Sibilla Aleramo, “Una donna”

Ogni opera letteraria è un messaggio che deve incontrare i propri lettori, e questo destino non è mai prevedibile. Una donna (1906), romanzo d’esordio di Sibilla Aleramo (Marta Felicina Faccio, 1876-1960), dopo un discreto successo e un lungo periodo d’oblio, fu riscoperto nel 1975 e incontrò un nuovo, straordinario favore di pubblico perché i tempi erano più favorevoli: i temi apertamente femministi che l’autrice aveva anticipato di molti decenni erano adesso oggetto di un dibattito acceso.

Una donna  elabora in forma di romanzo le esperienze giovanili dell’autrice. Da subito ci viene incontro una figura vivace e aperta al mondo: «La mia fanciullezza fu libera e gagliarda», una ragazza affascinata dal padre, che vede come un esempio di forza e indipendenza, mentre non trova mai una sintonia con la madre debole e sottomessa al marito.

Quando il padre accetta la proposta di dirigere una fabbrica in un paese del sud, la protagonista è entusiasta, e dà una mano in ufficio nonostante la giovanissima età, creando scalpore in paese, dove «regnava una grande ipocrisia. In realtà i genitori, sia fra i borghesi, sia tra gli operai, venivano sfruttati e maltrattati dai figli, tranquillamente; molte madri sopra tutto subivano sevizie in silenzio, (…) l’ipocrisia era stimata una virtù. Guai a parlare contro la santità del matrimonio e il principio della autorità paterna! Guai se qualcuno si attentava pubblicamente a mostrarsi qual era!».

Ma il padre ha una relazione con un’altra donna: la moglie, quando lo scopre, tenta il suicidio gettandosi da una finestra. Sopravvive, ma una forma di demenza progressiva impone il suo ricovero in un manicomio.

Intanto la protagonista, nemmeno sedicenne, è attratta da un giovane impiegato della fabbrica: le loro schermaglie si risolvono un giorno quando «accanto allo stipite d’una porta (…) fui sorpresa da un abbraccio insolito, brutale: delle mani tremanti frugavano le mie vesti, arrovesciavano il mio corpo fin quasi a coricarlo attraverso uno sgabello, mentre istintivamente si divincolava».

L’unica soluzione è un matrimonio “riparatore”, ma ben presto la protagonista scopre quanto il marito è meschino e incapace di capire la sua personalità. L’unica consolazione è la nascita di un bambino, su cui la ragazza riversa tutto il suo affetto.

La vita famigliare risulta noiosa, soffocante, finché la protagonista, corteggiata a una festa da un giovane uomo, finisce per rispondere alle sue attenzioni dopo averlo inizialmente respinto. Scoperto il fatto, il marito la maltratta e la segrega in casa finché lei, in un momento di sconforto, tenta il suicidio ingerendo del laudano.

Si salva, e la famiglia si sottrae alle chiacchiere trasferendosi a Roma. Lì la protagonista, sempre più convinta di doversi esprimere anche al di fuori della famiglia e conquistare una vita indipendente, collabora con una rivista femminile. Il marito la ostacola, e quando lei propone di separarsi, lui la ricatta rifiutando di lasciarle il figlio. Ma quando lei scopre che il marito ha una relazione con un’altra, se ne va comunque. Il libro che ha scritto forse permetterà al figlio, un giorno, di capire la sua scelta e il tormentato cammino che l’ha portata a quel passo: «Partire, partire per sempre. Non ricadere mai più nella menzogna. Per mio figlio più ancora che per me! Soffrire tutto, la sua lontananza, il suo oblio, morire, ma non provar mai il disgusto di me stessa, non mentire al fanciullo, crescendolo, io, nel rispetto del mio disonore!».

Una storia autobiografica, dicevamo; ma, per l’autrice, un esempio di vita nel quale altre donne possano riconoscersi. Il titolo stesso, così generico, va in questa direzione; e anche la singolare scelta stilistica, per cui tutti i personaggi sono indicati per il rapporto che hanno con la protagonista (il padre, il marito, la direttrice…) senza mai usare dei nomi propri.

Si potrebbe forse definire un romanzo di formazione, ma con una sostanziale differenza: mentre in questo genere, di solito, le esperienze giovanili preludono a una consapevolezza che porta i protagonisti a accettare un posto nel mondo, qui il percorso sembra inverso. La protagonista si sforza in ogni modo di adattarsi alle convenzioni, non discute mai il principio, all’epoca ovvio, per cui a una donna spetta solo «amare, sacrificarsi e soccombere». Il matrimonio e la maternità sono accettati come passi obbligati, ma la consapevolezza che «la buona madre non deve essere, come la mia, una semplice creatura di sacrificio: deve essere una donna, una persona umana», la spingono a infrangere fino in fondo le convenzioni, in nome del rispetto per se stessa. Una sfida, una prova da affrontare, capace ancora – pure in un linguaggio che suona ormai antiquato, di provocare i lettori.

Giuliano Galletti

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SELEZIONATI PER VOI: MARZO 2016!

LIBRI

Marzo è il periodo in cui l’inverno inizia a lasciare il passo alla primavera. Giornate dolci si avvicendano ad altre che profumano ancora di muschio e legna, sole e pioggia si alternano in un singolare passo a due, in cui i fiori più coraggiosi si schiudono tra le pozzanghere.

Contrasti fatti di luci e ombre, contraddizioni della natura che mettono radici dentro di noi, evidenziando la dualità della vita e dell’animo umano.

I titoli che vi consiglierò parlano di antinomie, di contrapposizioni, di bianco e nero che si fondono creando meravigliose, inquietanti e inaspettate sfumature di grigio.

61IoZNAMX9LFollia – Patrick McGrath

Stella Raphael è la moglie di un affermato psichiatra. Vive un’esistenza agiata e ordinaria, di madre e moglie accanto a un marito sempre troppo impegnato, una routine priva di stimoli e colori. Finché una pericolosa attrazione non si insinuerà nella vita di Stella. Un’attrazione che la condurrà verso Edgar Stark, artista detenuto nell’ospedale psichiatrico per uxoricidio. Una passione folle, bruciante, per la quale Stella sarà pronta a rischiare tutto, compresa la sua stessa vita.

Nurlovecento – Alessandro Baricco

Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento non ha mai lasciato il Virginian, la nave sulla quale è nato. In trent’anni non ha mai percorso la passarella che avrebbe potuto portarlo a terra. Eppure, Novecento, sa suonare la vita. Scorrendo veloci sui tasti del suo pianoforte, le dita parlano, raccontano, emozionano. Novecento sa assorbire le storie dei passeggeri del Virginian, sa farle proprie, sa trasfigurarle in melodia. Ma rimangono pur sempre emozioni di seconda mano. Trovare il coraggio di abbandonare la rassicurante culla dell’oceano è un’altra storia. E’ un interrogativo quasi amletico: vivere o non vivere?

imgresL’amico ritrovato – Fred Uhlman

Hans, figlio di un medico ebreo, e Konradin, rampollo di un’aristocratica famiglia tedesca, stringono un’amicizia autentica. Un rapporto che nasce tra i banchi di scuola e si nutre di affinità, comprensione, sostegno fraterno. Finché l’orrore della Germania nazista non travolgerà il loro legame, schierandoli su opposte frontiere. In un mondo buio in cui sembra non esserci più posto per i sentimenti, potrebbe non essere troppo tardi per ritrovarsi.

Stefania Mangiardi

FILM

Sono ben 59 i film pronti a uscire nelle sale italiane durante il mese di marzo. Per gli spettatori si tratta di un’occasione unica per approfittare di uno dei periodi più ricchi dell’intera stagione cinematografica, con molti titoli interessanti che spaziano dalla commedia ai film d’autore, passando per tanti documentari dedicati alla musica. Abbiamo selezionato per voi i tre titoli più interessanti.

seleRoom – Lenny Abrahamson

Una delle sorprese più interessanti di questo 2016, premiato durante la notte degli Oscar con la statuetta per la migliore interpretazione femminile. L’attrice Brie Larson regala un valore aggiunto a questa storia che racconta il legame unico tra una madre e il proprio figlio all’interno di una stanza che diventa il vero mondo dei due protagonisti. Straordinari i due attori, ottima la regia e molto convincente la sceneggiatura. Un film che vi stupirà. USCITA PREVISTA: 3 MARZO

sele_1Ave Cesare! – Joel e Ethan Coen

Il nome dei fratelli Coen è diventato negli anni un sinonimo di cinema d’autore ad alto tasso qualitativo. Nel loro nuovo gioiello si divertono a raccontare i fasti della Hollywood del passato, unendo tra loro generi come la commedia e il giallo. Il cast è stellare, la regia impeccabile e la sceneggiatura vi farà ridere di gusto. In una parola: imperdibile. USCITA PREVISTA: 10 MARZO

 

sele_2Il condominio dei cuori infranti –  Samuel Benchetrit

Una commedia surreale e sociale che descrive la realtà nella sua desolazione e la riscatta attraverso la mobilitazione di un’umanità inattesa. In un condominio grigio delle banlieue parigine si intrecciano le storie di molti personaggi al limite del surreale, in una vicenda che sa unire divertimento e riflessione con grande intelligenza. L’ottimo cast (Michael Pitt, Isabelle Hupperte Valeria Bruni Tedeschi) rende il tutto ancor più godibile. USCITA PREVISTA: 24 MARZO

Alvise Wollner

Il Festival della Filosofia da spettatore

Eventi come il Festival della Filosofia, tenutosi in Settembre nelle città di Modena, Carpi e Sassuolo, sono preziosi: non solo perché si ha l’opportunità di ascoltare le riflessioni di autori di spessore; ma anche – o meglio: soprattutto- per liberarsi di alcuni pregiudizi riguardo ai nostri tempi.

Il festival di quest’anno, che ha avuto come tema l’ereditare e le problematiche connesse all’eredità, alla genitorialità e alla figliolanza, è stato uno dei colpi che è necessario e giusto vibrare contro la retorica – troppo facile- che va predicando l’assenza di interesse, da parte degli uomini del nostro tempo, per la filosofia e la cultura nel suo senso più ampio. Un notevole numero di persone, infatti, ha affollato le città di Modena, Carpi e Sassuolo per ascoltare riflessioni autorevoli: l’uomo del nostro tempo (forse più che mai) si misura con gli interrogativi dell’esistenza e cerca punti di riferimento.

Non si vive la rassegnazione totale all’assenza di senso, si dà ancora importanza alle questioni fondamentali. E si vuole ancora udire la voce della filosofia, il cui verbo è talvolta terribile e dal quale, sulle prime, si vorrebbe fuggire quando non lo si riesce a confinare nelle aule lontane delle università; quel verbo che è pur sempre necessario che risuoni. E che risuoni per tutti.

Emanule Lepore

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Lettere rivelate.

Ho aderito volentieri alla richiesta dei curatori di questo blog, che desideravano alcuni interventi di carattere letterario.

La mia esperienza è quella di un insegnante (liceo scientifico), alle prese ogni anno con il cosiddetto canone: quei testi letterari comunemente riconosciuti come rappresentativi di una cultura, che costituiscono un repertorio assai ristretto, per quanto di grande importanza. Ma nel sottobosco della letteratura c’è un intreccio di opere in fitto dialogo tra di loro (e con il passato e spesso il futuro); lavori spesso di grande interesse che però talvolta escono dalla consuetudine dei lettori e finiscono per essere dimenticati, o quasi.

Così, ho pensato di proporre, in questi interventi, una serie di opere del Novecento italiano: prevalentemente narrative (è il genere che frequento di più), ma non solo. È un’epoca di grande interesse, nella quale, esaurite le grandi idee unificanti del passato, si fa strada un caos fecondo, che permette a ogni autore di sperimentare propri percorsi. E questo caos, non c’è dubbio, è tuttora un elemento costitutivo di ciò che noi siamo: queste opere, che pure sono ormai distanti negli anni, conservano una forte aria di famiglia.

Non proporrò opere molto famose; piuttosto cercherò di muovermi tra la produzione minore degli autori più celebrati e le opere di altri scrittori di sicuro interesse ma oggi meno praticati.

I lettori non dovranno aspettarsi idee critiche di grande originalità o analisi estremamente approfondite: più semplicemente, indicazioni sintetiche accurate, utili per farsi un’idea di un autore, di un’opera e dei motivi per cui questa può dirci qualcosa.

E poiché la lettura dovrebbe essere, per quanto possibile, un’attività sociale, sarò grato a tutti i frequentatori di La chiave di Sophia che eventualmente, se si saranno fatti incuriosire da questi miei suggerimenti, vorranno coi loro commenti proporre le loro letture, i loro incontri, il loro modo di accostarsi alle opere letterarie.

Giuliano Galletti

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Oriana Fallaci: Prima di tutto Scrittore

Ogni persona libera, ogni giornalista libero, deve essere pronto a riconoscere la verità ovunque essa sia. E se non lo fa è, nell’ordine: un imbecille, un disonesto, un fanatico. Il fanatismo è il primo nemico della libertà di pensiero. E a questo credo io mi piegherò sempre, per questo credo io pagherò sempre: ignorando orgogliosamente chi non capisce o chi per i suoi interessi e le sue ideologie finge di non capire. 

(dalla lettera agli studenti della scuola Rosselli di Marina di Carrara)

Chi era Oriana Fallaci? Chi era la donna che ha cambiato il significato e l’essenza stessa della parola Donna?

Oriana Fallaci lascia la Facoltà di Medicina dopo averla frequentata per poco tempo, non per mancanza di tenacia, ma per la più grande predisposizione naturale che sente dentro di sé: la passione che la porta a scrivere. Quella stessa che la porta a ricercare, capire, voler comprendere le vicende che la circondano. La scrittura invade le sue giornate, le sue notti passate a cercare di rifiutare il sonno tra una sigaretta e l’altra. Non smette mai di scrivere affermando le sue opinioni, difficili da comprendere per chi è diplomatico per natura.
Oriana delinea un’enorme se stessa nei suoi pregi e nei suoi – se così si possono chiamare – difetti. Di un personaggio che ha cambiato le concezioni storico-sociali del ‘900, per potervi partecipare fino in fondo non soltanto da spettatore, ma soprattutto da protagonista.

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Nulla la disegna meglio di quello che ci hanno lasciato le sue mani unite all’affezionata Olivetti. Sì, anche in questo è grande: scrive sentendo il suono dei tasti sotto le sue dita, facendosi chiamare “scrittore” anziché scrittrice.
E’ l’affermazione della sua passione che sembra venire prima di se stessa che la rende unica; lei che arriva a pesare trentasette chili pur di dividersi tra gli studi universitari e il continuare a mettere giù le parole nel modo più autentico possibile. Solo la passione ci rende autentici, perché ci porta a diventare quello che vorremmo fermamente.
E lei nello scrivere era capace di delineare se stessa, proprio come nelle sue interviste è sempre riuscita a delineare i suoi interlocutori.

– È strano, signora Magnani: lei ha un carattere così virile, dice sempre di stimare più gli uomini che le donne, «perché io accetti una donna bisogna che essa abbia una dignità e un carattere quasi maschile», e poi parla come se avesse degli uomini una considerazione minuscola – 

– Guardi, non ne ho nessuna. Il fatto è che le donne come me si attaccano solo agli uomini con una personalità superiore alla loro: ed io non ho mai trovato un uomo con una personalità capace di minimizzare la mia. Le donne come me subiscono solo gli uomini capaci di dominarle: ed io non ho mai trovato nessuno che fosse capace di dominarmi. Ho trovato sempre uomini, come definirli? Carucci. Dio, si piange anche per quelli carucci, intendiamoci, ma son lacrime da mezza lira – 

Se mi chiedessero quanto sarei stata disposta ad offrire per partecipare a quest’intervista, avrei risposto semplicemente “una cifra che non saprei quantificare”.
Oriana Fallaci esprime un’estrema grandezza nel tracciare esattamente il profilo dell’intervistato, chiunque sia; non solo nel ricercarne i caratteri, quanto piuttosto nel riuscire a delinearlo come se lo conoscesse da tempo e non soltanto da cinque minuti. Mi riferisco ad Oriana Fallaci che lascia parlare Anna Magnani da donna a donna, mi riferisco a due personaggi che non hanno mai avuto bisogno di affermarsi attraverso le parole, perché erano in grado di esprimersi anche soltanto tramite il loro modo di essere. Parlo di autenticità mischiata all’ironia, per descriverle fino in fondo.

Troppe volte di un grande personaggio si estremizzano i lineamenti più ostici: emerge ciò che non è, una natura che non corrisponde completamente al vero. Forse perché quello che trasmette un grande personaggio è puramente soggettivo, forse perché ognuno di noi riesce a coglierne tratti estremamente diversi. Nella fiction in due puntate andata in onda su Raiuno diretto da Marco Turco, vediamo una Fallaci costantemente arrabbiata, invasa continuamente da impeti di rabbia, più che dalla sua tenacia.
Leggere Un uomo, piuttosto che Lettera ad un bambino mai nato significherebbe discostarsi completamente da quella visione: leggendo soltanto due dei suoi libri risulta chiaro come una donna forte sia anche capace di amare tanto se stessa quanto un’altra persona. Quanto una donna indipendente sia in grado di provare il desiderio di maternità, il desiderio di diventare madre, un desiderio che è insito nella natura femminile stessa.

A chi non teme il dubbio
a chi si chiede i perché
senza stancarsi e a costo
di soffrire di morire
A chi si pone il dilemma
di dare la vita o negarla
questo libro è dedicato
da una donna
per tutte le donne.

E’ sufficiente la dedica iniziale per capire il livello di comunicazione ed empatia che unisce Oriana ad ognuna di noi: la comune essenza di essere donna, con tutto quello che ne comporta. Quante e quali domande si pone una donna che porta in grembo un figlio?
Troppe. Una donna lo sa quanto sarà difficile il mondo di oggi, quanto sarà difficile crescere una creatura che non ha colpe per tutto quello che dovrà affrontare. E’ conscia del fatto che non esiste una manuale di istruzioni con cui ci sarà un modo giusto di indicare una strada piuttosto che un’altra; sente il figlio come se stessa, per quanto non si veda mai abbastanza preparata.

Perfino lei, che preparata lo era sempre. Lei, che alla vita non ha mai detto no – fino alla sua estrema essenza – nella sua determinante battaglia contro l’Alieno.
Lei che aveva visto la Guerra del Vietnam, perché l’aveva vissuta. Lei che aveva visto la città di Beirut devastata e assediata, in cui la morte si riversava in ogni sua forma.
Oriana che era capace di non vedere soltanto le bombe, ma prima di tutto le persone, cogliendo le espressioni di chi ogni giorno temeva di non arrivare all’ora successiva, non sapendo se avrebbe abbracciato ancora una volta i suoi cari, la sua terra, la sua vecchia e rassicurante vita. In una delle sue interviste le era stato chiesto se avesse paura della guerra, essendo stata la più grande inviata di quegli scempi nel ‘900 .

Chi dice di non avere paura della guerra è un cretino o un bugiardo.

Così risponde, soffermandosi poi sul fatto che l’unica possibilità per affrontare la paura che si ha per la guerra è superarla. Limite e possibilità, oserei dire.
Nonostante dopo la pubblicazione di Insciallah del 1990 avesse scelto di trasferirsi definitivamente a Manhattan, estremamente tenace nella sua guerra personale contro quella malattia che ogni giorno la consumava e rendeva un po’ più forte al tempo spesso, il suo spirito indomabile non le permise di rimanere indifferente all’attentato dell’11 settembre 2001.
Dapprima in un lungo articolo apparso sul Corriere della Sera il 29 settembre 2011, poi ne La rabbia e l’orgoglio – che era solita chiamare un “piccolo libro” – Oriana affrontava la tematica del fondamentalismo religioso: un argomento in cui riusciva ad essere completamente se stessa, senza cadere in ciò che avrebbe dovuto essere politicamente corretto. Un argomento particolarmente scomodo che si preferiva non affrontare, ma che lei si sentì di esprimere – come sempre – a modo suo.
Autenticamente suo.

Il puzzo della morte entrava dalle finestre, dalle strade deserte giungeva il suono ossessivo delle ambulanze.

Proprio lei che sentiva ogni giorno la morte sempre più vicina, odiava sentire quella delle persone. Odiava coglierla nell’aria, odiava coglierla nel fanatismo, odiava respirarla. Aveva sempre cercato di raccontarla, come aveva sempre cercato di esprimere ogni cosa di se stessa. Ogni pensiero o emozione, per quanto fossero estremi e poco condivisibili, erano il lato di chi ama vivere appieno la vita, di chi non è mai stato peccatore di aver trascorso un solo minuto a sopravvivere.

Apro la mia boccaccia. […] E dico quello che mi pare.

Ecco ciò che dice di sé nella sua ultima intervista concessa al New Yorker Oriana Fallaci. Lei che, fino alla fine, ha sempre cercato di fare quello che voleva. Lei che voleva morire nella sua Firenze, pur avendo amato e vissuto come cittadina del mondo.

Sulla sua lapide, soltanto tre parole: Oriana Fallaci. Scrittore.

Cecilia Coletta

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Individualità o collettivo: sinergia o antitesi

Sui concetti di individualismo e di collettivo si è da sempre dibattuto con punti di vista diametralmente opposti. Da una corrente di pensiero l’individualismo è considerato come l’elemento fondante della civiltà occidentale e del progresso mentre per contro è visto da altri come una potenziale minaccia alla dimensione sociale della vita collettiva.

I concetti di “individuale” e “collettivo” sono realmente in antitesi come comunemente si ritiene? O sono invece strettamente collegati tra di loro nei molteplici aspetti della vita umana? Read more