Il gioco del male – Angela Marsons

Nell’anno appena concluso il genere crime/thriller si è confermato tra quelli più letti in Italia. I romanzi che regalano brividi e tensione sembrano infatti aver conquistato un’ampia fetta di pubblico italiano. Il segreto credo vada ricercato nella capacità di questo genere di trasmettere emozioni forti, di stuzzicare l’intuito e l’intelletto del lettore, di presentarsi come un enigma da risolvere.

La serie che vede come protagonista la detective Kim Stone, nata dalla penna di Angela Marsons, si è rivelata in Inghilterra un vero caso editoriale. Passando per l’autopubblicazione e per il successo del passaparola, il primo libro dell’autrice − Urla nel silenzio, pubblicato in Italia da Newton Compton nel 2016 − è arrivato a vendere oltre un milione e mezzo di copie nel mondo e ad essere tradotto in diciassette Paesi. Si tratta di thriller con approfondimento psicologico, la cui protagonista si è fatta spazio nel cuore di tanti lettori, dimostrandosi un personaggio vincente e credibile. I thriller sono ambientati in Inghilterra, precisamente nella Black Country, la stessa regione di provenienza dell’autrice. In Urla nel silenzio, la zona è scossa da una serie di omicidi, collegati da un invisibile fil rouge. La detective, supportata dalla sua squadra investigativa, indaga per rintracciare il nesso che lega le vittime e per scoprire l’identità dell’assassino.
Le sue indagini la porteranno ben presto nel luogo in cui anni prima sorgeva un orfanotrofio. Un posto che avrà molto da raccontarle e dal quale emergeranno storie agghiaccianti.
La protagonista, Kim Stone, è una donna diretta, dura, testarda e poco incline al contatto umano, guida la sua squadra senza esitazioni, proprio come conduce sull’asfalto la sua Ninja nera.
Dietro un’apparenza di chiusura e distacco, nasconde un passato dolorosissimo, che rischia di sopraffarla con il suo pesante bagaglio. Bagaglio di dolore che nella seconda avventura, Il gioco del male, pubblicato ad ottobre dello scorso anno, si rivelerà un fardello quasi fatale per Kim, a dimostrazione che alcune questioni irrisolte con il passato sono come mostri pronti a divorarci. Basta che qualcuno riesca ad incidere la nostra corazza abbastanza a fondo da permetterne la fuoriuscita. E chi meglio di un pericoloso sociopatico avvezzo alla manipolazione della mente umana può farlo?

«Sebbene definire il “perché” fosse di capitale importanza nell’indagine su un crimine, per Kim non era mai stato il tassello più importante del puzzle. Era l’unico elemento che non riceveva alcun supporto dagli ausili scientifici. Stabilire il perché era il suo lavoro, ma comprenderlo era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. […]

Capire il perché di un’azione implicava la possibilità di empatia, comprensione e perfino perdono, per quanto il fatto commesso fosse orribile.

E, a giudicare dal suo passato, Kim non era una persona incline al perdono».

Andando a fondo nella psiche della protagonista, il lettore comprenderà lo spessore della sua personalità. Ciò che costituisce un ostacolo nel suo lavoro è anche quello che rende questa donna così speciale: le sue ferite, la sua infanzia in un quartiere degradato che non le ha impedito di diventare uno dei detective più validi e capaci, di sviluppare uno spiccato senso della giustizia, di sopravvivere al limbo di abiezione e sofferenza nel quale era stata condannata. Questo si cela dietro la maschera di freddezza e indifferenza dietro la quale la protagonista si trincera, e questa la base di profonda umanità che permette ai lettori di stabilire una sincera empatia con il personaggio.

Le tematiche affrontate sono forti: violenze, maltrattamenti e abusi, spesso trasferiti nella sfera dell’infanzia violata, casi che vengono filtrati dallo sguardo di una donna che sa bene cosa significhi subire quel dolore che scava nei bambini come fa un chiodo arrugginito nel tronco morbido di una pianta ancora giovane, che crescerà mantenendo quella profonda traccia. Una cicatrice che priva per sempre della spensieratezza, ma che permette a Kim Stone di vedere oltre, di sentire nel profondo ciò che le vittime provano.

La narrazione scivola veloce, coinvolgente, arricchita da dettagli e substrati psicologici, esposti con uno stile scorrevole e validi incastri temporali. Il lettore non può che sentirsi coinvolto, trascinato nelle indagini e nei pensieri di Kim Stone, subendo il fascino di personaggi tridimensionali e delle dinamiche che si rivelano centrali: i comportamenti umani, i processi mentali, la psicologia delle vittime e degli aguzzini, che la Marsons è così brava a rendere reali.

Una serie consigliata a chi è alla ricerca di una lettura coinvolgente. Mentre per chi fosse già in attesa del terzo volume, nel sito dell’autrice è possibile trovare curiosità sulla sua professione e interessanti consigli letterari.

Stefania Mangiardi

[Immagini tratte da Google Immagini]

IL CORVO È IL MIGLIOR NEMICO DELL’UOMO

“Signore, “dissi” o Signora, vi prego,

perdonatemi,

Ma ero un po’ assopito ed

Il vostro lieve tocco,

Il vostro così debole

bussare mi ha fatto

dubitare

Di avervi veramente

udito”. Qui spalancai la

porta:

C’erano solo tenebre e

nulla più”

Il Corvo, Edgar Allan Poe, 1845

In “Il Corvo” di Edgar Allan Poe il rendersi presente dell’oscura presenza del corvo stesso è preceduta dal flebile bussare di qualcosa, l’oscurità e nulla più, una oscurità che rappresenta una paura antica dell’umanità, le tenebre, lo sconosciuto, il nulla. Nell’asimmetria informativa si genera l’ansia e la paura che sono emozioni umane che tutti abbiamo più o meno sperimentato e sperimentiamo. Una insostenibile leggerezza dell’essere ci attanaglia mentre un brivido freddo ci attraversa la schiena perché l’uomo, come ci racconta bene Heidegger, vive la dimensione della sua stessa esistenza nell’essere e tempo, anzi leviamo direttamente di mezzo questa “e” perché l’essere sta nel tempo ed è quindi strutturalmente esposto al non essere, l’essere nulla. L’illusione dell’umanità per sopravvivere al meglio alla perenne esposizione al nulla è quella di provare a enfatizzare e a vivere il presente che per sua stessa natura è una dimensione eternamente esposta e oscillante tra un passato e un futuro, e quindi al suo stesso non essere. Il tentativo insomma è di eludere la nostra strutturale esposizione alla morte, il nostro “essere per la morte”, è quello di inventarci un esserci qui e “ora”, un “ora” che già mentre lo pronuncio non esiste più, l’adesso mentre lo evoco nella dimensione del linguaggio è già un passato che non è più.

Disse il Corvo, “Mai più”

“Nevermore”

“Nevermore”

“Nevermore”

La sentenza del Corvo è spietata e non lascia scampo. L’illusione di vivere è costituita dalla produzione di senso e di progettualità, ma la morte, il non essere costituisce l’implosione di ogni senso e questa consapevolezza è insita in noi, da qui il bisogno della religione come ben individua Nietzsche come gigantesco dispositivo di controllo sociale dell’ansia.

L’effetto placebo della religione, dei nostri progetti e delle nostre illusioni è quello di farci dimenticare la transitorietà e quanto la nostra esistenza sia in fondo effimera, come il tentativo di calcare la mano sulla memoria. In fondo ci consola pensare che i nostri cari ci ricorderanno senza tener conto che in quattro generazioni anche quel ricordo scomparirà. Ammesso poi che il nostro nome finisca in qualche libro di storia in fondo tale storicizzazione della nostra biografia non farà che restituire solo una parte di noi, saremo spettri nella storia dell’umanità, ma la storia non racconta ciò che siamo, racconta la dimensione di come ci vedono gli altri, siamo un racconto pronunciato e scritto dalle labbra di terzi e quindi in sostanza qualcosa di alieno rispetto alla nostra essenza.

Rispetto a” Il gatto nero” e “Il cuore rivelatore” il Corvo non parte da omicidi, non ha nessuna connotazione morale, il corvo in fondo non è altro una grottesca proiezione del male di vivere, l’umana sete di auto-tortura come la chiama lo stesso Poe. Il narratore ha perso la sua amata Lenore, il narratore della storia la evoca poco prima della comparsa del corvo nella stanza.

In Poe non c’è nessuna “colpa” del personaggio, nessuno ha compiuto azioni malvagie, il racconto non vuole insegnarci nulla, ma solo mettere a nudo quanto l’esistenza sia effimera. Emerge forte e lampante solo il desiderio di autodistruzione, siamo oltre il giusto e lo sbagliato, al di là del bene e del male come scriverà poi bene Nietzsche. La nostra paura rievoca inevitabilmente la pulsione umana inspiegabile e inesorabile di distruggere.

“Inconterò Lenore nell’Ade?”

“Mai più” risponde il Corvo.

Il lettore viene sovrastato da tutta la sensazione di masochismo, è ovvio che il Corvo risponderà a qualsiasi domanda ripetendo la sua ardua sentenza eppure il lettore continua a leggere, la voce narrante del racconto a fare domande.

La struggente sofferenza del narratore fa parte della vita di tutti noi sottesi tra il desiderio di ricordare e di dimenticare un passato che non passa eppure non tornerà appunto “mai più”.

La bellezza, l’amore femminile muore senza spiegazione e aggrapparsi al ricordo di ciò che è stato è anche la stessa causa dello sprofondare nell’ansia, nell’angoscia e alla fine comporta l’essere inghiottiti a propria volta nell’oblio. Il narratore, che poi siamo tutti noi, l’umanità intera continua a interrogare il Corvo come l’umanità continua a interrogare l’esistenza, la sua stessa esistenza, sperando che questa risponda “sì” pur sapendo che ad attenderci ci sarà invece un altro “no” o meglio, nessuna risposta salvo un “mai più”.

Il corvo è il miglior nemico dell’uomo che per sua natura produce senso per vivere ed è anche la componente distruttiva che ci portiamo dentro, il corvo è il nostro oscuro passeggero che scivola nelle nostre stanze buie nel cuore della notte, noi siamo, come genere umano, affascinati dalla risposta ripetitiva del corvo, la desolazione che ci pervade dell’animale che è in noi. La natura continua a sottrarsi ai nostri giochi di senso, la nostra vita ci sfugge ogni istante che passa. Possiamo illuderci che conti il viaggio e non il punto di approdo, ma quel punto di approdo come il corvo sta sempre dinnanzi a noi a ricordarci che siamo vissuti dalla vita, siamo soggetti passivi della natura stessa che ci sovrasta al di là di ogni nostro tentativo di dominare le cose.

“Nevermore”

“Nevermore”

“Nevermore”

Combattete quel Corvo che è in voi! Provate a scacciarlo con tutte le vostre forze! Rifuggitelo! Non ascoltatelo! Eppure una notte scivolerà comunque nel cuore dei vostri sogni più profondi per sussurrarvi con tenacia che ogni senso è destinato a scivolare nel non senso, come ogni tentativo dell’essere è destinato ad abbracciare il nulla.

[Scherzavo, è solo noir]

Matteo Montagner

Agatha Christie – Assassinio allo specchio

 

“Viviamo in un mondo malvagio, e quando un individuo intelligente decide di dedicarsi al crimine, è davvero la cosa peggiore”.

Arthur Conan Doyle

Nel piccolo paesino di St. Mary Mead c’è un gran fermento: Marina Gregg, famosa diva di Hollywood, ha deciso di organizzare una festa per il suo ritorno sul grande schermo, invitando l’intera cittadina. Una festa dove regnano fama e spensieratezza, dove regna lo “stare bene comune”, dove l’etichetta fa da padrona, dove ogni equilibrio, in un solo attimo, viene tragicamente rotto.

Il cristallo del bicchiere incontra il pavimento, il rumore echeggia nel prestigioso salone della villa. Una donna, esce da quella serenità putrefatta: Heather Badcock muore avvelenata. Lo sgomento dei presenti, il terrore scuote gli animi più spavaldi e invade quelli più fragili; più di tutti quello di Marina Gregg, a cui era originariamente destinato il bicchiere. A seguito di un casuale urto, Miss Badcock aveva rovesciato il suo cocktail: proprio Marina era stata così gentile da cederle il suo. Un cocktail mortale, passato da una mano all’altra con un gesto gentile. Ma chi avrebbe potuto voler uccidere l’insignificante Miss Badcock? Certamente quel bicchiere di Marina le era costato la vita, ma era quest’ultima ad essere davvero in pericolo. Troppe persone avrebbero voluto sbarazzarsi di lei: attrici rivali, uomini del passato, ma più di tutto l’invidia della gente. Una donna amata e invidiata da tutti: un bersaglio così esposto, eppure così irraggiungibile. Read more