Humboldt e il rapporto dell’essere umano con la natura

Che cos’è la natura per gli esseri umani? Uno sfondo di appartenenza co-originaria di tutto ciò che appare, noi inclusi, o un’antagonista da domare? Uno scenario di contemplazione a cui ricorrere appena possibile o un enorme contenitore di beni da prelevare bramosamente? Potremmo dire che l’umanità nella storia ha formulato e messo in atto un po’ tutte le risposte, ma le problematiche ecosistemiche che ci troviamo a fronteggiare rendono evidente che il secondo tipo di risposta sia stato il più gettonato.

All’origine del nostro rapporto con la natura, predatorio o ecologico, sta una scelta filosofica. Domandarsi che posto abbiamo nel mondo naturale, quali diritti di usufruirne e, soprattutto, quali limiti, è indubbiamente un ragionamento di tipo esistenziale-filosofico. Dunque, ricercare i fondamenti dei diversi modi di pensare la natura significa visitare la storia della scienza e della filosofia per scoprire i pensatori che hanno fatto della loro visione della natura un riferimento culturale epocale. Prendiamo, ad esempio, Cartesio: scienziato e filosofo, fu un attento osservatore di fenomeni, ma il suo approccio era di tipo meccanicistico e riduzionista. Ciò significa che ogni elemento naturale andava studiato scomponendolo, come si farebbe come una macchina. La sua propensione alla frammentazione fu tale che con lui la materia (res extensa) e l’immateriale (res cogitans) si separarono drasticamente. La visione meccanicistica della natura ebbe molta fortuna tra vari scienziati che succedettero a Cartesio.

Un importante oppositore di questa visione, invece, fu Goethe: la sua propensione al tutto e alla fusione tra arte e scienza fece di lui un importante sostenitore del primato dell’unità sulle parti. L’organismo è più della sua scomposizione in pezzi. Questo pensiero fu determinante nell’influenzare un importantissimo scienziato dell’800, un altro tedesco, sfortunatamente poco conosciuto in Italia: Alexander von Humboldt (una sua preziosa biografia è L’invenzione della natura. Le avventure di Alexander von Humboldt, l’eroe perduto della scienza, di Andrea Wulf, Luiss, 2017). Assiduo frequentatore della natura, viaggiatore temerario e fine scienziato, Humboldt fece delle sue ricerche un capolavoro di visione filosofica della natura come “tutto armonioso” in cui niente è slegato dal resto. Teoria ed osservazione in prima persona erano per lui inscindibili. Riuscì per primo al mondo a scalare la vetta di 6310 metri del Chimborazo, vulcano dell’Ecuador (allora considerato il monte più alto del mondo). Un record sancito senza alcuna attrezzatura tecnica e rischiando la vita. Ma l’esperienza fu totalizzante per Humboldt, che lì ebbe la sua folgorazione: tutto è connesso e la natura è un organismo vivente.
Humboldt era anche un vero maniaco dei dettagli: annotava tutto e i suoi vari libri pubblicati segnarono per sempre la carriera di altri studiosi. Tanto per fare un esempio, Darwin si imbarcò sul Beagle perché conosceva Humboldt a memoria ed era desideroso di solcare le sue orme. Thoreau fu un grande ammiratore delle opere di Humboldt e ancora oggi, fortunatamente, rimane un autore molto letto.

Lo sguardo di Humboldt fu prezioso anche come antesignano dell’ecologia. Già a inizio ‘800 fu in grado di scorgere i segni del degrado ambientale provocato dall’azione umana. La sua attenzione alle dettagliate relazioni tra le parti lo portò a vedere come la deforestazione avesse effetti enormi sull’ambiente. Aveva capito che tutto il delicato equilibrio della vita si erge sulla diversità, i cui più acerrimi nemici siamo noi. Aveva addirittura colto i problemi globali legati alle monoculture, notando come le coltivazioni imposte dai colonialisti europei impoverivano le popolazioni locali del Sud America. La sua visione influenzò personalità come il rivoluzionario Bolivar o il secondo presidente degli USA, Jefferson, che furono suoi personali amici. Conobbe bene anche Napoleone, che invece lo detestava per la sua caratteristica di rifuggire qualunque possibilità di manipolazione. Per Humboldt la scienza era al servizio della natura e non della politica, come era invece per Napoleone. Humboldt arrivò a influenzare anche il filosofo Schelling nella formulazione della sua visione filosofica di unità tra Io e natura. Suggestionò i poeti Romantici e, ad esempio, Coleridge e Wordsworth furono suoi grandi ammiratori. Un intenso filone filosofico e letterario fece propria la lezione di Humboldt, ma non bastò a salvare il mondo.

L’impennata scientifica esordita a fine ‘800 diede un impulso così forte all’industrializzazione che la natura ancora di più diventò giacimento di risorse da spremere senza senno. Popolazione in aumento, relativi bisogni di sostentamento e possibilità tecnologiche sempre crescenti hanno decretato la vittoria dei fautori della dominazione della natura. Adesso siamo convinti che doveva per forza andare così, come se il progresso sia inevitabilmente legato al consumo sfrenato. La cecità con cui proseguiamo in quest’opera dissennata non ci fa nemmeno intravedere quell’altra visione, quella di una scienza rispettosa che si unisce alla poetica contemplazione del Tutto, così come ce l’hanno lasciata in eredità personalità quali Humboldt. Una visione che, se avesse prevalso, forse ci avrebbe portato a un’idea di progresso maggiormente ecocompatibile.

L’umanità ha oramai scisso se stessa dalla natura e, poco filosoficamente, continua a pensare che il suo destino sia slegato dal Tutto.

 

Pamela Boldrin

 

[Photo credit David Marcu via Unsplash]

banner riviste 2022 ott

Crisi ecologica e pensiero globale. La proposta di Edgar Morin

Nelle sue Sette lezioni sul pensiero globale, Edgar Morin afferma che il nostro è il tempo di una «politica interamente divorata dall’economia, asservita all’economia, e non a una qualsivoglia economia: all’economia che parla unicamente di interessi» e a causa della quale la povertà si sta rapidamente trasformando in «miseria di massa». Secondo Morin noi tutti viviamo sovrastati da un’economia selvaggia, che ha sviluppato «una sorta di tumore: il dominio del capitale finanziario speculativo». L’attuale sistema economico non solo impoverisce i più per concentrare la ricchezza nelle mani di pochi privilegiati, ma mette sempre più in pericolo l’ambiente e l’ecosistema, e quindi tutti i viventi. «L’eco­nomia detta di mercato, diciamo l’e­­co­­­no­mia capitalistica, ricopre ormai praticamente tutto il globo, compresa la Cina». L’e­mer­gen­za non è quindi locale, ma planetaria.

Morin ritiene che l’unico modo per risolvere alla radice i problemi della Terra sia prendere coscienza della «devastazione ecologica» che stiamo causando e ripensare al nostro posto nel mondo. Ciò che si tratta di capire è che noi crediamo di poter dominare la biosfera, ma «più la dominiamo, più la degradiamo e più degradiamo le nostre condizioni di vita». È quindi più che mai necessaria, per Morin, una «riforma della conoscenza e del pensiero, per delineare un pensiero “complesso” […]: un pensiero globale, mondiale», che tenga conto del «cordone ombelicale» che ci unisce a tutta la Natura.

Come si può intuire, il “pensiero complesso” che propone Morin è multidisciplinare e attento a cogliere le connessioni sussistenti tra le parti e il Tutto: «la parola complexus», ricorda Morin, «vuol dire “legato”, “tessuto insieme” e, dunque, il pensiero complesso è un pensiero che lega, da una parte contestualizzando, cioè legando al contesto, dall’altra parte tentando di comprendere che cosa è un sistema». Non a caso, Morin adotta come proprio motto personale il pensiero n° 72 di Pascal (ed. Brunschvicg):

«poiché tutte le cose sono causate e causanti, […] e tutte sono legate da un vincolo naturale e impercettibile che unisce le più lontane e le più diverse, ritengo che sia impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto, così come è impossibile conoscere il tutto senza conoscere dettagliatamente le parti».

Guardare al Tutto per capire il ruolo delle parti e osservare l’intreccio e l’interazione delle parti per comprendere la natura del Tutto: ecco gli obiettivi che si prefigge il “pensiero complesso” di Morin. La proposta di questo pensatore è senz’altro sensata, ma quali risposte offre, in concreto, il suo “pensiero globale” ai problemi del nostro tempo? Per Morin, ciò che andrebbe fatto per migliorare la situazione del pianeta è molto chiaro: in primo luogo «possiamo e dobbiamo concepire i limiti delle riserve energetiche esauribili, come quelle del petrolio e del carbone, privilegiando le risorse illimitate delle energie solare, eolica e delle maree». In secondo luogo, «bisognerà anche contenere la crescente urbanizzazione apparentemente illimitata», in modo da favorire il deflusso della popolazione «dalle città alle campagne».

Morin guarda inoltre con favore all’agro-ecologia e all’agro-silvicoltura: «malgrado l’attuale dominio dell’agricoltura e dell’allevamento industrializzati», scrive il sociologo francese, il diffondersi di pratiche ecologiche in campo agricolo «è uno dei segnali deboli che […] lasciano intravedere la possibilità di un futuro migliore per l’alimentazione delle città e la vita delle campagne». Necessaria sarebbe anche la creazione, in ogni agglomerato urbano, di «eco-quartieri», dotati di «sorgenti di energia pulita e di circolazione automobilistica sempre più elettrificata».

Nonostante Morin veda il mondo muoversi in direzione di una maggiore consapevolezza ecologica, egli ritiene che tali progressi avvengano solo su piccola scala e comunque troppo lentamente, e questo a causa della mancanza di una spinta decisiva, quella che dovrebbe imprimere la politica. Morin ritiene ad esempio che gli Stati non facciano abbastanza per promuovere l’agro-ecologia, e che dietro a questa mancanza di impegno si nasconda l’intenzione di favorire «le grandi monocolture e gli allevamenti industrializzati».

Questo disinteresse del mondo politico si estende poi a ogni altro tipo di iniziativa “verde”. Ciò che sembra mancare è la volontà di agire in modo globale e sistematico e di integrare tra loro i provvedimenti che potrebbero rendere il mondo più “pulito” e vivibile. Tutto ciò che riguarda le pratiche ecologiche, scrive Morin, «è molto disperso e non è ancora in confluenza. Nessun organismo, nessun partito politico, nessuna associazione si occupa di far convergere queste iniziative, di farle conoscere».

Secondo Morin, ciò che l’umanità deve fare per salvarsi dal baratro è rendere “ecocompatibile” non solo la propria tecnologia, ma la propria intera economia, intervenendo alle sue radici per sanarla:

«ciò che deve crescere è un’economia ecologizzata, un’economia della salute, un’economia del bene pubblico, un’economia della solidarietà, una nuova educazione».

Morin non è comunque un sognatore o un pensatore che propone facili utopie e sa bene quanto sia arduo fare dei reali passi avanti nella direzione da lui indicata. Non a caso, a proposito del futuro del nostro pianeta, egli afferma che è necessario portarsi “oltre l’ottimismo e il pessimismo”: «l’ottimismo ci acceca sui pericoli; il pessimismo ci paralizza e contribuisce al peggio. Bisogna pensare oltre l’ottimismo e il pessimismo. Da parte mia, sono un otti-pessimista». Questa dichiarazione ha come sfondo la consapevolezza che il futuro del mondo non è predeterminato e prestabilito, ma ancora tutto da decidere e quindi aperto a una molteplicità di esiti, che possono essere drammatici ma anche lieti. Il miglioramento della situazione globale non è quindi scontato, ma nemmeno impossibile.

Certo, se l’umanità prosegue sulla strada che finora ha imboccato, il futuro non sarà roseo, ma nulla impedisce agli esseri umani di “cambiare rotta” e veleggiare verso lidi migliori. Ecco perché Morin afferma che la «lotta» per costruire un mondo migliore – a cui tutti noi, nel nostro piccolo, possiamo contribuire – «non è totalmente disperata». Ma dato che il “lieto fine” non è affatto scontato, solo se ci impegniamo veramente «l’incredibile può accadere, e accadrà». Morin stesso ricorda a questo proposito l’antica sentenza del filosofo greco Eraclito: «se non cerchi l’insperato, non lo troverai».

 

Gianluca Venturini

 

 

[L’immagine è una rielaborazione digitale di immagini tratte da Google immagini]

 

copabb2019_ott