Omotransfobia: la questione dei diritti degli altri

Quante volte torna ciclicamente alla ribalta la questione del riconoscimento dei diritti per la comunità LGBT?
Facendosi largo tra il monopolio mediatico incentrato sulla pandemia mondiale, anche in questa occasione il dibattito è tornato ad infiammare l’opinione pubblica ed immancabilmente tornano a galla le solite suddivisioni abbastanza nette tra i favorevoli e i contrari.
Nella versione 2021 il leitmotiv non è legato al riconoscimento delle unioni omosessuali, ma al riconoscimento di un problema sociale: l’omotransfobia.

Cos’è l’omotransfobia?
Mettendo da parte le noiose definizioni da vocabolario possiamo definirla come un enorme fastidio interiore nel vedere, nel percepire, un’esistenza diversa dalla propria, e di esternarlo attraverso l’uso della violenza verbale o fisica.
Vi ricordate l’aggressione subita dalla coppia di ragazzi alla fermata della metro a Roma da parte di un personaggio infastidito interiormente dalla loro intimità? Si tratta dell’esempio più recente a cui possiamo fare riferimento quando si parla di omotransfobia.

L’atto in sé si chiama violenza, un gesto di breve durata, eppure significativo per chi vuole guardare un po’ più in là, oltre i confini più delineati. Perché? Perché la violenza fisica nell’esempio citato ne ha portata altra, una violenza collaterale che si può individuare attraverso i segnali di giustificazionismo se non addirittura di approvazione in sostegno all’aggressore.
Le motivazioni sono sempre le stesse: dovrebbero amarsi a casa loro, vivere la loro relazione di nascosto, non infastidire la – a questo punto fragilissima – sensibilità del prossimo perché ‘giustamente’ un sensibilissimo – e a questo punto fragilissimo – maschio-alfa potrebbe mettere loro le mani addosso.
Insomma, non sono gli aggressori ad essere birichini, sono loro che: «se la vanno a cercare»; un po’ come le donne vittime di violenze1 e di abusi sia occasionali che reiterati, tanto per orientarci.

Dulcis in fundo c’è anche la questione dei bambini, sia mai che prendano contatto con il mondo reale prima dei 58 anni, che capiscano la molteplicità degli orientamenti sessuali dell’Essere umano, che imparino a rispettare il prossimo, o a come difendere la propria natura da chi vorrebbe standardizzarla.
Perché oltre all’esempio dell’aggressione alla metropolitana di Roma, una violenza fisica, c’è anche tutto quell’insieme di violenza psicologica che si consuma spesso nelle scuole, tra i giovani, in un’età cruciale per la maturazione sessuale… esperienza che diventa un vero inferno se la propria esistenza viene messa alla berlina in un ambiente sociale dove viene additata come abominio.

E in tutto questo dibattito sull’omotransfobia non poteva mancare l’incrollabile moralismo che, rifacendosi a precetti religiosi piuttosto intimi, pretende di decidere ciò che è meglio per tutti, compresi coloro che non hanno precetti religiosi piuttosto intimi vista l’esistenza dello Stato laico. Una bella contraddizione che prima o poi dovrà, si spera, trovare una soluzione definitiva.

Nell’esatto momento in cui viene proposta una legge per condannare chi discrimina, chi aggredisce, chi muove violenza utilizzando motivi del tutto futili, esattamente come fanno i sedicenti impressionabili, spunta sempre qualcuno che pone l’attenzione su altro, su qualcosa certamente più importante, su cose che meritano priorità maggiori rispetto ad una legge che non li riguarda affatto.

Allora credo sia necessario, oltre ad insistere nel regolare giuridicamente questi avvenimenti, sviluppare finalmente una coscienza collettiva libera da dogmi alquanto controversi, tesi all’esclusione, all’ostracizzazione di chi non rientra nei parametri fissati ad un certo punto della Storia – quindi relativi ad una certa epoca per una determinata società – resi inspiegabilmente eterni ed immutabili.

 

Alessandro Basso

 

NOTE:
1. L’aggressore deve essere occidentale, altrimenti questa regola non vale.

Immagine proveniente da pixabay

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DESIDERIO = DIRITTO ?

Qualcuno si è mai posto la domanda: ma se desidero ardentemente una cosa, essa diventa automaticamente un diritto? Beh, probabilmente no; più che altro perché, messa in questi termini, la risposta risulterebbe piuttosto banale. Sarebbe come dire che se sono tifoso di una squadra di calcio e desidero ardentemente che essa vinca lo scudetto, quello scudetto diventi automaticamente un diritto per la squadra e per i tifosi che ardentemente lo desiderano. Ma allora, avendo ogni squadra almeno un tifoso che desidera vincere il campionato, ogni squadra dovrebbe vincerlo ogni anno…

Vi state già annoiando a leggere questo discorso, vero? Sarà perché ha un che di surreale. Quasi non ha senso! È chiaro che se le regole del calcio funzionassero così non vi sarebbe nessun campionato, nessuna partita o quantomeno non avrebbe senso seguirlo… vincerebbero tutti, avrebbero tutti ragione… (oppure non l’avrebbe nessuno a seconda dei punti di vista). Sia chiaro però che, se volessimo, delle regole scritte in questo modo si potrebbero fare, nessuno ce lo impedirebbe, sarebbe tranquillamente possibile! Continuo a parlare di qualcosa che sembra assurdo? Un desiderio, per quanto forte, non può sempre diventare un diritto? Concordo.

Veniamo ad un dibattito molto attuale, ossia quello del cosiddetto “utero in affitto” o, se vogliamo essere politically correct, “surrogazione di maternità” o “gestazione per altri” o “gestazione d’appoggio”. Su cosa verte questo dibattito? Beh, l’argomentazione è piuttosto semplice: una persona od una coppia sterile che desidera ardentemente avere un figlio può, attraverso la fecondazione assistita, trovare una donna, detta “madre portante”, che si assume l’obbligo di provvedere alla gestazione ed al parto per conto della persona o della coppia committente alla quale si impegna di consegnare il bambino appena nato. Se dicessimo queste parole ad un computer non si verificherebbe alcun conflitto, il ragionamento è perfettamente logico e possibile, ma se lo vediamo con gli occhi di un essere umano?

Oggi la nostra società si sta sicuramente evolvendo, ma non si capisce bene in cosa. Davvero è pensabile vivere in un mondo dove l’unico criterio utilizzato per decidere se fare o meno qualcosa sia quello del “tecnicamente possibile” o “tecnicamente impossibile”? Perché tale criterio esclude qualsiasi altro tipo di parametro, induce a non ragionare o a farlo come se non vi fosse un domani o come se le nostre scelte non riguardassero nessun altro. Se una cosa desiderata è tecnicamente possibile, allora diventa un bene ed un diritto. E come decidiamo se una cosa è giusta o sbagliata? Se una cosa è bene o male? Se una cosa rischia di danneggiare o no qualcuno? Anche se questo qualcuno ancora non è venuto al mondo…

La mia impressione è che si sia arrivati ad un punto in cui si riflette troppo poco e si protesta troppo, basandosi solo sull’istinto e sulla sensazione. Un istinto che a volte non sembra neanche essere naturale. Sì, perché se la natura non ci da la possibilità di fare tutto ciò che vogliamo, per quale motivo andare a “forzarla” addirittura nell’atto del concepimento della vita umana? A nessuno è mai venuto il dubbio che alcuni processi fondamentali della natura sia importante lasciarli così come sono stati creati? Ma a parte questa considerazione, che può variare a seconda del proprio credo o della propria visione dell’universo, penso sia il caso di porsi quantomeno il quesito che riguarda il vero protagonista di queste scelte, che non siamo noi, ma la vita che vogliamo concepire!

Nel diritto sacrosanto del bambino di conoscere la propria storia e la propria origine una volta cresciuto, quali possono essere le conseguenze fisiche e psicologiche per lui nel venire a conoscenza del fatto che sua madre potrebbe non essere la vera madre, che suo padre potrebbe non essere il vero padre, che la persona che l’ha partorito era solo un “presta corpo” che potrebbe averlo partorito solo per questioni economiche e che i genitori legali, se non fosse stato conforme alle attese, avrebbero potuto chiedere l’interruzione di gravidanza alla madre ospitante. Certo, nessuno mette in dubbio che tali cose potrebbero non avvenire o avvenire con totale serenità, ma qualcuno si pone il dubbio del contrario? E nel caso di coppie omosessuali, chi può arrogarsi il diritto di negare ad un nascituro la possibilità di avere una famiglia naturale o quantomeno ciò che più si avvicina ad essa? E non affronto, per non cadere in un dibattito ugualmente complesso, il rapporto che possiamo immaginare si instauri fra la madre partoriente ed il figlio che ha in grembo.

Nel dibattito politico non riusciremo mai a trovare delle risposte. Oramai la comunicazione politica si è appiattita sul sensazionalismo giornalistico; i mass-media tendono alla non riflessione e cercano il clamore. Questo criterio non permette di ragionare, non crea nelle nostre coscienze il clima sereno per una riflessione profonda ed una capacità di discernimento. Il legislatore ha il dovere di regolamentare delle situazioni in essere, non può sottrarsi a questo. La questione delle unioni civili va sicuramente regolamentata e per come la vedo io in maniera molto semplice: non con una legge che equipari le unioni omosessuali o di altro tipo al matrimonio, che ha un significato storico, culturale e religioso ben preciso e legato alla nostra condizione naturale, ma con una legge che ne riconosca formalmente l’esistenza e che ne elenchi i diritti giuridici, economici ed assistenziali. Nulla di più semplice, ma una soluzione alla quale non si arriverà mai, a causa degli schieramenti politici sempre pronti a strumentalizzare la questione per secondi fini. Ma quello che il legislatore non può permettersi è di intervenire con leggi che mettano in discussione i diritti di chi ancora non è nato, perché essi non avranno mai la possibilità di dire come la pensano a riguardo. E su questo punto non è meglio lasciare che intervengano quelle leggi che non serve scrivere? Le leggi naturali?

Ed il paradosso? Che spesso proposte come “l’utero in affitto” arrivano dalle stesse persone che tanto si spendono per non modificare l’ambiente e mantenere gli equilibri della natura che altrimenti si “ribella”. Ma la natura dell’uomo è esonerata da tale concetto? Costoro spesso davvero mi confondono…

Per le coppie eterosessuali esiste lo strumento dell’adozione; certo, magari non permette di avere un bambino “su misura” (per quanto possa essere aberrante pensare di “costruirsi” un bambino in provetta a proprio piacimento, quello lo si fa nei negozi di giocattoli al massimo), ma permette di amare una persona come se fosse un figlio, di crescerlo e di dargli amore, quell’amore che il destino per qualche motivo gli ha negato nella sua vera famiglia. Quell’amore altruista ed incondizionato che l’egoismo di pensare solo al proprio desiderio sta pian piano cancellando. Sì, perché volere un bambino a tutti i costi, distorcendo al massimo il concepimento naturale pur di averlo, non è amore nei confronti del bambino desiderato, ma solo nei confronti di se stessi! Ma quando per un qualche motivo quel desiderio cambia o scompare, non si può buttare via il bambolotto o venderlo al mercatino dell’usato… almeno per ora…

Si deve tornare a realizzare una società basata su dei principi universali, che sappia distinguere tra il bene ed il male o perlomeno tra l’opportuno e l’inopportuno per l’uomo. Non mi interessa vivere in un mondo dove tutti hanno ragione, dove esistono solo diritti… torniamo a pensare… forse non lo facciamo più da troppo tempo…

Nicola Di Maio

Nicola Di Maio, nato a Castelfranco Veneto il 31 Gennaio 1983, si è laureato in ingegneria elettrotecnica all’Università di Padova nel 2009. Ha lavorato per quattro anni presso una società di ingegneria del trevigiano e, dopo una breve esperienza all’estero in ambito commerciale, è rientrato in Italia per necessità familiari ed al momento è membro del consiglio di amministrazione di una casa di riposo. Da circa un decennio partecipa attivamente alle attività di diverse associazioni ed organizzazioni politico-culturali e, dalla fine degli anni novanta, continua a coltivare la sua grande passione per la musica, che lo vede prodigarsi sul pianoforte e sugli organi delle chiese della sua amata città. È sempre stato costantemente impegnato in attività di volontariato, soprattutto in ambito parrocchiale, dove continua a ricercare la sua crescita spirituale.