tanto Pacioli da definire la sua scoperta, la partita doppia, un massimo risultato dell’umanità [1].

 
Se finora si sono mostrati gli elementi di molteplicità mostriamo ora la tendenza accentratrice: Goethe fu al contempo colui che tuonò “non devono prevalere” in riferimento alle nascenti tendenze romantiche: come un Giove respingeva e vinceva l assalto dei giovani titani portandoli al silenzio. Poiché l’arte è ciò che si erge solida sul tempo, essa non può permettere di essere superata. La maledizione contro i romantici, esula il diretto obiettivo e minaccia la possibilità estetica del nuovo. Desertificando l’arte contende a sé il mondo, e la forza del poeta diviene sommo pericolo. Questa tendenza totalitaria è in lui accompagnata talvolta da una tolleranza che sa poco di umanesimo e rassomiglia più al silenzio dell`icona del dio invocato nella preghiera; ai molti giovani adoranti che gli si presentavano, egli non volle dar la soddisfazione del consenso e al più si limitava con un certo imbarazzo ad esortare ad uno studio frequente e solerto.

 
Goethe, l’uomo preso da questa tensione, dovette sforzarsi all’armonia e all’equilibrio, fu abbastanza savio da scindere il Werther da sè, ossia l’arte dalla vita, si servi dell’ironia per autodifesa. Il poeta uscirà vincente: sprezzante potrà invitare l’umanità a seguirlo senza rompersi il collo.

Francesco Fanti Rovetta

[immagine tratta da Google Immagin]

 

NOTE

[1]Fra Luca Benedetto da Pacioli (1445-1517), si occupò di teologia, matematica e teoria economica. In quest’ultimo campo fu inventore della partita doppia, tecnica che agevola il conto di entrate ed uscite, adottata oggi in tutto il mondo.