Imparare a sperare. La sinistra italiana a lezione da Ernst Bloch

Alla stagnante sinistra italiana, e non solo a quella del nostro paese in realtà, farebbe davvero bene legge il Principio Speranza di Ernst Bloch. Riconosco che le più di 1500 pagine dell’opera possano spaventare anche i più audaci, perciò cercherò di offrire un breve riassunto della tesi principale, così da evidenziare la sua importanza in questo delicato momento storico.
Il filosofo tedesco descrive la condizione ontologica umana come oscurità dell’attimo vissuto: l’uomo è ciò caratterizzato da uno stato di indefinitezza e incompiutezza, avverte che “qualcosa manca”, ma non riesce a dare un nome a questo vuoto. Perciò si spinge sempre in avanti, anticipa il futuro, colma il vuoto con l’immaginazione. I due principali sentimenti di anticipazione sono la paura e la speranza e Bloch decide di costruire la sua filosofia sul secondo, anche perché la capacità di reagire a una condizione di oppressione sperando in un orizzonte più luminoso è propria solo dell’uomo.

Bloch accumula quindi utopie provenienti da letteratura, arte e religione, sottolineando come ogni visione politica (lui si rivolge soprattutto al marxismo, visto che proviene da quella corrente di pensiero) necessiti della visione di un mondo migliore per avere lo slancio per superare la realtà oggettiva.
A differenza di Bloch la sinistra italiana ha evidentemente preferito un discorso basato sulla paura. Poiché incapace di sviluppare una propria immagine di futuro, nell’ultima campagna elettorale si è impegnata a evidenziare come quella dei cosiddetti partiti populisti manchi di coperture economiche. Da quando poi il “governo del cambiamento” è salito al potere, la sinistra sembra essere capace solo di ripetere che tale cambiamento porterà alla rovina economica e a un regresso culturale e morale, senza però indicare una via alternativa.
Anche condividendo l’idea che il cambiamento proposto dai populisti conduca a un imbarbarimento, bisogna ammettere che essi hanno saputo aprire nuove vie in una realtà sclerotizzata, percepita come insopportabile nella sua soffocante immutabilità. Contro al tatcheriano “there is no alternative”, i populisti di tutta Europa hanno riscoperto fin dal loro nome le categorie di Possibilità (Podemos in Spagna) e Alternativa (Alternative für Deutschland in Germania).

La sinistra, italiana e non, non può pensare di rispondere a queste proposte soltanto evocando la paura di un cambiamento in peggio, anche perché persone insoddisfatte, spesso disperate, sfidano anche la paura pur di trascendere lo stato presente. Spesso si sente ripetere che la soluzione sia tornare a “far sognare” l’elettorato, ma Bloch rifiuterebbe questo gioco da illusionisti fatto di mirabolanti e vuote promesse elettorati. Il punto è che le persone già sognano un futuro migliore, una realtà diversa in cui i loro bisogni siano realizzati. Invece di svilire questa speranza come ingenuità, la sinistra dovrebbe cercare di trasformarla in docta spes, in utopia concreta, che si radica nella realtà, ne coglie le tendenze di trasformazione e le convoglia in una spinta in avanti.

«La speranza fondata, cioè mediata con ciò che è realmente possibile, è così lontana dal fuoco fatuo, da rappresentare appunto la porta almeno semiaperta, che sembra aprirsi su oggetti propizi, in un mondo che non è divenuto e che non è una prigione».

 

Lorenzo Gineprini

 

[Photo credits: Kristopher Roller via Unsplash.com]

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Il vero guerriero della resilienza: Nietzsche

«Quel che non mi uccide, mi rende più forte»1.

In Crepuscolo degli idoli ovvero come si filosofa con il martello, opera del 1888, Nietzsche esprime la sua sentenza e reagisce alla morte di Dio: in merito si rivolge ad un acclamato richiamo alla vita e torna a vivere orientandosi direttamente verso la teoria all’Oltreuomo (Ubermensch). Questo è il Nietzsche che rinasce dalle ceneri della decadenza dei valori e dei costumi, lo spirito costruttivo che noi stessi dovremmo adottare di fronte al negativo.

Tale sentenza richiama il concetto di resilienza, che ormai non ci è molto oscuro come termine. La rivalutazione di tale parola è molto utilizzata oggi in psicologia e fa leva su questa strategia per risolvere e affrontare i problemi. Per “resilienza” per intenderci possiamo indicare la capacità di reagire agli urti della vita, di riuscire a superare le esperienze più negative e traumatiche della nostra vita, uscendone rafforzati. Un modo per affrontare queste situazioni lo avevo già messo in dubbio nello scorso articolo, trattando della distrazione, ma questa volta è proprio necessario prendere il toro per le corna e affrontare il tema.

Ognuno di noi è capace di reagire a ciò che gli accade: ognuno a suo modo. Questa attitudine adattativa comune ma personale, ci consente di essere di nuovo intatti, arricchiti e pronti per nuovi stimoli ed esperienze. Essere resilienti significa analizzare la situazione traumatica, comprendere gli errori, l’evento, le colpe e le responsabilità, e accettarli. La fase dell’accettazione è la più difficile perché richiede un notevole sforzo emotivo, che spesso è dato per scontato, perché si tratta non solo di accettare l’evento, ma di convivere con le conseguenze che esso ha creato e di tutte quelle modifiche che hanno cambiato anche noi stessi. Con l’accettazione di ciò e dunque l’accettarsi, l’evento si può dire superato. L’urto in questo caso non è più vissuto in modo violento e non crea lo stesso turbamento che si è presentato in un primo momento. Le ferite, se profonde, si possono rimarginare, anche se a volte i segni e le cicatrici rimangono.

Ecco, la resilienza sta proprio nella nostra capacità di guarigione da queste ferite dell’anima che ci vengono inferte volontariamente e involontariamente.

Detto così è semplice, ma non tutti hanno in primo luogo gli stessi tempi di reazione; a volte avviene in modo completo e efficace e può succedere che da soli non riusciamo ad affrontare le situazioni. Ci possiamo ammalare per questo. La prima tra tutte le malattie dell’anima e la più comune, solo per citarne una, è la depressione. Anche prendendo in considerazione semplicemente il termine, si può comprendere la sua natura: de – pressione, il cui prefisso è un rafforzativo. L’anima è sotto pressione, è schiacciata dalla vita. Di questo però parleremo in un’altra occasione.

Questa dote che è la resilienza non è solo una capacità della persona, ma può essere insegnata, sviluppata e dovrebbe essere condivisa per vivere e cercare un equilibrio nel vortice della vita. A volte da soli non si riesce ad affrontare tutto, insieme il peso e la pressione dei carichi che questa esistenza ci lascia, si dimezza. Ricordatevi solo che anche questo è un dono.

Al prossimo promemoria filosofico

 

Azzurra Gianotto

 

[Immagine tratta da Google Immagini]

NOTE:
1. F.NIETZSCHE, Il crepuscolo degli idoli, Adelphi, Milano 2010, pg.26.