Ragione e sentimento nell’elettorato: perché abbiamo perso la ragione

<p>Ragione e sentimento</p>

Saper riconoscere i propri sentimenti ed esprimere le proprie emozioni è fondamentale. Far andare a braccetto ragione e sentimento, è un’altra storia. Eppure oggi è più fondamentale che mai.
In un precedente articolo, scrissi di un cambiamento culturale in seno alla società occidentale iniziato nella seconda decade degli anni Duemila, e sviluppatosi in antitesi a quello che le epoche precedenti rappresentavano. Tra le caratteristiche di questo cambiamento c’è il ritorno sulla scena pubblica (oltre che privata) delle emozioni.

Si tratta, di per sé, di una tendenza positiva: il coraggio di esprimere le proprie sensazioni è alla base del benessere quotidiano di ogni individuo. Tuttavia, allontanandoci da una prospettiva micro e assumendo un punto di vista macro, la situazione non appare poi così rosea. Infatti se per la sfera privata si tratta di una scelta personale, appunto privata, per quanto riguarda la sfera pubblica, questo cambiamento può avere ricadute più evidenti, come da ultimo dimostrato da decisioni storiche degli ultimi anni.

Nel periodo post-Brexit, nel tentativo di dare una spiegazione alla scelta dei britannici, è stato coniato il concetto di post-verità: la decisione sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è infatti considerata uno dei frutti della cosiddetta era della post-verità. Quando si parla di post-verità ci si riferisce a quel fenomeno per cui un’informazione è giudicata positivamente quando suscita emozioni e sensazioni nell’ascoltatore: a definire la rilevanza di un’informazione pertanto non è la veridicità fattuale della stessa, ma la sua capacità di parlare “alla pancia” di chi ascolta. Secondo questo principio, le decisioni, quelle collettive del livello macro, vengono prese sulla base del fatto che ciò che trova riscontro nelle proprie emozioni, non può che essere vero e soprattutto giusto, perché vere e giuste sono le emozioni stesse. Tuttavia, tale meccanismo può risultare drammaticamente fuorviante, nonché pericoloso quando su questa scelta si determina il proprio voto politico.

In tal senso, può essere utile ricorrere all’esempio dell’adrenalina. L’adrenalina è infatti un neurotrasmettitore che messo in circolo in seguito ad eventi stressanti prepara l’organismo ad una prestazione fisica superiore alla normalità, necessaria per la sopravvivenza in una situazione che l’individuo (o l’animale) ha percepito di pericolo. Se per l’animale tale sostanza è fondamentale nella lotta contro un predatore o per la preda, per l’uomo che non è più chiamato a lotte fisiche per la sopravvivenza, l’adrenalina diventa controproducente poiché abbassa la capacità di ragionare e causa confusione mentale. In preda ad una emozione forte, l’adrenalina fa concentrare un individuo esclusivamente su un singolo elemento, mettendo da parte tutte le altre circostanze, che seppur rilevanti perdono attrattiva. Questa visione parziale lo porta a decisioni che non sono razionali.

L’esempio dell’adrenalina, per quanto estremo, esemplifica la situazione nell’era della post-verità, dove emozioni e sentimenti sono eretti a portatori di verità. Davanti ad una scelta complessa, per esempio quella di un voto politico, si tende a semplificare il processo decisionale a cui si è chiamati, concentrandosi solo su pochi elementi a scapito della totalità delle informazioni che rappresentano la realtà. In particolare, gli elementi favoriti saranno quelli che sono in grado di suscitare emozioni e sensazioni, secondo un processo mentale generalmente inconsapevole. Informazioni che sembrano poco attraenti, seppur fattuali o scientifiche, vengono ignorate o, peggio, considerate false (per esempio, pilotate da chi vuole farci credere in una realtà che è costruita a vantaggio dei poteri stabiliti, secondo un meccanismo tipico delle migliori teorie complottiste). Tutto ciò non significa che sentimenti e raziocinio siano inconciliabili, nemmeno davanti ad una scelta come quella del voto.

Parlando di salute mentale, la duchessa di Cambridge ha ricordato recentemente che è importante insegnare ai bambini a comunicare i propri sentimenti quando si rendono conto che sono troppo grandi e troppo forti per affrontarli da soli1. Per i bambini questo è un primo importante passo verso una stabilità emotiva. Quando si diventa adulti e pertanto membri a tutti gli effetti di una comunità civile e politica, esprimere le emozioni ed assecondarle non è più sufficiente: è necessario compiere un ulteriore passo, quello verso una conciliazione con la ragione. Un pezzo mancante e fondamentale di questo cambiamento in favore delle emozioni, è infatti la capacità di riconoscerle, nel senso di identificarle, spiegarle e interpretarle. Un adulto deve imparare a chiedersene il motivo, a riflettere sulle stesse per ricomporre tutti gli elementi della situazione che lo circonda: è chiamato a far sorreggere le proprie emozioni dalla ragione. Questo risulta particolarmente importante in un periodo come quello della post-verità, quando il rischio è che certe decisioni vengano prese su una scia emotiva che ha più l’effetto dell’adrenalina che di una salutare presa di coscienza emotiva.
Riconoscere questo tassello mancante e spiegarlo agli adulti di oggi, forse ci aiuterà a porre fine all’epoca della post-verità e a ricreare un elettorato più cosciente e coscienzioso, per non dire più razionale.

Francesca Capano

 

NOTE:
1. Le sue parole in questo video

 

banner-pubblicitario-abbonamento-rivista-la-chiave-di-sophia-03-03

 

Brexit: il Leviatano capovolto

Al di là della valutazione sull’esito del referendum, abbiamo assistito a una pagina di storia importante per l’Unione Europea e per la storia in generale: il Regno Unito entrato nel mercato unito nel 1973 ha deciso di abbandonare l’Unione Europea. La Filosofia e il pensiero hanno l’obbligo di provare a interpretare la contemporaneità e le vicende che ci riguardano tutti, qualcosa è cambiato.
Le mutazioni derivanti dall’innovazione e la svolta digitale stanno modificando in maniera indelebile le democrazie contemporanee, assistiamo sempre di più alla richiesta di partecipazione, alla disintermediazione che sembra minare in profondità l’idea stessa di democrazia rappresentativa. La democrazia rappresentativa sorge da esigenze palesi, non tutti possono decidere tutto o essere informati su tutto, servono luoghi preposti alla decisione, infrastrutture precise e la decisione non può essere sempre estesa a tutti, eppure il modello democratico che vede nel Regno Unito un esempio a partire dal 1700 sembra entrare in crisi in una nuova richiesta di partecipazione.

Il Regno Unito è la patria di Thomas Hobbes, teorico della turborappresentatività: tutti i cittadini devono stringersi intorno a un despota illuminato e dar così vita al Leviatano; oggi quel Leviatano sembra essersi capovolto, le classi dirigenti sembrano sempre più in balìa di una smodata richiesta di partecipazione che non riescono a canalizzare. Del resto una delle lamentele ricorrenti relative all’Unione Europea è proprio la sua distanza, il sembrare scarsamente rappresentativa della volontà del popolo o di una nuova categoria che serpeggia sempre più nel dibattito pubblico quotidiano “la gente”.

«Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest’uomo o a questa assemblea di uomini, a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto, e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile. Fatto ciò, la moltitudine così unita in una persona viene chiamata uno stato, in latino civitas. Questa è la generazione di quel grande Leviatano o piuttosto – per parlare con più riverenza – di quel Dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa…»
Thomas Hobbes, Leviatano

Hobbes oggi ci sembra un autore estremo, dispotico, conservatore e accentratore, ma nel contempo appare altrettanto rischioso far esprimere tutti su tutto se non correttamente informati. Studi recenti mostrano come l’analfabetismo funzionale sia in fase dilagante mentre l’istruzione di base delle persone è complessivamente migliorata, ma se è vero che ormai quasi tutti sanno leggere pare che non tutti siano in grado di interpretare correttamente un testo. La rete, internet e la digitalizzazione sono strumenti potentissimi per l’informazione, ma diventano anche veicolo di disinformazione: quante volte abbiamo visto amiche e amici cadere tranello in qualche bufala? Perché la tentazione di leggere superficialmente e condividere alle volte è forte, l’approfondimento o il controllo delle fonti risulta faticoso e complesso – anche chi vi scrive adesso un paio di volte è cascato in qualche idiozia per pigrizia. L’editoria così come l’abbiamo conosciuta è in crisi e il controllo delle fonti sembra sempre più superato, la comunicazione si è velocizzata a discapito della profondità; e non lo scrivo con nostalgia, non si torna indietro, ma bisogna farci i conti perché la circolazione di informazioni fallaci comporta anche la costruzione di opinioni meno consapevoli o per nulla consapevoli, irrazionali e dettate spesso da rabbia o rivendicazione.

Guardando la BBC stupisce vedere certi intervistati dire:
«I’m shocked e worried. I voted Leave but didn’t think my vote would count. I never thought it would actually happen». Oppure: «What I have done? I actually didn’t expect the UK to leave».
Persone che in fondo non pensavano che il loro voto avrebbe contato, che lo hanno fatto superficialmente o per esprimere un malessere. Persone che magari lo hanno fatto nella convinzione, anche questo è un mito ricorrente nel dibattito contemporaneo, al motto “tanto i poteri forti non ce lo faranno mai fare!”. Ecco, questa vicenda ha dimostrato che si può uscire dall’Europa, che la democrazia diretta può esprimersi liberamente; non ci sono limiti e proprio per questo dovrebbe renderci tutti più responsabili, perché tutti andiamo a determinare quel Leviatano molto strano di cui ci parla Canetti nel libro Massa e Potere. L’autore impiegò 38 anni a scrivere questo libro, ci tengo a segnalarlo per far capire quanto è complessa questa bestia strana che chiamiamo “Massa”, che è formata da tutti e nel contempo è anche “altro” dalla mera somma di tutti noi.
L’Europa, per le generazioni che l’hanno voluta, era l’orizzonte per sentirsi di giorno in giorno in una “casa”, in un posto più sicuro dopo che la divisione intestina degli Stati Nazione aveva portato a quella deriva culminate nelle due guerre mondiali; oggi ci avventuriamo in acque inesplorate dove ci si chiede fino a che punto si sfogherà questa spinta centripeta che potrebbe vedere la disarticolazione del Regno Unito con la separazione di Irlanda del Nord e Scozia. Ma non è solo questo: in Spagna si inizia a chiedere che Gibilterra, dove ha ampiamente vinto al 96% il Remain, possa tornare spagnola.

Hobbes afferma che il suo Stato assoluto può degenerare in una tirannide, tuttavia ripete a più riprese che questa situazione sarà sempre migliore e più sopportabile della guerra civile. Estremo? Decisamente sì. Però bisogna anche far attenzione ad invocare la democrazia diretta attraverso il referendum in maniera poco accorta, perché il paese si può anche spaccare generando fortissime tensioni sociali tra le parti.

C’è chi ha ridotto questo voto alla disuguaglianza derivante dall’Unione Europea e il declino della classe media, ma è interessante notare invece che i giovani britannici, i quali certamente sono il gruppo sociale che soffre più di tutti delle accresciute disuguaglianze economiche, hanno votato in massa per restare, mentre chi soffriva meno, ovvero gli anziani, ha deciso di lasciare. C’è da aggiungere che molti anziani hanno fondi pensione integrative molto sensibili alla fluttuazione della sterlina e che quindi subiranno maggiormente la sofferenza della moneta.

Non esprimo giudizi, ma pare che l’epoca contemporanea sia sempre più in balìa di un Leviatano capovolto: non un monarca al potere, ma l’egemonia della massa nell’epoca della rete e della democrazia diretta, dove ognuno vale uno, ma non sempre si può garantire che ognuno sia informato correttamente.

La Filosofia e i saperi umanistici forse possono essere d’aiuto nella acquisizione di una maggior consapevolezza, perché senza consapevolezza non può essere fatta una scelta davvero genuina: possiamo scegliere nell’ignoranza, ma restiamo pur sempre responsabili della nostre azioni – come dice Aristotele -, quindi meglio assicurarci di aver capito bene cosa stiamo scegliendo prima di impugnare la matita e fare una X su un foglio elettorale.

Matteo Montagner