Cercare di comprendere il ruolo che le religioni rivestono all’interno di quanto cade sotto il concetto di “multiculturalismo” risulta essere un compito la cui importanza è fuori discussione, ma, al tempo stesso, si presenta come un qualcosa di arduo, poiché, in ultima istanza, risente in grande parte dalla sfera valoriale e dalle convinzioni profonde cui aderisce chi indaga: detto ruolo può, quindi, essere ritenuto cruciale, come, al tempo stesso, l’intera analisi può essere guardata come una perdita di tempo. Da parte nostra, si tratta di fare un passo indietro da quel “noi stessi” che siamo, per guardare alla questione nell’ottica delle decisioni pubbliche (diritto) e di quelle private (quanto a vario titolo possiamo chiamare “bioetica”).
Ecco, dunque, che questa componente soggettiva, per così dire, si traduce in due errori – facili da commettere, in quanto ugualmente suggestivi – che, all’oggi, paiono monopolizzare la scena. Da un lato, abbiamo una previsione proveniente dall’area “laica”, per la quale le religioni sono inesorabilmente destinate ad avere un peso via via inferiore (per giungere, in breve tempo, allo zero) all’interno delle società avanzate. Dall’altro, vi è chi sostiene che con il multiculturalismo le religioni, e con queste le gerarchie religiose, riprendano – ed a pieno titolo – quella centralità nella vita pubblica che un certo pensiero aveva loro sottratto.
In merito alla prima posizione, troviamo che essa sia erronea in quanto il trend previsto viene smentito dalla stessa formulazione di leggi che risentono fortemente delle posizioni religiose. Si pensi alle legislazioni in materia di trapianti adottate in stati che dispongono delle tecnologie più avanzate (Giappone, New Jersey). Tali legislazioni incarnano la posizione religiosa, o le obiezioni su base religiosa, al criterio di morte fatto proprio dal diritto. Abbiamo, quindi, che delle posizioni connotabili, a pieno titolo, come religiose giungono sino al punto da tradursi nel diritto. Il diritto, in altri termini, risente dei principi più astratti sanciti dalla sfera religiosa (il “non uccidere” su tutti)
Con ciò, parrebbe confermata la seconda posizione, sembrerebbe cioè esservi una semplice traduzione del discorso religioso nel diritto – ma non è questo il caso. E non lo è in quanto le religioni, certo, non vengono meno, una volta a contatto con le società occidentali (la prima posizione), ma non hanno neppure quel ruolo di guida che i sostenitori della seconda posizione vorrebbero.
Vediamo meglio: S. Moller Okin mostra come i fenomeni migratori (dal Maghreb alla Francia) comportino dei cambiamenti, per quanto attiene alle decisioni private, negli stessi immigrati. Qui accade un qualcosa di segno inverso rispetto a quanto abbiamo visto nel caso dei trapianti: ora non sono più, infatti, i principi delle religioni a tradursi in leggi, ma la sfera privata – dal contatto con la nuova realtà – risulta trasformata.
Le religioni stesse, quindi, non hanno un’autonomia nei confronti delle situazioni concrete in cui gli individui in carne ed ossa si trovano – come pretende chi sostiene la seconda tesi -, ma le decisioni personali risentono in modo decisivo della situazione nella quale le persone si trovano. È sempre Moller Okin, infatti, a dirci che come le donne immigrate accettano la poligamia nel Maghreb, così la contestano in Francia: ebbene, occorre rilevare che qui non siamo di fronte ad una obiezione di principio (non è la poligamia in quanto tale ad essere messa in discussione). Tutt’altro. Da questo caso, possiamo vedere come le decisioni individuali non siamo la mera applicazione di principi astratti; detti principi, certamente, hanno un peso, che dev’essere però continuamente confrontato, in ultima istanza con le condizioni materiali dell’esistenza. Abbiamo così che la materialità della vita giunge a ridescrivere la stessa sfera religiosa.
Per rispondere alla domanda iniziale (il ruolo, ed il destino, delle religioni nelle società attuali) dobbiamo, allora, riconoscere due snodi centrali: 1) la componente religiosa è reale – all’interno delle società tecnologiche (Giappone, New Jersey) – e non vi sono dei segnali che diminuisca (anzi). Ma 2) tale presenza forte non è la semplice riproposizione di un discorso astratto, ma fa tutt’uno con le situazioni reali nelle quali si trovano i credenti.
Per concludere, abbiamo così guadagnato una “terza via” rispetto a chi vede la fine imminente della presenza delle religioni nella sfera pubblica, ed a chi ritiene, invece, che detta presenza sia nel segno esclusivo delle formulazioni delle varie gerarchie (o, detto altrimenti, dei principi intangibili, ecc.). Proprio questa “terza via” sarà la modalità nella quale, pensiamo, le religioni continueranno ad essere presenti nel mondo odierno.
Marco Tuono