“La sconosciuta” di Tornatore: un’analisi filosofica

Vincitore di numerosi premi, La sconosciuta (2006) di Giuseppe Tornatore offre un’analisi, ruvida ma che riserva la debita attenzione ai sentimenti più nobili dell’animo umano, del grado di inclusione nella società italiana delle donne provenienti dall’Europa dell’est. Ma non è l’aspetto socio-economico del film quello che si approfondirà in questa sede, in quanto si preferirà soffermarsi, in un’ottica di lettura filosofica, sulla figura della protagonista, Irena, interpretata dall’attrice teatrale russa Ksenija Aleksandrovna Rappoport. In particolare, ciò che si tenterà di mostrare è come la rivolta della protagonista sia pensabile in termini camusiani1, come cioè la sua ribellione ad una condizione di schiavitù sia foriera di valori da opporre ad altri precedenti, considerati come disvalori2.

È stato scelto il presente tema, nell’articolo, per rimarcare l’orrore quotidiano del dramma vissuto dalle donne costrette alla prostituzione, ad una vita di violenze – e poiché troppo quotidiano paradossalmente invisibile, disgraziatamente scontato. Dramma a cui si aggiunge anche la beffa, nel caso specifico delle donne provenienti da Paesi stranieri: la possibilità che i futuri sfruttatori promettono loro di trovare un lavoro e di costruirsi un’esistenza dignitosa. Ciò che sembra negata anche alla protagonista de La sconosciuta di Tornatore.

Ha trentadue anni, Irena, gli occhi verde bottiglia che spesso si adombrano nel rievocare il suo oscuro passato. Sì, perché prima di emigrare in Italia, prima di trovare lavoro come domestica e tata della famiglia Adacher, Irena si prostituiva in Ucraina, ed era “protetta” dal violento Muffa. Violento: Muffa e i suoi uomini, infatti, non esitano a ricorrere ad ogni genere di sevizia nei confronti delle meretrici che hanno sotto controllo, quando queste non riescono a ricavare abbastanza dalla loro attività. Ma ogni tortura, ogni stupro che Irena e le compagne subiscono dai loro “protettori”, sembra impallidire dinanzi ad una sola violenza, che si potrebbe definire “l’ultima”, e che in ultima analisi spinge la protagonista ad un gesto estremo ed alla fuga in Italia. 

Ma che cos’è questa violenza “ultima” alla quale ci si riferisce? Nient’altro che quella della vita stessa: le prostitute di Muffa, infatti, oltre che intrattenere i clienti, sono anche costrette dall’uomo a concepire figli e a darli alla luce perché vengano venduti ad altra clientela pagante. Non solo, dunque, la dignità di queste donne viene costantemente spregiata poiché costrette con le percosse e le minacce di morte a vendere il loro amore, ma quella medesima dignità viene vilipesa del tutto in quanto anche i meravigliosi frutti dell’amore vengono loro strappati.

Un colloquio al quale partecipa Irena verso la fine del film, la rivelazione che la donna non abbia avuto una sola gravidanza per conto terzi, bensì nove, lascia certamente orripilato lo spettatore, ma anche perplesso: perché non aveva tentato sin da subito di ribellarsi allo scempio fisico e psichico della sua dignità di donna e di potenziale madre? È la stessa protagonista di Tornatore che risponde a questo interrogativo inespresso: i figli che aveva partorito prima dell’ultima gravidanza erano il risultato di amplessi con uomini “senza volto”, semplici clienti fra altri. Invece, l’ultima gestazione era il frutto di un vero rapporto amoroso, che Irena riesce ad intrecciare, ricambiata, con un giovane italiano. È quest’ultimo, insomma, che, innamorandosi di Irena, le restituisce la sua dignità di essere umano dotato di valore, di donna non solo oggetto di piacere, ma capace di amore e di generare vita al culmine del suo dono d’amore. Non solo: si potrebbe dire anche che grazie al sentimento del giovane la protagonista colga la reale entità del vilipendio cui è soggetta la sua dignità ora riscoperta e di qui, appunto, si muove la sua ribellione – che, come scrive Albert Camus ne L’uomo in rivolta (1951)3, si rivela dunque essere creatrice di nuovi valori (in questo caso, legati alle istanze di cui si fa portatrice Irena, la necessità etica del totale rispetto umano) sulle ceneri di vecchi valori o, meglio, disvalori4 (il completo sfruttamento fisico e psicologico del più debole di cui sono fautori Muffa e scagnozzi).

E però qual è l’epilogo della storia di Tornatore? Va detto che il finale è ruvido, coerente con la vicenda amara raccontata. Ma se la narrazione prevedeva spazi perché il calore dei sentimenti umani potesse esprimersi, altrettanto avviene nell’epilogo, che lascia nello spettatore un lieve sorriso.

 

 

Riccardo Coppola

 

 

NOTE:
1-2-3-4. Cfr. A. Camus, L’uomo in rivolta, a cura di L. Magrini, Bompiani, Milano 2002.

[Photo Credits: @krivitskiy via Unsplash.com]

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“Comizi d’amore” di Pasolini: il conformismo è ancora tra noi?

Sono i primi anni ‘60 quando a Pier Paolo Pasolini, intento a cercare per l’Italia interpreti per il suo film Il Vangelo secondo Matteo, viene un’idea: intervistare gente d’ogni età, sesso ed estrazione sociale per sapere cosa ne pensa di sessualità, matrimonio, divorzio, prostituzione, ruolo della donna e – persino – omosessualità. Nasce così Comizi d’amore, documentario uscito nel ‘65. In esso troviamo anche interventi di celebri amici di Pasolini: lo scrittore Alberto Moravia e Cesare Musatti, considerato il padre della psicanalisi italiana, i quali dialogano con il cineasta friulano esternando i loro punti di vista.

L’audace perspicacia e il costruttivo anticonformismo emergono da ogni domanda posta da Pasolini, che si pone con eleganza e garbo, pur volendo indagare «nel più sincero proposito di capire e riferire fedelmente». All’inizio egli ragiona sul senso della sua inchiesta, e ciò equivale a una dichiarazione d’intenti: il reportage va fatto, afferma Moravia, poiché è cinema-verità che per la prima volta tratta in Italia un tabù, il sesso.

L’idea di girare questo documentario è accolta per lo più male dagli intervistati: di sesso si parla già troppo, dicono. Sconcerta, ad esempio, la carica aggressiva di un padre di famiglia interpellato su un treno: l’uomo, sulla difensiva, afferma di tenersi lontano dall’immoralità; a suo dire i problemi sessuali vanno visti solo nell’ottica della riproduzione e dell’esaltazione di famiglia e specie. Egli non accetta di parlare di figli omosessuali nemmeno per ipotesi: scappa dall’argomento perché prova repulsione.

Non c’è apertura nemmeno in una balera milanese: degli “invertiti” non si sa nulla né se ne vuole sapere. L’unica cosa certa è che nessuno desidera averli come figli: l’omosessualità è considerata innaturale. Pasolini domanda: «Non vorreste conoscere l’argomento per capirlo?», ma le risposte sono quasi sempre negative. Chi risponde affermativamente crede che l’omosessualità possa essere curata e/o prevenuta.

Non a caso Pasolini intitola questa parte del suo film-verità «Schifo o pietà?»: la compassione sembra essere l’unico altro sentimento possibile nei confronti di chi è attratto da persone dello stesso sesso.

L’accettazione giunge dalla saggezza ungarettiana: il poeta, interrogato sulla normalità e l’anormalità sessuale, afferma serafico che tutti gli uomini sono, in realtà, anormali, fin dal primo momento: «l’atto di civiltà, che è un atto di prepotenza umana sulla natura» è, di fatto, «un atto contro natura». Ogni uomo, continua, è diverso nel corpo e nello spirito, di conseguenza tutti «in un certo senso, sono in contrasto con la natura».

Normalità e anormalità sono uno yin e uno yang irreversibilmente contaminati e destinati a fondersi cancellando ogni linea di demarcazione.

Dalle interviste emerge che “non sta bene” mostrarsi disinibiti, informati sul sesso, tolleranti. “Sta bene”, invece, indossare una maschera di decoro e nascondere i fenomeni scomodi, come la prostituzione. Pasolini ne discute poiché dal ‘58 era entrata in vigore la legge Merlin che l’aveva messa al bando chiudendo le case di tolleranza; ma la gente – e le prostitute stesse – preferisce che le case chiuse esistano: dietro le loro mura il mestiere più vecchio del mondo può continuare a essere esercitato «in maniera onesta» e omertosa.

Qual è invece l’opinione degli italiani in merito al divorzio1?

Molti, soprattutto donne, si dicono favorevoli. Ma c’è chi, come un padre con il figlioletto in braccio, spiega con arroganza che «il matrimonio è un fatto sociale, le istituzioni non devono cambiare e la famiglia è sacra: forma il cittadino e va difesa; senza il nucleo familiare che tipo di moralità si avrà?».

Dello stesso avviso è un’aggressiva signora anziana, convinta che il matrimonio sia la legge di Dio, che va rispettata a maggior ragione in Italia, “casa” del Cattolicesimo. Nelle spiagge calabresi viene addirittura detto che gli episodi di violenza fra coniugi sono preferibili, perché «divorziando l’uomo resta cornuto». La società è – specie al Sud ma non solo – fortemente retrograda: si pensa che l’onore della donna “angelicata”, sempre e comunque inferiore all’uomo, vada ipocritamente difeso.

Pasolini si rende conto che «se c’è un valore in questa nostra inchiesta, esso è un valore negativo, di demistificazione. L’Italia del benessere materiale viene drammaticamente contraddetta nello spirito da questi italiani reali», che nuotano nel più bieco perbenismo qualunquista. Secondo Musatti vestiamo i panni conformistici per proteggerci dall’oscuro antro che racchiude le nostre pulsioni più primordiali e più vere.

Oggi, dopo più di cinquant’anni, parlare di sesso è più facile, ma resta «estremamente faticoso» come rileva Pasolini. C’è ancora tanto silenzio intervallato da episodi di violenta intolleranza, tanta ignoranza pigra e testarda. Servirebbero coraggio e genuinità, che Pasolini ritrova solo nei giovani, «la vera sorpresa dell’inchiesta»: le loro idee sono limpide e (ancora) non filtrate da educazione genitoriale-sociale o morale cattolico-borghese.

Comizi d’amore è sorprendentemente attuale, poiché ha un intento conoscitivo e una straordinaria forza veridica. Guardandolo, ci si accorge con amarezza che i nostri tempi non sono poi così progressisti: pensiamo al Family Day, alla demonizzazione della teoria gender, all’antidiluviana convinzione che un bambino necessiti a ogni costo di un uomo e di una donna per essere cresciuto in maniera sana.

L’essere umano è un oceano vasto e sfaccettato, ha le idee più disparate, per i motivi più disparati. Per questo dovrebbe esserci dialogo e comprensione dell’altrui punto di vista e stile di vita: così si sconfigge l’oscurantismo e l’odio.

Per dirla con Musatti: «quando una credenza viene accettata passivamente, è lì che nasce il conformismo» – testardo, aggressivo, irragionevole.

A fine documentario compaiono due giovani sposi, Tonino e Graziella, pregni d’una «grazia che non vuole sapere»; ma la loro candida ignoranza è invece colpevole. L’augurio che Pasolini rivolge loro è: «al vostro amore si aggiunga anche la coscienza del vostro amore».

 

Francesca Plesnizer

 

NOTE:
1. Il divorzio sarebbe stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano con la legge Fortuna-Baslini nel ‘70.

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