Una citazione per voi: Marx e la religione come oppio dei popoli

 

• LA RELIGIONE È L’OPPIO DEI POPOLI •

Il concetto di religione come Opium des Volks, ossia oppio dei popoli, viene elaborato da Marx fin dagli Annali franco-tedeschi (1844). Egli sostiene che non esista l’individuo in astratto, ma solo in quanto prodotto della società storica della quale è figlio; motivo per il quale egli si distacca dalla visione di Feuerbach secondo cui Dio sarebbe un feticcio creato dall’uomo stesso. Secondo Marx, invece, la matrice della religione deve essere ricercata nella società che, appunto, ospita gli esseri umani.

Il senso di questa celebre citazione è quello della religione vista come uno strumento, non solo di consolazione per le ingiustizie sociali subite dalle masse che riversano fede e speranza in un’entità trascendente alienando se stesse, ma vista come un narcotizzante che fa sì che gli uomini non si impegnino abbastanza per cambiare questa vita, essendo convinti che il loro bene si possa realizzare in un aldilà. Gli individui, dunque, ricorrerebbero alla religione per crearsi una condizione artificiale per meglio sopportare la situazione materiale nella quale vivono.

La lotta di Marx contro la religione si presenta, dunque, come una lotta contro il mondo stesso, come frutto illusorio di una società malata, che in quanto tale, necessita essa stessa di essere cambiata. Infatti, Marx si fa portavoce dell’azione a scapito della mera speculazione filosofica e afferma che per disalienare la società narcotizzata dalla religione, sia necessario estirpare le differenze di classe che la caratterizzano.

Affidarsi alla religione rappresenta per Marx una condizione di felicità fallace, che poco ha a che vedere con la reale felicità alla quale gli individui potrebbero ambire. Se si attuasse il cambiamento sociale e con esso venissero meno le disomogeneità economiche e l’oppressione capitalistica, secondo Marx, crollerebbe anche la religione, poiché gli uomini non avrebbero più motivo di “drogarsi” per far fronte ad una situazione invivibile.

È quindi necessario che gli uomini prendano consapevolezza del carattere illusorio e narcotizzante della religione, per far sì che possano iniziare a muovere verso il sovvertimento delle strutture caratterizzanti la società.

 

Federica Parisi

 

[Foto rielaborata dalla redazione]

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Una citazione per voi: homo homini lupus di Hobbes

 

• HOMO HOMINI LUPUS •

 

Homo homini lupus è un’espressione latina attribuita al commediografo Plauto e diventata, in età moderna, uno dei pilastri del pensiero etico, giuridico e politico del filosofo britannico Thomas Hobbes (1588-1679). Letteralmente sta a significare che l’uomo è un lupo per il suo simile: nel corso della sua vita, infatti, ciascun uomo non mancherà di ostacolare e prevaricare l’altro da sé, volendo trarre da esso il massimo del vantaggio.

L’analisi antropologica condotta da Hobbes sa essere disarmante, in quanto egli tratteggia i limiti e le debolezze della natura umana con una lucidità che potremmo definire cruda e tagliente. La lettura di Hobbes è sempre stata per me un’esperienza di vita, un modo per riflettere sulle peculiarità della nostra specie e sui rapporti che instauriamo nel corso della nostra esistenza. Hobbes scrive dell’uomo, per l’uomo, da uomo: parla di noi, per noi, come uno di noi. Impossibile dunque non rimanere affascinati dall’obiettività della sua antropologia, presentata per l’appunto con un linguaggio accessibile, elemento da non sottovalutare in materia filosofica!

Nello stato di natura, ovvero in quella particolare situazione che precede l’istituzione di qualsiasi tipo di forma giuridica, ciascun individuo è del tutto uguale ai suoi simili. Va da sé che, se i diritti di cui tutti gli uomini godono si rispecchiano integralmente, e se vi è una totale assenza di leggi, i rapporti tra individui non saranno affatto volti all’amicizia reciproca. Homo homini lupus, per l’appunto, in quanto le forze che alimenteranno i vari rapporti sociali saranno antagonismo, violenza e volontà di sopraffare l’altro.

Hobbes scriveva nel Seicento, ma siamo davvero in grado di smentire, al giorno d’oggi, la sua visione dell’uomo e della vita comunitaria? È sufficiente guardarci attorno e riflettere su alcuni valori propagandati nel complesso dalla comunità mondiale di cui facciamo parte per intuire come antagonismo, violenza e prevaricazione non siano affatto concetti estranei al terzo millennio. Lungi da me il condannare il successo, il benessere economico o la fama, a patto che non li si abbiano raggiunti giocando la parte del lupo. Bisognerebbe davvero rispolverare alcune pagine di Hobbes, per esempio per ripartire dall’uguaglianza di cui tanto ha scritto, per affievolire le discriminazioni e per toglierci di dosso la veste del leone da tastiera. Oppure per fare memoria della vera finalità delle istituzioni politiche, ovvero la realizzazione di una comunità pacifica che consenta lo sviluppo di ogni suo individuo. Ne trarremo sicuramente molti vantaggi!

 

Federica Bonisiol

 

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Momenti di trascurabile felicità – Francesco Piccolo

Quanti istanti nel corso della nostra vita meritano di essere ricordati per la felicità con cui li abbiamo vissuti?

Pochi, penserete voi. Pochi, penserebbe chiunque in realtà. Esistono per brevi frazioni di tempo, contrapposti a quelli di enorme dolore. Sono quelli in cui ti dimentichi di tutto ciò che non funziona, in cui riesci perfino a dimenticare di esistere forse, in cui per un attimo smetti di sopravvivere.

E vivi. Irrimediabilmente, forse. Sconsideratamente, magari.

Ma tra i momenti di palpabile felicità e di lacerante dolore, ci sono dei momenti differenti. Quelli in cui ognuno di noi si ritrova nella quotidianità senza nemmeno farci caso. Quelli che si mimetizzano perfettamente nella sequenza delle nostre ore ordinarie. Sono nascosti, non capita spesso di notare che esistano.

Sono “Momenti di trascurabile felicità”, come li definisce Francesco Piccolo nel titolo della sua breve ed intensa introspezione del nostro essere. Proprio perché noi siamo continuamente, in una sequenza sospesa tra rimanere e divenire. Perché ci sono quelle sensazioni che – almeno una volta nella vita – abbiamo provato tutti. Ci sono quelle situazioni, ricorrenti e non, in cui non consideriamo il fatto che si possa realmente toccare con mano la felicità.

Tutte le persone che non sono belle, o che sono brutte, poi quando le conosci diventano più belle, sempre.

Gli sms dopo le undici di sera che dicono: «dove sei?», che significano molto di più di quello che dicono.

 La prima e l’ultima pagina di un libro.

 Le coppie che stanno insieme da tanto tempo e che giocano a carte in silenzio, la sera.

 Quando mi rendo conto che tra due persone c’è un amore segreto. Me ne accorgo quasi sempre, subito, da un gesto o uno sguardo. E mi piace, mi fa sentire complice.

 Le grandi librerie, perché puoi girare, toccare, sfogliare, senza nessuno che ti voglia dare un consiglio.

 L’odore di pane del primo mattino.

 Un litigio furioso per una questione di principio.

 Tutti i sogni di una notte, gli ultimi giorni da sindaco del sindaco, tutte le feste a sorpresa, e il rumore della carta da regalo quando viene scartata.

 Il fatto che nessuna donna al mondo riesca a ottenere dal parrucchiere la pettinatura che desiderava. 

 Tutte le donne nel gesto di legarsi i capelli.

Nessuno se ne rende mai conto, di questi stralci di vita: io non faccio mai caso a quando individuo al supermercato la fila che scorre più velocemente. Quell’attimo in cui ho la percezione di aver compiuto un’impresa eroica, pur essendo una cosa apparentemente da nulla. E la sensazione che provate quando qualcuno che vi ha superato in fila alle poste ha sbagliato sportello in cui andare? Quella piacevole sensazione di rivalsa impagabile, quasi più irruenta del bere un mojito ghiacciato su una spiaggia della Polinesia.

Eludere un divieto e non essere colti in flagrante; aspettare che lui o lei si faccia sentire perché in fondo noi l’abbiamo già fatto troppe volte. Un vissuto che si ripete, esattamente come un vissuto che può ancora sorprenderci. Stralci di pensieri quelli di Francesco Piccolo. Stralci che ci rendono tutti comuni nei gesti e al tempo stesso differenti nelle sensazioni.

Non amiamo mai abbastanza momenti apparentemente insignificanti, non amiamo mai abbastanza la possibilità di viverli. Ci concentriamo sulle piccole e grandi cose che non vanno, non considerando quegli impercettibili e minuscoli momenti di immediata spensieratezza.

Quante cose ci sfuggono di mano prima di toccarle con coscienza? Quanta vita perdiamo senza emozionarci? Ammiro chi sorride anche senza alcun apparente motivo. Ammiro chi afferra la vita a piene mani, ammiro chi si mette in gioco nonostante le difficoltà. Perché la vita viene concessa un volta soltanto, perché attimi importanti e insignificanti ci sopraggiungono soltanto una volta. Non perdersi nessun momento di trascurabile felicità, questo ci insegna questo breve libro di Francesco Piccolo.

Da tenere sul comodino, come per tenere a portata di mano la vita di tutti i giorni e quella di un minuto soltanto. Da tenere in tasca per trovare il coraggio di affrontare tutto ciò che ci pervade.

In un attimo si può trovare la felicità, tanto quanto in un momento più lungo. E’ sufficiente non dimenticarlo, perché significherebbe smettere di credere che valga sempre la pena di vivere la vita.

Cecilia Coletta

[immagini tratte da Google immagini]