Gli intellettuali oggi

Oggi l’intellettuale è una delle figure più vituperate insieme a quella dell’insegnante e del medico. Dai giornali, dai social network, dai talk televisivi si attacca sempre più spesso colui che desidera riflettere in maniera più approfondita su un certo tema poiché non sarebbe un’azione abbastanza pratica; d’altronde termini quali intellettualoide, professorone, filosofo ecc sono tra i dispregiativi più utilizzati per delegittimare chi esercita il pensiero.

Da dove deriva questo rancore?

Una delle ragioni principali deriva dal fatto che l’intellettuale non produce materialmente ricchezza. Non è dunque un lavoratore o un individuo che si mette a fare, un termine quest’ultimo talmente abusato ormai che se non si fa o non si mostra quanto si fa (in Facebook ad esempio), ci si sente colpevoli o perfettamente inutili in un mondo dove l’ordine di produrre ha esteso le sue lunghe braccia anche nel cesso di casa.

Dunque per ottenere rispetto da parte del pubblico, l’intellettuale contemporaneo è costretto a definirsi un professionista, un colletto bianco con una ventiquattrore contenente l’ultimo sensazionale libro dalla copertina dai colori sgargianti e con un titolo stampato a caratteri cubitali. Inoltre, essendo un professionista dovrà limitarsi a commentare solo ciò che è inerente al suo campo di competenza, un quadratino sempre più piccolo nell’epoca della parcellizzazione dei saperi: sei il massimo esperto delle mele, ottimo. Non azzardarti però a parlare delle pere, son troppo diverse quindi non puoi comprenderle. Oltre a limitarsi al suo campo di competenza, l’intellettuale contemporaneo per forza sarà costretto a schierarsi o tra le file dei buonisti acritici che credono in un mondo a forma di cuore, oppure fra i complottisti di mestiere che dietro a ogni zona d’ombra ricamano teorie da milioni di Like. Non ci si può astenere altrimenti sei uno della casta.

In realtà, io credo che l’intellettuale debba avere un altro profilo.

Innanzitutto dovrebbe avere fiuto, ossia la capacità di leggere e calibrare gli equilibri sociali prima degli altri. Per questo, occorre che l’intellettuale sia dotato di un senso critico estremamente sviluppato. Si può difendere una causa, si può dare voce a un punto di vista, ma la critica deve per forza venire prima della solidarietà (di fedeltà neanche parlo). Di conseguenza, l’intellettuale non potrà schierarsi apertamente prima di non avere sottoposto all’esercizio della critica questo primo legame in particolare e tutti quelli che legano le infinite componenti di una società. A tal proposito, per chi lavora con il pensiero non esistono ordini fissi, gerarchie naturali, presupposti intoccabili e verità a priori in quanto tutto è mutabile, rovesciabile e segmentato.

Insomma da questa breve descrizione l’intellettuale sembra essere un guastafeste, l’amico noioso che alle feste vuole ascoltare il vecchio e saggio Guccini al posto del giovane e superficiale Rovazzi. In realtà non è proprio così. Chi vuole partecipare ai dibattiti e alle riflessioni d’oggi non può vivere al di fuori del mondo come un eremita o provare nostalgia per quel passato della serie “si stava peggio quando si stava meglio”, ma bisogna che si immerga con tutto sé stesso nel suo tempo. Per questa ragione è impensabile non avere un account Facebook e/o Twitter dal quale commentare, anche in maniera provocatoria, ciò che succede con il pericolo di essere attaccato su tutta la linea da diversi leoni da tastiera.

Per concludere, l’intellettuale non può permettersi di essere schizzinoso di fronte agli strumenti di comunicazioni odierni e in generale di fronte alla società contemporanea. Occorre sporcarsi nello stesso fango dove nuotano gli altri, controbattere colpo su colpo senza perdere il senso critico, la vera arma di chi lavora con il pensiero. Magari insieme a un vocabolario incisivo e comprensibile da tutti.

Marco Donadon

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

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Consigli amorosi da 2000 anni fa

Siamo agli albori della storia del mitico Impero Romano quando sotto il potere di Ottaviano Augusto il clima a Roma si fa più pacifico e disteso. I contrasti e le tensioni degli anni precedenti vengono abilmente indirizzati alle frontiere del territorio imperiale, in favore di un maggiore equilibrio interno. Lo scopo di Augusto è quello di controllare e disciplinare ogni piccolo aspetto della vita: per farlo, egli intraprende la strada del rinvigorimento delle tradizionali virtù romane, il cosiddetto mos maiurum. Filosoficamente parlando un potere politico forte deve sempre potersi avvalere, e allo stesso tempo deve potersi fondare su una solida base morale. E infatti Augusto si adoperò principalmente a conferire un solido fondamento etico a tutte le strutture sociali e politiche attraverso una serie di scelte concrete quali la costruzione di nuovi luoghi di culto, il supporto allo sviluppo artistico della città, ma anche attraverso leggi volte a favorire lo sviluppo delle nascite o condannando l’adulterio.

Di fronte a questo panorama, un’opera come l’Ars Amandi di Ovidio non poteva che essere additata! La dicitura “Arte di amare” non ha nulla a che vedere, almeno di primo impatto, con romanticismo, sentimentalismo o poesia. La parola “arte” è da ricondurre al suo significato originario che la accomuna con la parola “téchne”. Il testo di Ovidio, infatti, non è altro che un manuale grazie al quale l’individuo maschile poteva apprendere delle vere e proprie tecniche per conquistare il gentil sesso femminile. Il fine dell’atto d’amore è da Ovidio identificato con il solo piacere fisico: a causa della portata scandalosa delle sue affermazioni (ma anche per altri motivi più profondi, non ben chiari) Ovidio venne allontanato da Roma senza potervi fare ritorno.

Se l’atmosfera del libro potrebbe sembrare distante dall’idea di Amore con l’iniziale maiuscola, procedendo con la lettura, ci si può ricredere. Le sue scottanti tecniche di rimorchio, infatti, ad oggi non fanno che farci sorridere, vuoi perché l’argomento sentimentale/sessuale attualmente è trattato in pubblico e addirittura sbandierato con sempre meno pudore, vuoi perché in fondo tutti possiamo riconoscerci con un certo imbarazzo nella situazione del corteggiamento e nel brivido incerto che questa comporta. Un esempio: Ovidio consiglia di approfittare dell’affollamento delle tribune del circo per sedersi stretti accanto alla propria donna dei desideri. La sua massima «si è più sedotti da ciò che non si ha», lascia intuire come egli non preveda affatto la possibilità di andare incontro a rifiuti o fallimenti.

Spero di essere perdonata se azzardo che l’ego maschile non ha confini, nemmeno temporali! E per rifarmi da questa affermazione, consiglio a tutti i lettori uomini che volessero far ricredere le rappresentanti del genere femminile, la lettura della seconda gamma di consigli proposti dall’abile poeta: «Come far durare il proprio amore». Per levarvi subito la curiosità (o forse per venire in vostro soccorso) ve ne elenco qualcuno: essere amabili, avere un carattere piacevole, evitare la rudezza, evitare regali costosi in favore di gesti e attenzioni modeste. Non gettare la spugna se la vostra compagna ha un periodo di distrazione, ma essere pazienti e perseveranti. Addirittura Ovidio vi mette in guardia dal curarvi troppo del corpo, e vi propone di formarvi nello spirito!

Ebbene si, 2000 anni, ma le dinamiche amorose non mutano mai!

Federica Bonisiol

[Immagine tratta da Google Immagini]