Vivi e fai vivere: la biopolitica spiegata in sei sorsi

#biopolitica: prima della pandemia, l’hashtag era di tendenza solo per filosofi &Co.; con la pandemia, le cose sono alquanto cambiate. Se vorrai fare bella figura al prossimo aperitivo mascherato e se hai amici sufficientemente strani, potrai dire che hai seguito un mini-corso per spiegare di che cosa si tratta mentre bevete un cocktail in sei sorsi1. Se la cosa funziona, potrai chiedere in cambio che il cocktail ti venga offerto. Che la bevuta abbia inizio!

Sorso1. L’idea-base è che il potere sovrano regnava e comandava, cioè dettava legge e decideva chi vive/muore, mentre il potere biopolitico regola e mobilita, cioè norma le condizioni di vita e fa vivere. Disclaimer fondamentale: non si parla semplicemente del potere centrale statale, ma del modo in cui il campo sociale si organizza e articola i rapporti di forza. Il potere riguarda quindi non soltanto politici, sacerdoti e militari, ma anche genitori, famigliari e insegnanti, e poi ancora medici, tecnici ed esperti: sono figure con ruoli e pesi diversi, ma tutte rappresentano forme di potere!

Sorso2. Siamo al cuore della faccenda: abbiamo biopolitica quando la preoccupazione pubblica diventa l’amministrazione e la gestione della salute, cioè il modo in cui i cittadini vivono. Se un Re era un Padre Padrone assoluto, che teneva a bada i sudditi brandendo il diritto di ucciderli a piacimento, un governante biopolitico è un amministratore delegato, incaricato della governance della sanità del corpo sociale in senso ampio, cioè delle varie dimensioni del benessere e della salute pubblici. Bisogna innanzitutto ringraziare la medicina, che ha migliorato le condizioni di vita, e la statistica, che ha reso le popolazioni l’oggetto di un sapere. Il tocco finale arriva oggi con la combo “biotecnologie + digitale”: la sorveglianza diventa capillare e quasi penetra le menti, la vita viene (ri)prodotta in laboratorio e l’estrazione di dati di ogni tipo si fa al contempo massiva e personalizzata. Si apre la possibilità di monitorare costantemente le condizioni di vita – con annessi problemi, perplessità e reazioni.

Sorso3. Insomma, biopolitico è il governo (nonché il cittadino) che si premura tanto di permettere quanto di regolare un’azione come il bere alcolici, in pubblico e in privato: a un Re, questi sorsi sarebbero interessati ben poco, paradossalmente. Ecco il motto del biopotere: vivere e far vivere – a certe condizioni. La vita va prodotta, gestita, alimentata e regolata; le sue prestazioni vanno protette, potenziate e arricchite: come sempre, questo ha un lato positivo e uno negativo. Il bright side è l’opportunità di coltivare e sfruttare la vita, cioè di renderla il più possibile lunga, ricca e salutare; il dark side è che mantenere e curare la vita diventano una preoccupazione primaria, perché prima di vivere bisogna innanzitutto sopravvivere. Da qui il rischio: sacrificare il ben-vivere per il mero sopra-vivere, ritrovandosi in una condizione invivibile.

Sorso4. La domanda sorge allora spontanea: il biopotere è meglio o peggio del potere sovrano? I filosofi direbbero che la domanda è mal posta: in realtà essi sono diversi – banale ma vero. No, non farti distrarre dal sogno di una radicale abolizione di ogni forma di potere: dove ci sono esseri umani, là c’è anche un qualche potere. Ma non disperare, perché se il modo in cui funziona il potere si trasforma, cambiano anche i modi in cui resistere a esso: dove c’è potere, là c’è anche resistenza. Come posso dunque bioresistere? Risposta: almeno in due modi, uno più contenitivo e uno più opportunista. Sotto con gli ultimi sorsi!

Sorso5. Il primo modo prevede una radicale opposizione al potere: non accettare che altri decidano che cosa è giusto per la tua salute, che esista davvero una generica salute collettiva, che «biosicurezza» e «nuda vita» diventino i valori sociali per eccellenza a discapito per esempio di privacy, libertà, uguaglianza e prossimità. Oppure, si può proprio rifiutare l’invito al continuo lavoro su di sé, perché esso è una violenza mascherata da vantaggiosa offerta.

Sorso6. Il secondo modo prevede di fare libero uso del potere: mettersi a dieta, fare self-building, nel senso ampio di auto-regolarsi, curando la salute e il benessere del sé, anche a prezzo di una certa ansia e stanchezza da prestazione. Oppure, si può allargare il raggio d’azione, spendendosi anche nella cura del mondo: nella salvaguardia e promozione della vita delle generazioni presenti e future, come anche dell’intero globo e della vita stessa – Biopolitics for Future. Sembra impegnativo, ma per fortuna dopo sei sorsi nulla è impossibile!

Che dici, basterà per riuscire a scroccare il prossimo cocktail?

 

Giacomo Pezzano

 

NOTE:
1. Per avere un’idea della copiosa letteratura sul concetto, basta consultare un motore di ricerca. Posso qui almeno celebrare il “peccatore originale”: il M. Foucault di Storia della sessualità 1. La volontà di sapere e Bisogna difendere la società. Corso al Collège de France (1975-1976) (Feltrinelli, Milano 2013 e 2020).

[Photo credit unsplash.com]

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Antropocene, vespe e orchidee: uno sguardo sui divenire di Deleuze e Guattari

Quando, nel novembre 2019, visitai la mostra Antropocene1, rimasi profondamente colpita dalle immagini esposte. Ciò che mi impressionò non fu tanto la durezza delle situazioni raffigurate, come quella in cui gli abitanti di Nairobi smistano rifiuti nelle immense distese di plastica della città, bensì la loro dimensione. Ormai siamo infatti abituati al costante bombardamento di immagini feroci che descrivono situazioni ancora più brutali, ma le fotografie esposte in quella mostra narrano dimensioni ancora sconosciute perfino ai nostri mass media. Affiancate da pannelli esplicativi sugli effetti dell’Antropocene2, le immagini mi sembravano narrare il mondo da un punto di vista diverso, più ampio. Una prospettiva che non è quella degli astronauti, ma nemmeno quella di un qualsiasi essere umano coi piedi attaccati alla terra: sconfinate vasche per l’evaporazione del litio dagli splendidi colori azzurro e giallo in Cile, miniere di potassio in Russia, ma anche quelle di marmo a Carrara, la sterminata bidonville di Lagos in Nigeria. Sono tutte impressionanti visioni che oggi solo le tecnologie dei droni ci possono consegnare. Stiamo modificando a tal punto il pianeta da poterci ritenere una forza geologica. Stiamo divenendo Terra. Certo, in un modo il cui esito sarà con buona probabilità quantomeno quello di ridurre drasticamente la popolazione umana mondiale, ma stiamo divenendo Terra.

«Una linea di divenire non è definita dai punti che essa collega né da quelli che la compongono: al contrario passa tra i punti, cresce solo nel mezzo e fila in una direzione perpendicolare ai punti che si sono prima distinti, trasversale al rapporto localizzabile da punti contigui o distanti»
G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, 2017.

Così Deleuze e Guattari definiscono la “linea di divenire” nel capitolo di Mille piani intitolato, appunto, Divenir-intenso, divenire-animale, divenir-impercettibile... Le immagini della mostra Antropocene descrivono molto bene questo concetto: non siamo noi esseri umani e la Terra, congiunti da una linea che ci mette in relazione e che è dipendente da questi due punti distinti, bensì vi è un’unica linea che è il nostro divenire Terra, il nostro – di noi esseri umani e della Terra insieme – esprimerci come forza geologica. Mutiamo assieme, interagiamo nelle miniere di potassio, quando le scavatrici tracciano, sulle pareti cremisi dei tunnel sotterranei, linee che ricordano ammoniti. È un divenire che sta avendo esiti nefasti sulla biodiversità del pianeta, inclusa la nostra stessa specie. In fondo, diveniamo sempre Terra, la differenza sta nell’impatto di tale divenire su di noi e sugli altri esseri che la abitano.

Per aver maggiore presa sul concetto filosofico di divenire, lasciamo l’Antropocene e passiamo all’esempio più celebre proposto dagli stessi Deleuze e Guattari: quello che considera la vespa e l’orchidea come facenti parte di un unico blocco di divenire, all’interno del quale la prima funge da apparato riproduttivo della seconda, e la seconda «diviene l’oggetto di un orgasmo della vespa liberata dalla propria riproduzione» (ibidem). Gli autori proseguono: «La linea – o il blocco – non collega la vespa e l’orchidea più di quanto non le coniughi o non le intrecci: passa tra le due, le trasporta in una comune vicinanza dove scompare la discernibilità dei punti» (ibidem). La linea di divenire passa dunque in mezzo alla vespa e all’orchidea e le avvicina fra loro in una zona di contiguità che trasforma entrambe. Divenire è proprio questo esser travolti da una trasformazione, una velocità che investe e trasporta in uno spazio di prossimità prima sconosciuto.

Per quanto possibile, cerchiamo di orientare il nostro divenire Terra in un’altra direzione, e ricordiamoci che la Terra può divenire senza di noi, ma noi non potremmo divenire nulla senza di lei.

 

Petra Codato

 

NOTE
1. La mostra, ospitata in Italia dalla Fondazione MAST di Bologna dal 16 maggio 2019 al 5 gennaio 2020, è curata da Urs Stahel, Sophie Hackett e Andrea Kunard ed è organizzata dalla Art Gallery of Ontario e dal Canadian Photography Institute della National Gallery of Canada in partnership con la Fondazione MAST di Bologna.

2. Riporto la definizione del vocabolario Treccani: «Antropocene: l’epoca geologica attuale, in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana, con particolare riferimento all’aumento delle concentrazioni di CO2 e CH4 nell’atmosfera».

[In copertina: Saw mills #1, Lagos, Nigeria 2016. Photo credit Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milano / Nicholas Metivier Gallery, Toronto]

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LA CINA ABOLISCE LA LEGGE SUL FIGLIO UNICO. Le devastanti conseguenze di trentacinque anni di pianificazione familiare forzata

Dopo aver per trentacinque anni forzatamente mantenuto sotto controllo la crescita demografica del Paese, Pechino cambia orientamento: lo Stato Comunista Cinese ha abolito la legge sul figlio unico.
Se torniamo indietro nella storia, il 1 ottobre 1949, l’allora presidente Mao Zedong, annunciando la nascita della Repubblica Popolare Cinese, attuò una serie di misure politiche atte a favorire la natalità; tale politica familiare portò al raddoppio del numero della popolazione cinese.
Alla morte di Mao, nel 1976, la Cina contava quasi un miliardo di persone e dopo qualche anno, nel 1979, il Governo cinese iniziò a promuovere una politica di regolazione delle nascite attuando una serie di provvedimenti di pianificazione familiare. Per l’occasione venne anche istituita una Commissione di Stato per la Pianificazione Familiare composta da migliaia di ufficiali addetti ai controlli in tutto il Paese.
Le famiglie vennero registrate in due differenti liste, quella urbana e quella rurale: alle prime venne assolutamente vietato di avere più di un figlio, mentre alle seconde venne concesso di avere un secondo figlio solo se il primo nato fosse stata una femmina; pena severissimi provvedimenti a livello pecuniario e fisico.
Con gli anni economisti e sociologi cinesi iniziarono a divulgare dati preoccupanti: rallentamento dell’economia, invecchiamento della popolazione e diminuzione della forza lavoro. La politica del figlio unico doveva essere assolutamente ridiscussa.
Già nel 2013 furono apportate alcune modifiche alla legge nel tentativo di ribilanciare il tasso di fecondità nel frattempo sceso sotto il livello di sostituzione. Per cercare di evitare un collasso demografico e il conseguente annientamento di alcune minoranze etniche il numero di figli per ogni famiglia venne portato a due, ma solo nel caso in cui uno dei coniugi fosse stato figlio unico.
Nelle scorse settimane lo Stato cinese, con l’annuncio dell’abolizione della “politica del figlio unico”, chiede alla popolazione di cominciare a produrre nuove braccia pronte a lavorare. L’obiettivo è consentire alla Cina di contare su una forza lavoro in grado di sostenere una popolazione sempre più vecchia.
Trentacinque anni di forzata pianificazione familiare hanno comportato “effetti collaterali” drammatici ed oramai irreparabili.
Dal 1979 ad oggi, secondo dati stimati Ministero della Salute di Pechino, sono stati perpetrati circa quattrocento milioni di aborti, un genocidio silenzioso se si pensa ai quindici-venti milioni di morti della Shoah, il tutto nell’indifferenza e con il benestare delle autorità.
Le ripercussioni negative non finiscono qui; oltre il dramma degli aborti indotti, vi è il grande numero di donne sottoposte alla sterilizzazione forzata. Anche in quest’ultimo caso ci troviamo di fronte ad una palese violazione dei diritti umani e ad un oltraggio alla dignità umana.
Ulteriore elemento da valutare è la sproporzione tra la popolazione maschile e quella femminile, il numero dei maschi risulta, in maniera totalmente innaturale, superiore a quello delle femmine. Si tratta di un dato che riguarda essenzialmente le realtà rurali; in effetti, in campagna, molte famiglie furono costrette a rinunciare non solo al secondo o terzo figlio, ma ad interrompere la gravidanza o a praticare l’infanticidio qualora il feto fosse stato di sesso femminile. Ciò avrebbe permesso ai genitori di tentare altri concepimenti con lo scopo di avere un figlio maschio che nelle zone rurali significa forza lavoro, intesa come forza fisica, fondamentale per il supporto all’economia familiare.
Le famiglie che decidevano di portare comunque a termine la gravidanza, spesso, non denunciavano le nascite all’anagrafe crescendo così “figli senza nome” privi di qualsiasi documento d’identificazione, che non potevano frequentare scuole e che non avevano accesso alle strutture sanitarie.
Nel 2013 all’appello mancavano decine di milioni di donne.
Ad oggi, con le nuove direttive dello Stato cinese, presumibilmente, la percentuale degli aborti si dimezzerà, ce ne saranno meno di prima, ma ce ne saranno ancora; se anche un solo aborto indotto e forzato, personalmente, è sempre troppo, rifletto sul dramma di milioni di aborti che probabilmente saranno la metà dei milioni di prima ma pur sempre milioni. Forse il dato peggiore è la logica che sta sotto queste politiche, ovvero che la popolazione cinese può avere tanti figli quanti decide il Governo in un determinato periodo storico. Quando i cinesi erano troppi, se ne è contenuto il numero con l’aborto statale; quando ci si è resi conto che ne servivano di più si è proceduto ad attenuare la morsa sulla legge del figlio unico consentendone un secondo solo a quelle coppie in cui almeno uno dei genitori è unico per legge, fino ad oggi, tempo in cui si incoraggiano le famiglie ad avere due figli perché è considerato legittimo plasmare l’uomo in base alle necessità economiche di un Paese, un uomo che non è il fine dell’economia ma un semplice mezzo il cui sfruttamento dipende da un beffardo calcolo di interesse.
È evidente che la vita umana e l’unicità delle persone, per il Governo cinese, non sono valori da proteggere e tutelare. Le persone esistono in Cina unicamente in funzione dello Stato, il quale periodicamente e a proprio piacimento decide di arrogarsi il diritto di disporre liberamente della vita umana.
Silvia Pennisi

[immagine tratta dal sito www.progettoitalianews.net]