Selezionati per voi: Novembre 2015!

LIBRI

Novembre è il mese in cui i colori caldi dell’autunno scolorano nelle fredde tinte invernali. E’ il mese delle sciarpe intorno al collo, della pioggia che si fa prepotente, dell’acqua che porta via le foglie sgualcite, degli ambienti caldi che diventano un rifugio dal mondo esterno, dell’attesa che rende gli animi inquieti. E’ un mese di transizione, di passaggio, di mutazioni in divenire. Non è più autunno e non è ancora inverno. Le letture che voglio consigliarvi parlano proprio di cambiamenti, di trasformazioni, di rivoluzioni interiori.

veronika-decide-di-morire-paulo-coelho-Veronika decide di morire – Paulo Coelho

Veronika, una ragazza giovane e bella, tenta il suicidio ingerendo una massiccia quantità di sonniferi. Si risveglia in un ospedale psichiatrico e proprio in quel luogo dove la normalità non esiste, riscoprirà il valore della vita.

 

 

 noi_due_e_gli_altri_02_2__1Noi due e gli altri – Fionnuala Kearney

Beth e Adam sembrano una coppia solida. Finché Beth non scopre che il marito la tradisce con un’altra. Ma questo è solo uno dei tanti segreti di Adam. La vita di Beth e tutte le sue certezze andranno in frantumi e per ricominciare le toccherà aggrapparsi alle poche verità rimaste.

 

 

00352787_medium

Le ali della vita – Vanessa Diffenbaugh

Letty a trentatré anni lavora in un bar, mentre la madre, Maria Elena, si occupa dei suoi figli, avuti da due uomini diversi quando era solo una ragazzina. Ma inaspettatamente i suoi genitori decidono di fare ritorno nel loro paese natale e Letty dovrà affrontare la sfida più grande: imparare a fare la madre.

 

5928449_343460

Se mi vuoi bene – Fausto Brizzi

Diego ha quarantasei anni, due figli e un divorzio alle spalle quando nella sua vita sopraggiunge un’inquilina inattesa: la depressione. In modo subdolo e graduale la malattia lo porterà a chiudersi in se stesso e a perdere i contatti anche con gli amici più intimi. Solo nel momento più buio Diego arriverà a comprendere quanto sia realmente complicato essere d’aiuto agli altri e penserà ad un modo per rimediare al bene non fatto.

 

Stefania Mangiardi

 

FILM

Novembre è l’ultimo mese davvero utile per andare al cinema e vedere quelli che potrebbero essere ricordati come i migliori film di questo 2015. Tantissimi i titoli presenti nelle sale italiane nei prossimi trenta giorni, con un’ampia possibilità di scelta su tutti i generi: dal blockbuster al film d’autore più ricercato. Abbiamo selezionato per voi tre titoli da non perdere.

45 anni 45 ANNI di Andrew Haigh: Osannato da molti critici e premiato all’ultima edizione del festival di Berlino, 45 anni è il racconto della settimana che precede il festeggiamento del 45° anniversario di matrimonio di una coppia della provincia inglese. Un film intimo e dolente, recitato in maniera superlativa da due attori in stato di grazia: Charlotte Rampling e Tom Courtenay. Un dramma intenso, ben scritto e diretto, destinato a diventare uno dei titoli più importanti di questo 2015. USCITA PREVISTA: 5 NOVEMBRE

 

29883ALASKA di Claudio Cupellini: Dopo l’apprezzato Una vita tranquilla con Toni Servillo, il regista padovano Cupellini torna sul grande schermo con un’opera molto forte, presentata all’ultima Festa del cinema di Roma. Alaska è la storia di una complicata relazione di coppia tra Fausto e Nadine, due giovani dalle vite tormentate che provano ad amarsi cercando di evitare i tantissimi ostacoli che la vita ha in serbo per loro. Il film nel complesso ha delle mancanze, ma la prova di Elio Germano e della splendida Astrid Berges-Frisbey vale da sola il prezzo del biglietto. USCITA PREVISTA: 5 NOVEMBRE

 

la-felicita-e-un-sistema-complesso-posterLA FELICITA’ E’ UN SISTEMA COMPLESSO di Gianni Zanasi: Il pregio più grande del nuovo lungometraggio di Gianni Zanasi è quello di essere un film italiano che però non è né una banale commedia romantica né il solito film che parla di mafia e crimini organizzati nel nostro Paese. La felicità è un sistema complesso è la storia di un uomo che per lavoro avvicina dirigenti totalmente incompetenti e irresponsabili e li convince a dimettersi salvando così il futuro delle aziende in cui lavorano. L’incontro con due gemelli orfani però, cambierà per sempre la sua vita. Lavoro semplice ma ben fatto, il cui punto di forza principale sta nell’ottima scelta del cast: da Valerio Mastandrea a Giuseppe Battiston. Una commedia intelligente che propone qualcosa di nuovo nel panorama del cinema nostrano. USCITA PREVISTA: 26 NOVEMBRE

Alvise Wollner

[immagini tratte da Google Immagini]

Emma – Jane Austen

Ogni romanziere sa che scrivere un libro è difficile, ma scrivere l’inizio lo è ancora di più; gli incipit dei romanzi di Jane Austen sono invece del tutto naturali e portano subito il lettore al centro della storia perché in realtà racchiudono così tanti indizi del libro da lasciare tutti a bocca aperta.

Bella, intelligente e ricca, con una dimora confortevole e un carattere felice, Emma Woodhouse sembra riunire in sé alcuni dei vantaggi migliori dell’esistenza; e aveva vissuto quasi ventun anni in questo mondo con scarsissime occasioni di dispiacere o dispetto”.

Scopriamo dunque già molto della protagonista –il suo aspetto e carattere, la sua condizione sociale, la sua età- ma soprattutto intuiamo che tutto il libro ruoterà attorno alle piccole beghe di una giovane donna che (probabilmente) si troverà finalmente a dover fare i conti con un po’ di dispiaceri e dispetti. Infatti è proprio così: le vicende si collocano nella tranquilla campagna di inizio Ottocento e nella sua piccola società, all’interno della quale l’autrice stessa viveva, e che è dunque capace di ritrarre con vividezza e grande acume, ma soprattutto con velata ma assai decisa ironia.emma-jane-austen

Ecco dunque che ci troviamo immersi nella vita di Emma e ci vengono via via introdotti tutti i caratteristici personaggi che la animano: da prima il rispettabile ma comicamente lamentoso padre, il signor Knightley, uomo deciso ed impegnato nella missione di smorzare la vanità della protagonista, così continuamente sollecitata dall’ammirazione di tutti, e poi ancora la giovane Harriet Smith, ragazza di ignoti natali e quindi di scarse pretese sociali, la quale però riesce involontariamente a suscitare su di sé l’interesse di Emma. La nostra eroina decide dunque di prenderla sotto la sua ala, ed essendosi congratulata con se stessa per (dubbi) meriti nell’essere riuscita a maritare la sua cara governante, la signorina Taylor (ora signora Weston) è ormai risoluta a combinare un matrimonio per Harriet.

Altri coloratissimi personaggi entrano progressivamente in scena, ciascuno dei quali capaci di strappare al lettore un sorriso e spesso un arricciamento di sopracciglia; molti di loro sono destinati a creare un certo scompiglio nella tranquilla comunità di Highbury, ognuno a modo suo: compare dapprima Jane Fairfax, una giovane da tutti ammirata ma misteriosamente riservata, poi la signora Elton, garbatamente insopportabile, infine il signor Frank Churchill, l’eroe tanto atteso ed universalmente ritenuto amabilissimo, eppure inconsapevolmente osservato con sospetto dal signor Knightley. Emma ha su tutti loro il suo ben deciso parere, una risolutezza che viene sempre messa in dubbio dalla vena ironica di cui la prosa di Jane Austen è pervasa: la protagonista infatti (e spesso insieme a lei anche il lettore) verrà puntualmente costretta a ricredersi, arrossendo ma sempre incapace di ammettere di aver preso vere e proprie cantonate, provocando la serie di equivoci tipica delle trame dell’autrice. Attraverso di essi il lettore può osservare la crescita psicologica di Emma, l’accortezza con cui impara a vedere il mondo e se stessa: il momento in cui decide di smettere di cercare di combinare il matrimonio di Harriet coincide infatti con la rivelazione del suo stesso cuore, da lei sempre trascurato nella sicurezza di essere sempre superiore a tutti i tormenti del comune essere umano.

Con questo libro si riscopre soprattutto il piacere della conversazione: il mondo di Jane Austen consiste infatti di piccole azioni ma di grandi conversazioni, è un mondo dove i dettagli non devono passare inosservati nemmeno al lettore. Nei dialoghi possiamo andare a caccia di verità nascoste, opinioni segrete celate in impercepibili termini e aggettivi scelti con cura, ma anche imparare quanto una conversazione sul niente possa diventare elaborata, quanto possa essere riempita di piccole e cerimoniose accortezze. Senza dubbio un mondo molto distante dal nostro, in cui comunicazione diretta e messaggi chiari vengono maggiormente apprezzati, tuttavia ci ricorda quanto può essere affascinante l’acume che può nascondersi in una normale conversazione.

Il lettore potrebbe scovare in questo romanzo una lunga serie di morali, nascoste tra le righe di brillante ironia uscite dalla penna dell’autrice, ma forse, la vera morale è che non ci sono morali né giudizi: averli è legittimo, ma attaccarsi ciecamente ad essi è presuntuoso, oltre che infinitamente sciocco.

Giorgia Favero

[immagini tratte da Google Immagini]

L’invenzione della madre – Marco Peano

Il cancro. Questo sconosciuto che vorremmo rimanesse tale per tutta la nostra esistenza. Il cancro, non ho paura di chiamarlo col suo nome.

il cancro. Lo scrivo a chiare lettere. Lo leggo con gli occhi sbarrati, con occhi attenti e furiosi. Non sono più colmi di quelle lacrime che mi ha portato. Non sono più spaventati i miei occhi. Io so chi è, io conosco questo mostro.
Lo conosco da vicino, l’ho visto assalire la persona che amavo di più al mondo. L’ho visto invadere la mia vita. L’ho visto annientare. L’ho visto creare distruggendo. L’ho visto nascere per poi uccidere.

la-chiave-di-sophia_filosofia_linvenzione-della-madre_vizio-di-leggere_marco-peano

Un ossimoro insopportabile quando cerca di accingersi alla vita, specialmente se si tratta di quella delle persone a cui vogliamo bene. Una battaglia. Una sfida che sembra già persa. Un mondo che sembra già crollato. Un gioco di carte piegate all’indietro. Un filo tagliato.

“L’invenzione della madre”, di Marco Peano è un romanzo che racconta come madre e figlio siano uniti per la vita; proprio per la vita intera, sì, e anche per quella destinata a finire in un tempo più breve della felicità stessa.
Malattia. Amore. Due parole contrastanti, due parole che si escludono a vicenda. Due parole che quando coesistono rendono l’essere umani una piaga indelebile.

Mattia ha ventisei anni ed una vita normale. Una famiglia, una fidanzata, un futuro da costruirsi tassello per tassello. Questo almeno finché al suo mosaico non viene tolto un pezzo, per la precisione quello che tiene in vita la madre, una donna che ha portato con sé il cancro per dieci anni, un’anima destinata a lasciare tutto ciò che ama e che odia. Una persona a cui non rimane grande possibilità di scelta, un essere a cui il destino non ha chiesto cosa volesse fare della sua esistenza. La vicinanza tra malattia e scadere inesorabile del tempo rende il rapporto tra madre e figlio ancora più intenso che nella vita quotidiana: una madre che non è più in grado di proteggere, un figlio che non riesce ad accettare un tragico destino.

Chi riesce ad accettare una definitività alla vita? Chi accetta un limite entro cui vivere chi ama?

Un libro che parla di amore spassionato ed appassionato al tempo stesso. Un libro che parla di un destino ineluttabile che ci piomba addosso e dell’enorme capacità che riusciamo a ricavare da noi stessi per affrontarlo. Un libro che è empatia e realtà al tempo stesso. Un libro che insegna a chi non sa cosa significhi e ricorda a chi ha già combattuto contro situazioni così familiari.
Capita raramente che ci si chieda se valga la pena continuare la propria esistenza allo stesso modo; ad un certo punto qualcosa scava dentro di noi arrivando di colpo. Ad un certo punto il battito del nostro cuore si ferma per poi accelerare senza smettere mai. Ad un certo punto la vita smette di lasciarci imparare autonomamente ed inizia ad insegnarci.
Non c’è prontezza, non c’è capacità di essere migliori degli altri, non si sa mai come essere giusti o sbagliati in questo destino che ci chiede sempre di più rispetto a ciò che pensavamo ci presentasse.
Chemioterapia, radioterapia, cure palliative, metastasi, male incurabile. Le parole di cui prima conoscevi un mero significante, iniziano a farsi strada nei più profondi significati. Cosa vuol dire resistere alla malattia? Conviverci, senza avere mai la percezione di esserne capaci.
Viverla, senza lasciare che ci abiti.

E’ quando il tempo manca che non avvertiamo più il terreno sotto ai nostri piedi. E’ quando l’attimo fugge velocemente che non riusciamo più ad afferrarlo. E’ quando la cima sembra troppo alta che vorremmo scalare come dei robot per raggiungerla. Vivere il distacco e aumentare la vicinanza. Soffrire senza che la persona amata se ne accorga e raccontarle che va tutto bene. Essere forte, nonostante vorresti soltanto piangere di rabbia. Sorriderle, perché vale di più la serenità che può rimanerle di un nostro solo attimo di sfogo.
Lo spegnimento di una vita può darti la sensazione che le luci non sono mai state accese; Marco Peano racconta di un protagonista terrorizzato dall’idea di scoprirsi come non si è mai visto, se dovesse perdere una parte di sé. Un ragazzo che lascia la voglia di vivere a sua giovinezza cercando di ricordare ogni cosa e di portarla con sé per quando non ci sarà più.
Sei consapevole del fatto che non sentirai più certi odori, quelli odori così familiari. Che non ascolterai ancora una volta quella voce. Che non potrai litigare con lei di nuovo. Che non potrai riabbracciarla appena torni a casa. Che non aspetterai un momento più opportuno di altri per dirle che le vuoi bene.
Un bene che ti sembra di non aver mai provato. Un bene che ti sembra non poter conservare più dentro di te.

E’ un romanzo di crescita interiore, un romanzo che parla di amore, quello vero e più puro, quello con la “A” maiuscola.
In un vortice di emozioni, non c’è spazio per la razionalità. In un vortice di paura non c’è spazio per aspettare che passi. In un concentrato di ricordi, cerchi di afferrare la vita che hai paura di dimenticare perdendone un pezzo fondamentale. L’invenzione della madre racconta di un cambiamento di posizione: è uno spostamento tra genitore e figlio, in cui le garanzie di sicurezza le assume il secondo, per la prima volta. Un romanzo che racconta coraggio, un romanzo che racconta forza estrema.

La forza che trovi dentro per affrontare te stesso e chi ami di più. La forza che non eri consapevole di avere. Stupendoti, crescerai, diventando conscio di non voler più fermare gli attimi per un’eternità, ma ringraziando l’enorme possibilità che quel destino tanto crudele – nonostante tutto – ti abbia dato l’occasione di vivere.

“La malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa. Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno della salute e in quello della malattia. Preferiremmo tutti servirci soltanto del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell’altro paese”.

Susan Sontag

Cecilia Coletta

[Immagini tratte da Google Immagini]

Selezionati per voi – MAGGIO 2015

LIBRI

Maggio. Odore di estate. Odore di serate davanti ai tramonti. Odore di libri letti e riletti. Odore di emozione. Odore di eventi. Odore di attese.

C’è sempre un mese per scoprire una novità, e prima di raccontarvi quelle letterarie di maggio 2015, vi segnalo un evento da non perdere: L’edizione 2015 del Salone Internazionale del Libro di Torino, che si svolgerà da giovedì 14 maggio a lunedì 18 maggio. Pensata per giovani ed adulti, pensata per qualsiasi passione e qualsiasi genere, non potete assolutamente mancare!

Proposte del mese, da sfogliare pagina per pagina:

images-2

La piuma – Giorgio Faletti

Il 4 luglio 2014 moriva Giorgio Faletti, scrittore best-seller. Faletti non era soltanto un grande scrittore, era un grande uomo, di quelli che al mondo si contano su una mano, e ti avanzano anche dita in più. Ad un anno dalla sua scomparsa, torna con uno scritto dolente, colorato di malinconia e rassegnazione: La Piuma. Definita una “favola morale” che ci dirige tra le bassezze degli uomini, fino a poter cogliere il senso più profondo e meno lineare delle cose. Perché il mondo è fatto di personaggi e punti deboli, volti di vergogna e colori poco innocenti. Uscita prevista: 15 maggio.

Perché tu non ti perda nel quartiere – Patrick Modiano

L’ultimo capolavoro del premio Nobel 2014 Patrick Modiano, romanzo in cui racchiude i temi a lui più cari, tra cui l’importanza della memoria e l’amore che sembra scordarsi solo apparentemente per tornarci ad aggredire non appena le nostre debolezze si lasciano andare. Il protagonista è Jean Daragane, uno scrittore parigino ormai anziano che vive in totale solitudine, lontano da tutto. Lontano dal mondo finché non gli squilla il telefono di casa, come per richiamarlo. Come per dirgli che non tutto se ne va per sempre, come quell’uomo che dalla parte opposta del telefono gli dice di aver ritrovato una sua vecchia agenda, persa sul treno, come sembravano persi i suoi ricordi. Uscita prevista: 26 maggio.

La stagione degli innocenti – Samuel Bjork

Già caso letterario in Norvegia, il nuovo thriller tinge le foreste del nord. Esordio di Samuel Bjork, uscirà in ventidue paesi. Si apre nello scenario di una foresta immersa nel silenzio, dove giace una giovane vittima impiccata ad un albero con appeso al collo un cartello dove c’è scritto “Io viaggio da sola”. La crudeltà e l’efferatezza del caso convincono a richiamare in servizio il veterano Holger Munch, uomo solitario e con una sfrenata passione per gli enigmi. Troppe cose si nascondono dentro di lui. Come dentro ad un caso ancora da risolvere.

Cecilia Coletta

giovinezza-kw1E--672x351@IlSole24Ore-Web

FILM

Maggio è uno dei mesi più amati dagli appassionati di cinema. Non tanto per la ricchezza di film in uscita, quanto piuttosto per l’inizio dell’attesissimo Festival di Cannes. Tappa imperdibile per scoprire quali saranno i migliori titoli della stagione. Aspettando la manifestazione francese potete scoprire nel frattempo i nostri tre consigli cinematografici per questo mese. Buona visione!

Leviathan di Andrei Zvyagintsev

Esce anche sugli schermi italiani l’ultimo film dell’acclamato regista russo, vincitore del Leone d’oro a Venezia per “Il ritorno” nel 2003. Viene dritta dal libro di Giobbe questa parabola umana di disperazione ma è asciugata completamente da qualsiasi forma di speranza o fiducia in Dio. I disastri nella vita del protagonista infatti si susseguono uno dopo l’altro ma non è tanto la volontà di Satana a metterlo alla prova, quanto più prosaicamente l’accanimento del sindaco di un piccolo villaggio russo, cioè della forma minore di potere statale che si possa incontrare. Zvyaginstev sfiora l’Oscar con un film perfetto sul piano formale, elegante e diviso con grande rigore in due parti. Forse non è la sua opera più riuscita ma resta comunque un film che merita di essere visto almeno una volta. USCITA PREVISTA: 7 MAGGIO

Mad Max: Fury Road di George Miller

Sarà presentato in anteprima mondiale proprio al Festival di Cannes il remake di un film che ha fatto storia. Ai confini più remoti del nostro pianeta, in un paesaggio desertico e desolato dove l’umanità è distrutta, e tutti lottano furiosamente per sopravvivere, Max è un uomo d’azione e di poche parole, che cerca pace dopo la perdita della moglie. Tra personaggi inquietanti e sequenze memorabili, si preannuncia un ritorno cult da non perdere. USCITA PREVISTA: 14 MAGGIO

Youth – La giovinezza di Paolo Sorrentino

Il regista premio Oscar per “La grande bellezza” torna a dirigere un film per il grande schermo. Si tratta di una storia ambientata in un elegante albergo ai piedi delle Alpi dove Fred e Mick, due vecchi amici alla soglia degli ottant’anni, trascorrono insieme una vacanza primaverile. Lo stile è quello caro all’ultimo Sorrentino, sempre attento a ricercare l’inquadratura ideale e la perfezione stilistica. Nel cast spiccano i nomi internazionali di Michael Caine, Harvey Keitel e Rachel Weisz. Staremo a vedere se anche questa volta uno dei registi nostrani più apprezzati all’estero sarà riuscito a fare centro. USCITA PREVISTA: 21 MAGGIO

Alvise Wollner

[immagini tratte da Google immagini]

Io e Te – Niccolò Ammaniti

Qualcuno sostiene che non si possa scegliere il modo in cui dovremmo essere e che la Natura che risiede in noi sia indipendente dalla nostra forza di volontà e dalla nostra capacità di cambiare. Ci vengono dati gli elementi del nostro carattere alla nascita, in un calderone di ingredienti che non siamo mai perfettamente pronti a mescolare. Perché non siamo capaci. Perché non siamo abbastanza coraggiosi. Perché non siamo obiettivi. Perché non ci sentiamo mai abbastanza pronti.

Perché – forse – senza essere in DUE, non si è mai abbastanza pronti ad affrontare la vita.

 Lorenzo è un adolescente come tanti; uno di quelli che non si piace, uno di quelli che non si sente accettato, uno di quelli a cui – per dirla tutta – di essere accettato non interessa proprio niente.

Questo il primo tra i motivi per i quali decide di fingere di partire per una settimana bianca a Cortina con dei suoi compagni di scuola, questo il motivo per cui inscena questa vacanza, mentre decide di rimanere chiuso nella cantina di casa sua per una settimana intera.

Genitori entusiasti del fatto che lui abbia finalmente degli amici, desiderio di risultare invisibile soddisfatto, il videogioco che preferisce, qualche lattina di Coca-Cola; tutto sembra organizzato nel migliore dei modi.

Eppure, a quel disegno così preciso, va aggiunto un tassello in più: in quella cantina si rifugerà anche la sua sorellastra Olivia, che Lorenzo non vede da qualche anno.

Olivia ha circa dieci anni in più di lui ed odia il loro padre; è la figlia “abbandonata”, la figlia accontentata soltanto tramite il denaro, la figlia che si sente sbagliata perché ha sempre avuto un motivo per sentirsi tale.

Olivia e Lorenzo non potrebbero essere più diversi e, al tempo stesso, non potrebbero avere di più da condividere. Sentirsi inadeguati in un mondo che non sembra accettarli, sentirsi insoddisfatti pur apparentemente avendo tutto. Beni materiali, giovinezza, una vita davanti, una dose di leggerezza che pesa troppo sulle spalle dell’una e troppo poco sulle spalle dell’altro. Spesso si ha solo bisogno di trovare un compagno di avventure, di trovare un qualcuno che pur non somigliandoci ci proietti nel suo universo mostrandoci che non è poi tanto diverso dal nostro. Abbiamo bisogno di notare che qualcuno possa prendersi cura di noi; una cura poco materiale, una cura costruita su basi più solide di quelle di tutti i giorni.

Olivia non è una sorellastra come le altre: non è amorevole, non è capace di badare nemmeno a se stessa. Lorenzo non è un fratellastro da controllare, perché nella sua solitudine interiore sembra aver già capito come funziona la vita. Entrambi hanno qualcosa da insegnare all’altro, entrambi hanno opinioni da raccontare, entrambi hanno una prospettiva diversa da scoprire.

L’adolescenza non è così lontana dalla prima età adulta; c’è sempre tempo per iniziare ad uscire dalla propria inadeguatezza, c’è sempre tempo per combattere, oppure non ce n’è più.

C’è sempre tempo per farsi delle promesse, non c’è sempre la forza di mantenerle. C’è sempre la possibilità di incontrare qualcuno che ci guidi, nonostante non ci sia sempre la bravura di farsi tenere per mano.

Niccolò Ammaniti ci regala un romanzo breve ed intenso, un romanzo che sa dirci così tanto oltre a quello che possiamo leggere e che tenderà a stupirci dalla prima all’ultima pagina.

Perché non sono soltanto coloro che non possiedono nulla a sentirsi inadeguati, perché non sono soltanto gli incompresi quelli che hanno bisogno di una strada, perché c’è sempre tempo per ricominciare daccapo, ma non è detto che ci si riesca.

Non tutti siamo capaci di diventare grandi con l’approvazione del resto del mondo, non tutti siamo capaci di essere chi dovremmo essere.

Siamo semplicemente “come ci viene”, come ci riesce. Siamo semplicemente.

E una strada in salita non è detto che non ci venga più facile percorrerla camminando all’indietro. E un muro come quello della crescita non è detto che saremo in grado di abbatterlo, perché potrebbe venirci semplicemente più semplice scavalcarlo.

Bevo un sorso di caffè e rileggo il biglietto.

– Caro Lorenzo, mi sono ricordata che un’altra cosa che odio sono gli addii e quindi preferisco filare prima che ti svegli. Grazie per avermi aiutata. Sono felice di aver scoperto un fratello nascosto in una cantina. Ricordati di mantenere la promessa,

Tua, Oli –

 Oggi, dopo dieci anni, la rivedo per la prima volta dopo quella notte.

(Io e te – Niccolò Ammaniti)

Cecilia Coletta

IL DIRITTO DI INDIGNARSI (ANCHE AL CINEMA)

Nei mesi scorsi il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali ha proclamato più volte l’assenza di fondi per pagare i professionisti o occuparsi del restauro e della conservazione di tutto il nostro patrimonio, ricorrendo in numerose occasioni a volontari non specializzati. La scelta di porre in secondo piano il mantenimento artistico del nostro Paese ha portato al conseguente deterioramento (ancora oggi in atto) di alcuni tra i più importanti siti artistici italiani, uno su tutti: Pompei.

Questa non è di certo la sede per addentrarci nel dibattito relativo a tale argomento, ma esso può venire usato come ottima premessa ad una notizia relativa alla nostra industria cinematografica. Succede infatti che il prossimo 5 Febbraio uscirà nelle sale la nuova pellicola di Massimo Cappelli, dal titolo: “Non c’è due senza te”. Una commedia come se ne sono viste tante negli ultimi anni. E allora perché siamo qui a parlarne, chiederete voi? La risposta è presto data. Il Ministero menzionato poco sopra, ha deciso senza una particolare motivazione esplicita, che questa pellicola dovesse essere ritenuta di “grande interesse e valore culturale”, offrendole una sovvenzione statale pari a 200 mila Euro. L’aiuto che lo Stato offre al Cinema è di sicuro un’iniziativa encomiabile e per molti giovani autori indipendenti si tratta di un contributo vitale per portare sul grande schermo i loro progetti ambiziosi. Quello che fa dispiacere però, è che lo Stato che offre sovvenzioni cinematografiche sia la solita Italia governata dai favoritismi e dalla corruzione artistica in cui si può fare strada solo grazie alle giuste conoscenze. Come riportato da “Il Fatto Quotidiano” in un articolo di Davide Turrini, la pellicola di Cappelli risultava già in postproduzione da Agosto scorso, mentre i risultati della delibera ministeriale di fine Ottobre 2014 sono la risposta alle richieste di finanziamento pubblico effettuate dalle produzioni del film nel Gennaio 2014, esattamente un anno fa.

unnamed-1

La casa di produzione Lime Film aveva inizialmente chiesto 400 mila Euro al Mibac, mentre il budget complessivo del film risulta, sempre dalla fonte delle tabelle ministeriali, di oltre 2 milioni e 300 mila euro. Alla fine il compenso ottenuto equivale alla metà di quanto richiesto, ma nell’anno appena trascorso resta comunque la cifra più elevata sborsata dallo Stato per un’opera cinematografica. Solo una coincidenza? Forse sì, anche se a ben vedere il livello artistico della pellicola non è di certo il più elevato tra quelle prodotte nella scorsa stagione. Escludendo Fabio Troiano e Dino Abbrescia, che tornano ad interpretare una coppia omosessuale già vista nel fortunato “Cado dalle nubi” di Checco Zalone, la protagonista femminile è la notissima showgirl Belen Rodriguez che avrà senza dubbio moltissime doti, ma non certo quella della perfetta recitazione. La trama aiuta poi a dare la mazzata finale a tutta questa vicenda. Spacciandosi per commedia impegnata che ama trattare temi sociali e attuali come le coppie di fatto o la convivenza tra gente dello stesso sesso, il film di Cappelli si rivela un autogol che invece di far ridere con gusto, rischia quasi di rivelarsi offensivo nei confronti delle categorie che sceglie di descrivere, trasformando tematiche serie e dignitose in patetici e grotteschi siparietti, come quello della provocante femme fatale che si infila nella coppia omosessuale, riuscendo a “convertire” anche il gay più incallito.

Tutto questo l’abbiamo sovvenzionato noi contribuenti, ed è così che invece di godere di qualche vera e coraggiosa pellicola italiana (relegata come sempre nel dimenticatoio dei festival indipendenti) anche in questo 2015 ci troveremo a spendere 8 Euro e cinquanta per un film che non ha nulla di nuovo da dire se non una serie di tristi banalità viste e riviste. E se è legittimo indignarsi per tutti gli orrori che stanno caratterizzando l’attualità estera di questi giorni, lasciatemi dire che sarebbe giusto iniziare ad indignarsi anche per questi piccoli e reiterati scempi artistici che in maniera subdola e silenziosa uccidono ogni giorno di più un patrimonio artistico che non meritiamo di perdere.

Alvise Wollner 

[Immagini tratte da Google Immagini]

Selezionati per voi – Gennaio 2015

Iniziare un anno è come iniziare un nuovo libro. Leggerai sempre qualcosa di nuovo, che ti è estraneo. Rileggerai qualcosa che hai già vissuto. Sognerai un racconto migliore, pagina dopo pagina. Odierai il finale peggiore, perché non ti sentirai in grado di sperare.

Ma arriverai ad essere la somma di te stesso ad un qualcosa in più. Non importa quanto la ritroverai in te o negli altri, diventerà parte del tuo io.
Per un nuovo viaggio, per un nuovo anno, per un nuovo libro.

La relazione – Andrea Camilleri
Per iniziare all’insegna dell’alta tensione. Per iniziare con domande su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Per iniziare con l’idea di giustizia e la concretezza di corruzione.
Uscita prevista: 2 gennaio.

Una più uno – Jojo Moyes
Per iniziare con l’amore che arriva tra i soggetti meno scontati. Per iniziare con le (a)tipiche tematiche familiari. Per iniziare con le difficoltà di una madre sola ed i suoi sacrifici. Per iniziare con la solitudine che accomuna.
Per iniziare con un’Autrice che stupisce, con semplicità e chiarezza.
Uscita prevista: 2 gennaio.

Numero zero – Umberto Eco
Per iniziare con un grande tra i grandi. Per iniziare con una lettura calata negli anni ’90 che ci racconta la “macchina del fango” e ci parla di alcuni misteri del nostro paese. Per iniziare con una lettura che lascia tante domande e concede risposte schiette, quasi crude. Attesissimo, pronto ad evocare misteri come Gladio, la P2, la morte di Papa Luciani, il terrorismo rosso ed altro ancora. Per iniziare guardandosi un po’ indietro, non senza ricongiungerlo al nostro tempo.
Uscita prevista: 9 gennaio.

Cecilia Coletta

Le festività natalizie stanno per concludersi dopo aver lasciato molti di noi sazi ed appagati. Gennaio allora non diventa solo l’inizio di un nuovo anno tutto da vivere, ma anche l’occasione per andare al cinema e godersi i primi giorni del 2015 insieme a storie interessanti, capaci di farci riflettere su molti argomenti.

“Big Eyes”: Tim Burton è senza dubbio una garanzia quando si parla di cinema d’autore, capace di attirare in sala un gran numero di spettatori. Dopo una serie di clamorosi flop, il regista torna alla regia con un dramma ispirato ad una storia realmente accaduta che unisce pittura e cinema. Si parla di una coinvolgente frode artistica avvenuta alla fine degli Anni 50. Protagonisti assoluti: l’immenso Christoph Waltz e la bionda Amy Adams che danno un valore aggiunto ad una storia accattivante ed intrigante. USCITA PREVISTA: 1 GENNAIO.

“Hungry Hearts”: L’Italia che più ci piace vedere sul grande schermo è di sicuro quella diretta da Saverio Costanzo che finalmente riesce a portare nelle nostre sale il suo ultimo, acclamato lavoro, presentato ai festival di Venezia e Toronto. Una storia forte ed intensa dal respiro internazionale, per raccontare la vicenda di una maternità travagliata e del ruolo fondamentale che i genitori hanno nella crescita dei propri figli. Sofferenza e riflessione raccontate da un grande maestro. USCITA PREVISTA: 15 GENNAIO.

“Still Alice”: L’hanno già definito come il film che regalerà l’Oscar 2015 all’intramontabile Julianne Moore. Una storia che punta dritta al cuore e ai sentimenti, raccontando la perdita progressiva della memoria da parte di una stimata linguista universitaria che da un giorno all’altro si vedrà costretta a perdere tutte le certezze che credeva di aver conquistato nell’arco di una vita intera. Emozioni garantite e lacrime assicurate. USCITA PREVISTA: 22 GENNAIO.

Alvise Wollner

Lolita

 

lolita-97

Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, mia anima, Lo-li-ta. Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita.

Inizia così Lolita del grande Nabokov, romanzo pubblicato nel 1955 dalla Olympia Press. Definirlo romanzo sarebbe riduttivo: Lolita rappresenta una spaccatura tra cui si dividono morale e riflessione. Rappresenta un punto di rottura per chi ha vissuto negli anni ’50, rappresenta un metodo diverso, un tema che non viene acclamato e che non molti avrebbero avuto il coraggio di toccare.
La casa editrice parigina non fu la prima a cui l’Autore presentò il manoscritto; ben quattro case editrici americane rifiutarono di pubblicarlo e lo presero in considerazione soltanto tre anni dopo, grazie alle cinquanta milioni di copie vendute.
Difficile parlarne anche oggi a dir la verità, difficile cogliere il confine tra i desideri più bui e interni dell’ambiguo professor Humbert e la provocazione di Dolores Haze nei suo confronti. Difficile non provare ribrezzo leggendo determinate espressioni, difficile non pensare alla pedofilia, difficile non giudicare.

Leggerlo scatena le sensazioni più distanti: c’è chi prova un’enorme repulsione, c’è chi riflette sui numerosi spunti che offre questo romanzo.
Qual è il confine tra la provocazione di un’ appena ragazzina e il desiderio sessuale frutto delle fantasie di un “vedovo di razza bianca”?
Lolita prova piacere nel poter stuzzicare il professore, concedendogli la pulsione erotica che se inizialmente gli ricorda il suo passato e l’incontro con Annabel di quando aveva tredici anni, successivamente prende il sopravvento e scatena la dimensione della prevaricazione.
La prevaricazione della morale, la prevaricazione dei suoi disturbi psichici e delle sue fantasie sessuali. L’incapacità di pensare a Lolita come ad una bambina che dovrebbe essere la sua figliastra.
Lolita è carne, passione, è ossessione.
Ma non è solo un racconto di ossessione quello che elabora Nabokov, è l’inizio dell’analisi di una società ipocrita, che giudica sulle basi di posizioni sociali e apparenze, condannando la diversità, perché non si pone domande sulla vera natura degli esseri umani e dei loro desideri. In ogni personaggio di Lolita esiste una diversità, esiste un disturbo psichico: basti pensare alla trasposizione che fa Kubrick nella pellicola che prende spunto da questo romanzo della madre di Dolores: una donna con tratti ridicoli, con modi e una risata che ha ben poco a che fare con la rigidità del buon costume.

Lolita rappresenta quello “di cui non si può parlare”, ma soprattutto un tema di cui “non si riesce a leggere”.
Lolita divide, con tratti di chiaro scuro, l’animo umano.
Divide le folle e nemmeno oggi può esserci così comprensibile; spaventa ed incuriosisce, come ogni cosa che non è completamente luce o definitivamente buoio.

Cecilia Coletta

cecilia

“How did they ever make a movie of Lolita?” Ovvero: com’è possibile realizzare un film tratto da un libro tanto importante quanto scomodo? Siamo alla fine degli anni Cinquanta, prima della rivoluzione dei costumi avvenuta nel ’68, prima che la morale comune ridefinisse per sempre i suoi orizzonti. In questo scenario puritano, il mondo dell’editoria era stato scosso dal genio creativo di V. Nabokov che aveva creato un romanzo destinato ad entrare nella storia. Le bollenti passioni di una giovane ninfetta avevano scosso gli umori dei lettori di tutto il Mondo, ma per quanto le si condannasse esse restavano parole stampate su fogli di carta, che prendevano vita solo grazie all’immaginazione di chi le leggeva. Cosa sarebbe successo però, se quelle parole si fossero trasformate in immagini proiettate sul grande schermo? La risposta a questa domanda arrivò nel 1962 e portò la firma del più grande regista del Novecento: Stanley Kubrick. Sin dal momento dell’acquisto dei diritti sul libro, il principale problema che si pose a Kubrick fu come ottenere il sigillo di approvazione della MPAA per un soggetto che trattava esplicitamente di pedofilia, un argomento tabù per il Codice Hays. Senza quel numero era difficile distribuire il film per sale e TV e, senza una concreta possibilità di ottenerlo, impensabile trovare dei finanziatori.
Prima ancora che la sceneggiatura fosse completata fu così stabilito un contatto permanente, cui successivamente si sarebbe aggiunto Eliot Hyman per la American Artists e Geoffrey Shurlock, presidente della MPAA.

Grazie a queste collaborazioni, il problema censura venne superato, ma un altro grande ostacolo alla storia era il rischio di non rendere con la stessa efficacia la potenza narrativa del romanzo. Kubrick si rivolse a Nabokov in persona affinché si incaricasse del copione e lo scrittore dopo un primo rifiuto, decise di accettare. La prima stesura, presentata al regista nel giugno 1961, consisteva in un malloppo di più di 400 pagine, che, a detta del regista, gli avrebbero richiesto un film di sette ore. Nei mesi successivi, quindi, Nabokov, si adoperò a ridurre le dimensioni della sceneggiatura sulla base delle richieste ricevute. Ne uscì quello che in molti considerano come un capolavoro della cinematografia del secolo scorso. C’è da dire però che per quanto ben costruito, il film non riesce mai a superare il modello del libro, risultando tra le altre cose uno dei lavori meno fortunati di Kubrick. Il regista lo ammise già all’epoca, dichiarandosi insoddisfatto per non essere riuscito a “dare giusto peso all’aspetto erotico della relazione di Humbert”. Un tema, quello dell’ossessione sessuale, su cui Kubrick tornerà 37 anni più tardi con quello che sarà il suo ultimo capolavoro prima della morte: “Eyes Wide Shut”.

“Lolita” è dunque uno dei più complessi ed affascinanti esempi del rapporto tra Letteratura e Cinema. E’ il racconto di una lotta contro la morale comune, ma anche di una sfida per trasformare le parole di uno dei più grandi autori del secolo scorso in immagini. Un processo che poche altre volte è stato affrontato ad un livello tale di difficoltà. Una storia che oggi ci appare all’ordine del giorno, ma che nei primi Anni 60 cambiò il modo di pensare di moltissime persone. Un’operazione che sarebbe finita in fallimento nelle mani di qualsiasi altro regista o scrittore, ma che grazie a queste due menti illuminate è riuscita a superare indenne l’implacabile giudizio della Storia.

Alvise Wollner

C’era una volta Andy Warhol. Poi arrivò Instagram.

Si è conclusa ieri a Roma l’esposizione delle opere di Andy Warhol appartenenti alla Brant Foundation.
Un’esperienza diversa rispetto ad una normale mostra. Qualcosa di più di una serigrafia, di colori, luci e tecniche. Ci si immerge in un mondo, terribilmente attuale. Ci si identifica in fobie, ci si immedesima in debolezze, ci si rassicura nei paradossi.
E’ difficile durante il percorso soffermarsi solo sulle opere dell’artista. Viene spontaneo osservare i volti dei visitatori, le loro espressioni di complicità, di solidarietà, di “So di cosa stai parlando”.


La morte

skulls

Le persone dovrebbero essere maggiormente consapevoli della necessità di lavorare su come imparare a vivere, perché la vita è così breve e a volte vola via troppo rapidamente

Warhol teme la morte più di ogni altra cosa. E disegna teschi, in un modo così paradossalmente vitale e colorato, da scacciarla via, la morte, rendendola un’icona. L’iterazione è uno dei codici linguistici prediletti dall’artista, perché rende semanticamente più neutro il soggetto. La ripetizione di un’immagine, che sia un teschio, una sedia elettrica o un leader politico, ne aumenta il potenziale iconico.

Noi temiamo la morte più di ogni altra cosa. E compriamo magliette e gioielli con teschi raffigurati in ogni modo possibile ed immaginabile.


  Esclusività vs accessibilità

thirty-are-better-than-one-1625

Quel che c’è di veramente grande in questo paese è che l’America ha dato il via al costume per cui il consumatore più ricco compra essenzialmente le stesse cose del più povero. Mentre guardi alla televisione la pubblicità della Coca-Cola, sai che anche il Presidente beve Coca-Cola, Liz Taylor beve Coca-Cola, e anche tu puoi berla

Per Warhol ciò che è importante non è l’esclusività, ma l’accessibilità. E anche La Gioconda, se riproposta 30 volte, in serie, non è più un qualcosa di esclusivo. Ed ecco che anche la tendenza dei brand di investire sempre di meno nella pubblicità “dall’alto”, con spot in tv con modelle-dee dell’Olimpo, prediligendo invece forme di promozione basate sul “passaparola” non sembra poi qualcosa di così recente. Credo più alla fashion blogger che alla top model. Credo più a chi mi sembra accessibile, che all’esclusivo. Credo più all’artista comunicatore che all’artista demiurgo.


La fama

15 minute

Nel futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti”.

Warhol è ossessionato dalla fama e dalla celebrità. Noi siamo quelli che facciamo a gara a postare in bacheca foto con i c.d. “ vip”. Quelli che hanno l’illusione che una persona popolare sia alla nostra portata perché lo seguiamo su Twitter. Quelli che non sanno che molti dei loro “amici” famosi su Facebook non sono altro che profili fake o gestiti da persone addette. Perché se Brad Pitt sta su Facebook come minimo si chiamerà Mario Rossi ed al posto delle impostazioni della privacy avrà dei cecchini rigorosamente in abiti camouflage. Eppure una foto con un vip anche di serie D, noi la postiamo. E crediamo che questo nostro interagire possa accorciare la distanza tra “noi” e “loro”. La nostra ricerca costante di 15 minuti di celebrità avviene ormai facilmente tramite You Tube, Instagram, Facebook. A cui segue la spasmodica ricerca dell’approvazione altrui.


L’estetica

   campbells

Ogni cosa ha la sua bellezza, ma non tutti la vedono”.

Andy Warhol rende la zuppa Campbell’s un’icona. Nella comunicazione web attualmente un prodotto ha il suo momento di celebrità, fino a diventare un’icona.  L’attenzione sulla scatola di biscotti su cui mettete distrattamente “mi piace”, la borsa attorno a cui ruota l’intero post di Chiara Ferragni, l’I- phone 6. L’intero marketing digitale ruota attorno all’esaltazione dell’oggetto, all’approvazione, al like, alla condivisione, all’iterazione della stessa immagine in ogni angolo del web.. Talmente tanto che oggi si possono comodamente acquistare consensi, like, condivisioni, fan su siti quali www.magicviral.com. Che tu sia una zuppa. O che tu sia una persona. La sintesi della filosofia estetica di Warhol è quella di riproporre oggetti semplici della vita reale in chiave sempre uguale mescolando banalità ed impatto visivo.
E la mania di postare piatti di pasta, lattine di birre, penne, non sembra poi così nuova.


 Autoscatti.

autoscatto

Andy Warhol è schiavo della sua Polaroid. Autoscatti, foto truccate, ritoccate, deformate. In una parola: selfie. In due: selfie ed Instagram. In più parole: “Se volete sapere tutto di Andy Warhol, basta che guardiate la superficie: quella delle miei pitture, dei miei film e la mia, lì sono io. Non c’è niente dietro “.

Difficile non immedesimarsi. Anche se, ogni tanto, mentre stiamo per invadere bulimicamente la nostra bacheca di momenti della nostra vita, dando l’idea volutamente di essere ciò che postiamo, dovremo ricordarci un’altra delle frasi che racchiudono la filosofia di Warhol:

Si ha più potere quando si tace, perchè così la gente comincia a dubitare di se stessa.”

Donatella Di Lieto

[Le opinioni espresse sono a carattere strettamente personale/ Views are my own]

[Immagini tratte da Google Immagini]

Tre Farfalle – Raffaella Milite

“Quello che deriva dal respirarsi dentro, dal godere della conoscenza di sé, quello che ci porterà ad amare quella figura riflessa sullo specchio, perché l’abbiamo conosciuta dal di dentro e non è più estranea. Sarebbe bello comunque, questo viaggio, se fosse un inizio”.

“Non può dire di aver mai conosciuto l’urlo che questo nuovo tipo di infelicità sta detonando dentro il suo essere, imbambolato come se guardasse altro davanti ad uno specchio che ritrae l’ombra di un suo simile vestito per iniziare una nuova giornata di lavoro”.

“Ed io a cosa pensavo? Io che sono partita subito, per impegni non inderogabili, che sono tornata subito quella di prima, che cercavo di mascherare la deficienza sotto una affettata efficienza? Io, cosa pensavo?”

Read more